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Intervista con Vittorio Nistri

20 min read

OSSI

OSSI è un nuovo progetto di Vittorio Nistri (Firenze) e Simone Tilli (Pisa). Entrambi militano anche nella Deadburger Factory. Avvertenza per chi conosce i Deadburger: la musica di OSSI è profondamente diversa. E tuttavia, risponde anch’essa ad una “questione di cuore” di Vittorio e Simone, le cui principali passioni musicali ineriscono, da sempre, due ambiti diversi. Il primo è quello nel quale operano i Deadburger, ovvero il rock sperimentale. Musica che tende a dribblare gli steccati tra i generi, perché vocata all’ibridazione con input “altri” (elettronica, noise, avant jazz, ecc.). il secondo è, invece, un ambito pienamente e orgogliosamente “di genere”: il rock psichedelico, nella sua variante più collusa col garage rock. Vittorio e Simone ne sono da sempre insanamente innamorati, per la sua attitudine irriducibilmente storta, e per la sua capacità di coniugare “botta” e visionarietà. Con OSSI hanno dato via libera a quest’altra loro passione.

Simone e Vittorio hanno iniziato questa avventura anni fa, per proprio piacere, senza porsi obiettivi né darsi scadenze. Lavorandoci ad intermittenza (nei ritagli di tempo dalle altre loro attività) e in segreto (nessuna presenza di OSSI sul social prima dell’uscita del disco), ma sempre con alto tasso di entusiasmo. Un po’ alla volta, senza fretta ma con costanza, la piantina di OSSI è cresciuta. Oggi è divenuta un progetto definito a 360°, fatto non solo di suoni ma anche di immagini e colori (l’artwork è stato curato quanto la musica).

Adesso è tempo di coming out. Il vinile di esordio esce il 9 settembre 2022 per Snowdonia Dischi con distribuzione Audioglobe. E intanto OSSI, che era nato come progetto di studio, è divenuta anche una live band. L’ossi-navicella spaziale è dunque pronta per sbarcare sul pianeta Terra… che, come tocchiamo con mano anche in questo deragliatissimo e sanguinario 2022, si sta facendo più psycho ad ogni anno che passa.

Per la registrazione dell’ellepì d’esordio di OSSI, Vittorio e Simone hanno messo insieme un dream-team composto da tre musicisti di culto, per la prima volta riuniti su uno stesso album: DOME LA MUERTE (degli amati Not Moving) e ANDREA APPINO (Zen Circus) alle chitarre, e BRUNO DORELLA (OvO, Bachi da Pietra) alla batteria. Scelti perché pienamente congeniali al sound che Vittorio e Simone avevano in mente. Il progetto OSSI non prevede un bassista fisso, ma in tre brani Carlo Sciannameo dei Deadburger ha suonato il basso (rigorosamente acustico, per meglio legarsi alle ritmiche folk-punk). In altri due brani, è ospite l’armonicista Roberto Pieralli della Mojo Blues Band.

Simone Tilli si è occupato di tutte le voci dell’album. Vittorio Nistri si è occupato della parte elettronica e, in generale, della regia sonora dell’album. Come tastierista, ha usato soprattutto la tastiera basica del garage rock, ovvero l’organo (prevalentemente – ma non solo – Farfisa).

Intervista

Davide

Ciao. E ben ritrovato su queste pagine con il nuovo progetto OSSI. Osso, ciascuno degli elementi duri, di tessuto osseo o cartilagineo, resistenti, di colore biancastro, che costituiscono l’apparato interno di sostegno (o scheletro) dei Vertebrati. Nel vostro caso OSSI, ossia? C’entra Andrea Pazienza? O c’entra qualcosa di vicino all’osso, quindi all’essenza?

Vittorio

Ciao Davide, è sempre un piacere re-incontrarti.

Il genere scelto per questo progetto – ovvero, il rock garage/psych – annovera tra le sue principali caratteristiche l’impatto viscerale e l’immediatezza di comunicativa. Per rispettare queste caratteristiche, gli ingredienti della nostra zuppa di ossi dovevano essere pochi e semplici. Il nome “OSSI” indica, appunto, il tentativo di scarnificare. Togliere tutto ciò che non è indispensabile. Cercare con poco di dire tutto quel che si vuole dire.

Davide

OSSI è stato un progetto maturato lentamente e indipendentemente dalla lunga storia dei Deadburger, frutto anche di “un amore incondizionato per molti artisti della scena garage/psych”, senza rinunciare tuttavia alla sperimentazione, attitudine comunque tipica e fondamentale della Deadburger Factory. Di cosa vi siete spogliati rispetto ai Deadburger e cosa ne avete ancora indossato?

Vittorio

OSSI ovviamente è un progetto molto diverso da Deadburger (altrimenti non avrebbe avuto senso un’altra ragione sociale). Non sentirai in OSSI traccia alcuna di svariati mondi – ad esempio: jazz, musica da camera, ambient – coi quali invece i Deadburger hanno più volte flirtato. Questo perché OSSI vuole essere un progetto “di genere” (se fosse cinema, sarebbe non tanto un “film da festival” ma, che so… un thriller. o una commedia). mentre il Panino di Morto, muovendosi in ambito “avant”, può fare suoi echi di molti generi diversi.

Inoltre, rispetto ai Deadburger, gli OSSI hanno – per coerenza con il genere scelto – ridotto all’osso le strutture compositive. Armonie semplici (accordi maggiori e minori, e giusto qualche quarta); ritmi basici; durate mediamente brevi (tipo 2 o 3 minuti a brano, con poche e mirate eccezioni); e l’archetipo format strofa/ritornello, che invece è pressoché assente nella Deadburger Factory.

Altrettanto scarnificata la gamma strumentale impiegata. Non troverai in OSSI l’estesa policromia strumentale del Panino di Morto. Niente fiati né archi; e, nella maggior parte dei brani, manca addirittura il basso.

La conseguenza di queste scelte è che, rispetto ai Deadburger (che di solito richiedono più ascolti per “entrarci dentro”), Ossi suona più immediato ed intuitivo… più Rock’n’Roll… almeno in superficie.

In realtà, sotto questa scorza di apparente semplicità, io credo che negli OSSI ci sia il medesimo piacere di sperimentare che c’è nei Deadburger. Bisogna solo intendersi su cosa si vuole individuare col verbo “sperimentare”. Un’attitudine off the beaten tracks, oppure una aderenza a determinati stilemi sonori ormai storicizzati come “sperimentali”?

Piccola digressione. Da appassionato quale sono, ogni anno ascolto decine e decine di nuovi album di musiche “altre”. Parlo di aree sonore quali industrial, ambient, droning, harsh noise, impro radicale, neoclassical, kraut, trance, nuova IDM, post rock, minimalismo eccetera. Ancora riesco, con mio grande diletto, a trovare ogni anno qualche album che mi sorprende ed avvince, però… ecco, non mi capita poi così spesso. Il più delle volte mi imbatto in album, etichettati come “sperimentali” (forse solo perché di nicchia e dunque non mainstream), che in realtà sperimentano poco o niente. Magari sono fatti benissimo e con belle sonorità, però si muovono in modo abbastanza canonico su coordinate già parecchio battute. Certo, sono coordinate meno nazionalpopolari rispetto a quelle del mainstream, ma mi sembrano, a loro modo, altrettanto prevedibili.

Di fronte all’ennesimo disco di (per esempio) ambient a base di rade frasi ripetute – con tastiera o archi o fiati, poco cambia concettualmente – immerse in lunghi reverberi o in aloni elettronici, mi viene difficile pensare di stare ascoltando qualcosa di “sperimentale”.

Per me questo termine dovrebbe indicare l’attitudine a (cercare di) uscire da sentieri troppo battuti, rimettendosi in gioco ogni volta, e accettando i rischi che questo comporta.

Nel loro piccolissimo, gli OSSI questo rischio se lo sono accollati. Musicisti “avant” che si mettono a fare R’n’R? C’era di che scontentare tanto gli appassionati di R’n’R quanto quelli di musiche avant – due mondi che spesso diffidano l’uno dell’altro.

Personalmente, sono convinto che gli OSSI abbiano – nell’ambito del loro genere di riferimento – effettivamente sperimentato, e sotto più di un fronte. Perché quello di Ossi è un concept album (il che può rimandare al mondo prog, usualmente spregiatissimo dai rockers). Perché è innervato di elettronica da capo ai piedi. Perché attribuisce ai testi una importanza (quasi da “canzone d’autore”) non così frequente nel genere. Perché sembra ludico e invece è scurissimo. Perché non ricerca conforto escapista in un passato mitizzato e “di importazione”, ma, al contrario, è una full immersion nel nostro tempo e nel nostro paese. Eccetera.

Davide

Un vinile davvero molto bello, curato e ricco anche dal punto di vista grafico, colorato, sicuramente psichedelico e sicuramente umoristico o satirico. Bella la copertina apribile o gatefold. I testi sono stati stampati su un libretto a mo’ di fumetto underground. Mi ha rievocato riviste come Cannibale e Frigidaire. Chi è l’autore dell’artwork? Che tipo di integrazione interazione cercavate tra musica, testi e immagini?

Vittorio

Il progetto OSSI ha uno spirito certamente in opposition (benchè musicalmente si muova in tutt’altri territori rispetto alla corrente che un tempo veniva definita “Rock In Opposition”, o semplicemente R.I.O). Coerentemente a questo spirito, l’artwork è ispirato al fumetto underground, che fu una delle espressioni della stagione d’oro di quella controcultura della quale sento molto la mancanza, e alla quale gli OSSI si sentono idealmente connessi.

Cannibale e Frigidaire, da te giustamente menzionati, sono stati un riferimento imprescindibile. Il loro mix di immaginazione e informazione, delirio e realismo, umorismo e crudezza, ha avuto sicuramente più di un eco negli OSSI,

Ho inoltre voluto inserire anche dei richiami agli albi underground americani di inizio ’70, tipo Zap Comics o Freak Brothers (questi ultimi esplicitamente omaggiati nella copertina dell’albo a fumetti allegato al vinile).

I disegni – salvo lo scheletrino della front cover, che è un raro disegno di Andrea Pazienza (per il quale ho contrattato il diritto di utilizzo con gli eredi) – sono stati realizzati appositamente per OSSI da Ugo Delucchi. Un vero natural born cartoonist: pensa che pubblicò le sue prime strisce – con protagonista un angioletto! – a soli tredici anni, su un quotidiano genovese. Ugo divenne poi allievo proprio di Pazienza, e tuttora collabora con Frigidaire e il Nuovo Male. Non tutti lo sanno, ma le due storiche testate continuano ad uscire, sia pure con foliazione minima e solo su abbonamento.

A Ugo ho fornito la “sceneggiatura” della copertina dell’albo allegato al vinile, con i tre musicisti dalla testa d’osso che suonano in un vicolo desolato, e – nel cappello per le offerte dei passanti – solo una Jacovittiana lisca di pesce. A partire da questo spunto, Ugo ha inventato il resto: i fantastrumenti, i dinossisauri eccetera.

Alla riuscita dell’artwork hanno poi grandemente contribuito il disegnatore Lido Contemori e il grafico Gabriele Menconi.

Lido è un artista inesauribile, con un passato nelle riviste underground e un presente che lo vede impegnato tanto nella satira politica quanto in ardite sperimentazioni pittoriche con le AI. Per OSSI, Lido ha aggiunto chine, colori e sfondi ai disegni di Delucchi; ha realizzato la spirale psichedelica della copertina; ed è autore di due illustrazioni (il bazooka/osso e il miniposter “Power To The Bones”).

Gabriele da parte sua, oltre ad impaginare il tutto, ha apportato molte idee brillanti. Ad esempio, ha trasformato i testi delle canzoni in balloons da fumetto, con soluzioni grafiche differenti per ogni canzone. Gabriele inoltre cura la grafica dei social di Ossi e le videoproiezioni (favolosamente deliranti) in concerto.

Davide

La visione che sta dietro tutto il progetto di OSSI, come da te scritto, è la seguente: oggi non occorre più sballarsi per fare psichedelia, perché viviamo in una realtà che è, già di suo, costantemente sballata e ultra-weird (e allucinante e allucinata, aggiungerei io). Similia similibus curantur, l’effetto “psicotropo” di OSSI allora diventa quello semmai contrario e terapeutico, di riportarci a un po’ più di lucidità e normalità?

Vittorio

Non so se la musica possa avere tanto potere, ma… se mai il disco di OSSI avesse tale effetto anche su un solo ascoltatore, ne sarei felice e onorato.

Non c’è alcun compiacimento nello sguazzare degli OSSI nella lordura che ci circonda, ma rabbia, e desiderio – per quel pochissimo che ci è possibile – di opporsi a questo sfascio.

Nella sua recensione sulla webzine Kalporz, Nicola Guerra ha scritto. “OSSI è un disco politico che non parla di politica, ma fa parlare la politica in modo da rendercela ancora più ostile, e risvegliarci”.

Davide

I testi in italiano sono qualcosa di poco solito nel genere garage/psichedelico italiano. Nel disco vi siete tuttavia premurati di inserire un ulteriore foglio con la traduzione in inglese. Lo stesso immaginario attinge a fatti italiani e a una certa “italianità”. Che tipo di Italia e di italianità volevate indicare in generale, e nondimeno cosa di chi invece in Italia si propone in una lingua non sua, attingendo a immaginari lontani dal qui e ora del nostro Bel Paese (mica sempre così bello), cedendo quindi altro terreno a una qualche colonizzazione culturale e a un nostro sradicamento e spaesamento progressivi e, magari, ineluttabili?

Vittorio

La colonizzazione culturale a trazione americana in corso da oltre settant’anni è probabilmente, come hai scritto tu, ineluttabile… ma credo che, finché possiamo farlo, sia cosa buona e giusta cercare in qualche modo di resistere a questa omogeneizzazione. È anche per questo che gli OSSI hanno cercato una via italiana (non solo come idioma, ma anche e soprattutto come ispirazioni e immaginario) ad un genere frequentemente anglofono e anglofilo come il garage rock.

L’inserimento di una traduzione in inglese di testi e booklet (oltre a tutto, corredati da note che raccontano, agli eventuali acquirenti stranieri, i retroscena italici dietro le canzoni) rientra in questo spirito. Non senza autoironia e gusto del paradosso, considerando che a proporre ciò agli ipotetici ascoltatori di lingua inglese è una microbica e marginalissima band dalla provincia dell’Impero.

Davide

Trovo molto interessante l’introduzione di una elettronica che innova il classico sound stereotipato del garage rock psichedelico, il quale, nel suo perpetuato esercizio di stile (come del resto avviene con il prog rock), normalmente concede qualcosa solo ai transistor di qualche vecchio organo o di un sintetizzatore analogico. Operazione da voi (e da te in particolare) effettuata e amalgamata senza tuttavia stravolgere suoni e groove più tipici. Quali idee e quali scelte alla base?

Vittorio

Nell’usare l’elettronica in un contesto usualmente non-elettronico quale il garage rock, non volevo stravolgere il suono del garage rock – caso mai, integrarlo. Con uno spirito non di “famolo strano”, ma al contrario, come dire… neorealista!

Ai tempi dei primi connubi di rock ed elettronica, usare sintetizzatori, oscillatori e drum machines poteva davvero suonare come qualcosa di “alieno”. Non a caso, si associavano spesso questi connubi ad atmosfere futuriste/cibernetiche/spaziali (moltissimi gli esempi, dai Kraftwerk ad Alan Parsons agli Hawkwind); oppure, si utilizzavano i sintetizzatori come tastiere lead con suoni, per l’epoca, di “rottura della tradizione” (dagli ELP alle italiche “Impressioni di settembre”). Oggi l’elettronica nella musica ha per forza di cose una valenza diversa, perché viviamo in un mondo completamente diverso. Un mondo nel quale il più economico smartphone ha una potenza di calcolo enormemente superiore ai computer che portarono l’uomo sulla Luna (quelli sulla navicella Apollo avevano una memoria complessiva di soli 152 kByte!).

Nell’era dell’homo digitalis perennemente connesso, l’elettronica non è più un qualcosa di alieno, bensì una parte costante e ormai imprescindibile delle nostre esistenze quotidiane. Potremmo addirittura dire che l’elettronica è diventata per noi il nuovo naturale. Questa cosa comporta innumerevoli pro e contro, per cui può piacerci o meno, ma – volenti o nolenti – è la realtà che tocchiamo con mano ogni giorno. Ed è questa realtà che gli Ossi provano a riflettere nel loro suono.

Ho cercato di coniugare garage rock ed elettronica nel modo più “naturale” possibile. Al punto che, benché la componente elettronica sia una costante dell’intero album, parecchi ascoltatori neanche si accorgono che c’è, persino nei brani dove è più in evidenza – come “Hasta la sconfitta siempre”, canzone nella quale l’elettronica toglie letteralmente il terreno sotto ai piedi di Appino e Dome La Muerte (le loro chitarre hendrixiane non poggiano su alcuna sezione ritmica, bensì “galleggiano” su suoni minimali e robotici alla Kraftwerk).

Davide

Mi interessa molto il concetto di “bad sounds sound better”, specialmente alla luce di un lavoro come questo che infine suona invece perfetto e molto curato…

Vittorio

Di cura nel design sonoro dell’album ne ho messa tanta (in questo coadiuvato, in fase di mixaggio, dal bravissimo Giacomo Fiorenza), ma questo non toglie che l’elettronica in OSSI sia decisamente lo-fi e, se mi passi il termine, artigianale. In nessun brano sentirai i tappeti o gli arpeggi o i sequencer o le basslines tipiche dei programmi come Ableton. Non mi interessava quel tipo di suoni iperprofessionali, ma troppo spesso standardizzati e – alle mie orecchie – anaffettivi. Ho preferito usare tecnologie e fonti sonore grezze e limitate, ma che avessero un carattere più in sintonia con il garage rock. Per spiegarmi meglio, ti faccio qualche esempio concreto – giusto tre, tra i molti possibili.

1) I groove percussivi elettronici che spesso duettano con il drumming acustico non sono stati ottenuti con software di drum programming, né (salvo una eccezione) con drum machines, bensì filtrando elettronicamente la batteria acustica di Bruno Dorella con triggers, modulatori ad anello ecc. Una sorta di elettronica fatta a mano, e a partire da sorgente sonora umana. Quanto all’eccezione cui accennavo: l’unica drum machine presente nell’album – e precisamente nel brano di apertura, “Ventriloquist Rock” – è quasi pre-tecnologica, avendola campionata dai rudimentali preset percussivi di un vecchio organo Farfisa Matador.

2) I loop vocali che innervano canzoni come “Naturalmente non possiamo pagarti” o “Lei è grunge, lui urban cowboy” erano stati registrati da Simone, quando aveva comprato da poco la sua prima loopstation, come studi ad uso privato, senza alcun obiettivo di utilizzo su disco. Erano a bassa risoluzione, sgranati, imprecisi e pieni di scrocchi e rumori di fondo. Ma quando me li fece sentire, li trovai subito fantastici. Non ho voluto reinciderli “professionalmente”. Ho preferito editare e filtrare quelle prove iniziali (col risultato che puoi sentire nel disco), perché gli Ossi privilegeranno sempre l’espressività a considerazioni di carattere meramente tecnico.

3) I campionamenti di voci prese dalla cronaca sono tratti da documenti audio (video su You Tube, telegiornali, interviste su webradio) di qualità acustica approssimativa e non di rado proprio infima. Ciò nonostante, erano così giusti che non ho avuto dubbio alcuno nell’utilizzarli.

Insomma, mi piace, negli OSSI, cercare di trasformare limiti e imperfezioni in carattere. E persino gli errori e gli imprevisti. Un data crash del mio precedente Mac causò la perdita di vari files, che rimasero irreversibilmente corrotti. Li riascoltai uno per uno. Per lo più i files rovinati erano diventati rumore brutista, ma un paio di essi presentavano dei suoni – del tutto casuali e involontari – che mi colpirono. Li ho campionati ed assemblati: sono nati così i loop elettronici su cui ho scritto i brani “Navarre” e “Hasta la sconfitta siempre”.

Davide

Avete usato diversi samples di voci italiche, stralci di assurdi comizi e assurde interviste… Mi hanno colpito in particolare quelli scelti in “Out Demons Out” sulla pandemia secondo i complottisti, qui rivisti in chiave di personaggi bizzarri, visionari, deragliati e variamente o veramente scoppiati, da sempre al centro delle tematiche psichedeliche. Personaggi in preda agli esiti di una certa mentalità di provincia o ai più devastanti effetti di una qualche scienza agnotologica (non rientrasse infine anche l’agnotologia dentro il complottismo, chiudendone e reiterandone oppure camuffandone l’improbabile cerchio)… Quali demoni volevate scacciare con questo brano, che può tanto divertire quanto fare incazzare (e così “Monk Time” e le becere opinioni sulla donna espresse da un certo Don P., parroco di L.)?

Vittorio

Il demone forse più presente nel songbook di OSSI è l’ignoranza.

La rivoluzione digitale ha messo a disposizione di chiunque l’accesso illimitato ad una quantità di conoscenze senza precedenti nella storia del genere umano; eppure, paradossalmente, sembriamo più ignoranti che mai. Dilagano incompetenza e disinformazione.

I motivi sono molteplici, in questa sede mi limito a ricordarne qualcuno.

1) L’abnorme e ininterrotto flusso di stimoli via smartphone induce a dedicare a ciascuno pochi attimi, elevando a valore assoluto la velocità di fruizione, a scapito di selezione degli inputs, eventuali approfondimenti, e verifica delle fonti.

2) La (peraltro solo apparente, stante il ruolo discriminatorio degli algoritmi) democraticità della rete pone sullo stesso piano il parere di chi ha dedicato una vita di studi ad un argomento e le chiacchere da bar di chi, di quell’argomento, non sa una benemerita mazza. Cosi come le notizie documentate e quelle manipolate o inventate di sana pianta.

3) Il meccanismo di gratificazione da like induce a privilegiare le esternazioni “di pancia” (più efficaci nell’attrarre attenzione e consensi) rispetto a quelle ponderate. Così come premia chi, di fronte a problemi complessi, propone soluzioni semplici ancorché sbagliate o irreali. (Le risposte corrette sarebbero per forza di cose complesse – essendo l’esistenza complessa – e richiederebbero al lettore tempo ed attenzione: due merci rare nella iper-veloce comunicazione social). È questo l’humus nel quale proliferano i temi delle canzoni di OSSI. Come la politica-spettacolo tutta slogan e urla (cui gli Ossi hanno dedicato il brano “Ventriloquist Rock”). L’elevazione degli influencers a maître à penser (brano “Lei è grunge, lui urban cowboy”). I lavori non retribuiti ma “pagati in visibilità” (brano “Naturalmente non possiamo pagarti”). Le notizie di cronaca riportate con modalità scientemente manipolatorie (brano “Miss Tendopoli”). E così via, per quasi tutti i brani dell’album – incluso ovviamente “Out Demons Out”, il nostro trip nei deliri dell’era pandemica.

I complottisti che attribuivano la pandemia a Satana o agli Alieni o a Bill Gates hanno trovato il proprio terreno di coltura nell’ignoranza digitale. Ed era portatore della medesima ignoranza l’assessore alla Sanità della Regione Lombardia quando dichiarava, in conferenza stampa, che “indice di contagio 0,50” significa che, per venire contagiati, bisogna trovarsi insieme a due persone infette in contemporanea” (…per inciso: proprio nei giorni in cui sto scrivendo queste risposte all’intervista, quel competentissimo assessore è stato rieletto. Ooookay!).

L’ultimo sample di “Out Demons Out” a mio parere riassume, in pochi secondi, un’intera epoca storica. Intervistato a una manifestazione dei Gilet Arancioni del Generale Pappalardo, questo manifestante asseriva, con totale sicumera e sprezzo di qualunque dubbio, che i vaccini per il Covid erano fatti con “feti dei bambini, alluminio, prodotti fecali. Così ho letto”. E all’intervistatore che gli domandava dove l’avesse letto, rispondeva: “in un articolo su… su… si, su Facebook… una intervista di un… di un.. non ho capito, uno se lo deve memorizzare per forza il nome?”. Penso non serva aggiungere altro.

Davide

La chiusa dell’album è affidata a “Navarre”, ispirato a una storia vera accaduto sull’Appennino Pistoiese, ossia il salvataggio, da parte di una ragazza del Centro Protezione Animali, di un lupo ferito che stava morendo di ipotermia nelle acque del fiume Limentra. Salvataggio che, per altro, richiese una respirazione artificiale. Infine volevate dire che, nonostante tutto, l’umanità non è tutta da gettare alle ortiche? Perché questo bisogno di bellezza e speranza in chiusura?

Vittorio

Voglio pensare (sento il bisogno di pensare) che possa esserci ancora un qualche spazio per la bellezza e speranza. Se non lo pensassi, forse non farei musica.

Nel gesto di quella volontaria del Centro Protezione Animali di Monte Adone vedo una potenza simbolica straordinaria. Viviamo in un’epoca in cui sembra imperativa (forse come contrappeso alla frustrazione) la ricerca di nemici da odiare. E in cui dilaga il rifiuto (e la paura) dell’altro da sé. E cosa fa questa ragazza, trovandosi di fronte al nemico archetipo (il lupo è il cattivo per eccellenza nelle fiabe e nelle paure dei bambini), nonché dell’altro da sé per antonomasia (la belva, il non-umano)? Gli fa il dono più grande: il respiro della vita.

In questa canzone ho riversato il mio amore per l’altra metà del cielo – le donne, la metà migliore. Benché non sia una regola assoluta (ci sono donne in grado di competere col peggio degli uomini – Thatcher docet), sono convinto che il male alberghi più frequentemente nel cuore del genere maschile. Che non a caso non può creare la vita, ma è efficientissimo nel toglierla.

Davide

Prosegue, dunque, la vostra collaborazione con Snowdonia. Cosa in particolare apprezzate di questa etichetta indipendente italiana al 100%?

Vittorio

Considero Cinzia e Alberto un patrimonio della musica italiana. Ammiro tantissimo il coraggio e la coerenza coi quali perseguono i loro ideali di bellezza, umanità e creatività, sfidando questo tempo che sembra premiare tutto l’opposto.

Davide

A proposito di “Andrea Pazienza”… Ricordo che aveva un motto: “Prima pagare poi disegnare”. Motto declinato da lui e dagli amici in mille modi: prima pagare poi leggere, prima pagare poi ricevere, prima pagare poi copulare, prima pagare poi eccetera, come insomma “una legge della vita”. Certo, oggi fare musica non sempre paga, anzi, si è arrivati al paradosso che per pubblicare, esporre e perfino a volte per suonare in certi locali devono semmai prima pagare lo scrittore, l’artista, il gruppo musicale. E, spesso, anche a perdere. Cosa pensi di questa situazione oggi, credo peculiare soprattutto del nostro paese? Cosa ti e vi paga e vi appaga nel vostro lavoro musicale, vi motiva e rimotiva ancor prima di ogni aspetto commerciale ed economico?

Vittorio

Certe passioni (o vocazioni, se mi passi un termine che può sembrare retorico e pomposo, ma che personalmente non ritengo tale) non rispondono a criteri di tornaconto. E forse neppure di raziocinio. Potrei dire scherzosamente (ma non irrealisticamente) che sono come una gobba – chi ce l’ha, se la porta con sé sempre e dovunque, a prescindere da ogni altra considerazione.

Kurt Vonnegut scrisse (riferendosi alla letteratura, ma il concetto è lo stesso per qualunque forma d’arte): “nella maggior parte dei casi. gli scrittori fanno del loro meglio. Sono costretti a farlo. Non hanno scelta al riguardo. Gli artisti sono cellule specializzate all’interno di un unico enorme organismo, il genere umano. Queste cellule devono comportarsi così come stanno facendo, proprio come le cellule dei nostri cuori o delle nostre dita non possono che comportarsi come fanno”.

Aggiungerei che esistono remunerazioni di natura non economica. Io ne ho avute e ne ho molte, probabilmente più di quanto meriti. Mi considero fortunato, anche se a volte è faticoso portare avanti due esistenze in contemporanea (l’attività in campo musicale, e un’attività in tutt’altro campo, senza la quale sarei sotto un ponte da un pezzo).

Davide

Nel frattempo OSSI è divenuta anche una live band, Da chi è formata oltre a te e Simone?

Vittorio

Sul palco siamo in quattro. Ai tamburi c’è Silvio Brambilla, che fu il primo batterista dei Deadburger ed è un amico da una vita intera. Silvio ha la capacità di suonare con il clic in cuffia (cosa essenziale per gli Ossi, che usano molti loop elettronici) non solo con grande precisione ma anche e soprattutto senza perdere l’energia e la spontaneità del live drumming.

Alla chitarra c’è David John Noto, una vecchia conoscenza di Silvio e Simone (suonano insieme da anni ne Le Jardin Des Bruits, band dove militano anche altri due mei cari amici, Alessandro Casini e Tony Vivona della Deadburger Factory). David è per me una conoscenza recente (meno di un anno), ma con lui mi sono trovato subito benissimo, sia musicalmente che umanamente.

Non era facile portare sul palco, con una sola sei corde, quanto su disco era stato fatto dall’accoppiata Dome La Muerte / Andrea Appino. David ci è riuscito, e oltre a tutto portando il tocco della sua personalità.

I concerti stanno andando molto bene. Questo mese abbiamo in programma due date in Lombardia e una a Livorno. Dovrò suonare seduto, e col piedone destro per aria (mi sono rotto il tendine di Achille e ci vorrà ancora qualche mese prima di tornare alla normalità), ma mi diverto molto lo stesso, e la musica danza al posto mio.

Davide

Cosa seguirà?

Vittorio

Abbiamo iniziato a buttare giù idee per il possibile secondo album di OSSI. Nel frattempo, sto ultimando le registrazioni di due lavori prettamente sperimentali, “Vittorio Nistri – Filippo Panichi” e “Tre Lati Di Un Cerchio”, che saranno diversi da qualunque altra cosa io abbia fatto finora.

Davide

Grazie e à suivre…

 

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