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Intervista con Antonio Artese

16 min read

TWO WORLDS è il nuovo disco di ANTONIO ARTESE TRIO

Comunicato stampa di Stefano Dentice

Il nuovo lavoro discografico del trio del pianista jazz e compositore Antonio Artese è presente su tutte le piattaforme digitali da venerdì 9 dicembre 2022.

Prossimamente anche in copia fisica

Pubblicato dalla nota etichetta Abeat RecordsTwo Worlds è la nuova creatura discografica di Antonio Artese, già disponibile su tutte le piattaforme di streaming da venerdì 9 dicembre 2022 e, prossimamente, anche in copia fisica. Alla testa del suo elegante trio, il pianista jazz e compositore Antonio Artese è affiancato da due affermati musicisti: Stefano Battaglia (contrabbasso) e Alessandro Marzi (batteria). La tracklist è formata da nove brani, di cui sette originali scaturiti dal fervido estro compositivo di Artese, mentre Lila (ninna nanna ucraina) e Un Bel Dì (aria della Madama Butterfly di Giacomo Puccini) sono raffinati arrangiamenti del leader. Two Worlds è un disco che rappresenta un fascinoso continuum fra musica colta e jazz, due generi solo apparentemente agli antipodi. Dal mood impressionista e dalle colorazioni tipiche del Nord Europa, il tutto impreziosito da calde incursioni mediterranee, Two Worlds è un album dall’alto senso estetico, in solco contemporary jazz, il cui obiettivo è quello di superare gli steccati stilistici rigidamente legati alla musica classica e al jazz, attraverso un processo di maturità compositiva e di piena consapevolezza stilistica. Antonio Artese descrive così questo suo nuovo progetto discografico: «L’idea del CD Two Worlds nasce a Santa Barbara (California), in occasione di un concerto con il mio West Coast Trio, allo storico “Lobero Theater”, nella data palindroma del 22-02-2022. I due mondi sono quelli che ho frequentato sin dagli inizi della mia formazione musicale: l’amore per il jazz e la musica classica, l’improvvisazione e la composizione, la cultura italiana e quella degli Stati Uniti – e della California in particolare – dove ho vissuto a lungo. L’album è una collezione di sette composizioni originali e due arrangiamenti che vogliono rappresentare la riconciliazione e il superamento di questi apparenti dualismi. La scrittura, concepita per il trio acustico con pianoforte, si ispira ora al trio evansiano (al trio di Bill Evans, n.d.r.), ora al minimalismo nordeuropeo. La palette armonica e timbrica da cui attingo è il frutto di viaggi, contaminazioni e frequentazioni musicali eclettiche. Una vera e propria stratigrafia musicale accumulata durante gli anni, dove frammenti melodici, contesti armonici e cellule ritmiche del trio vengono, di volta in volta, ripensati e rivisti da angolazioni diverse».

https://www.antonioartese.com/

Intervista

Davide

Buongiorno Antonio. “Two Worlds”… I “due mondi” del titolo, e della title-track che apre il cd, sono quelli della musica classica e della musica jazz, della composizione e della improvvisazione, della cultura italiana e di quella statunitense. Due anime musicali, classica e jazz, considerate in contrasto tra di loro, e che ti hanno accompagnato fin dai primi anni del tuo studio musicale e di scoperte musicali. Con “Two Worlds” hai voluto però fare un punto più chiaro, dichiarato e definitivo di questo particolare bisogno di ricomporre alcuni dualismi musicali e di unificarli in una tua personale via di mezzo?

Antonio

Buongiorno anche a te Davide. Il tema a cui accenni in questa domanda è sicuramente difficile da trattare. Per me la musica è un’arte unica con una moltitudine di declinazioni in espressioni di stile, individualità, storicità, rappresentazioni e via discorrendo. Quando in generale si parla di generi musicali si sente sempre la necessità di fare dei distinguo, il che corrisponde da parte del musicista anche alla necessità di specializzarsi in un campo o in un filone per portare avanti la ricerca con serietà e profondità. Il mio CD è una sorta di “Statement”: oggi si può essere un pianista classico “rigoroso” in grado di sostenere un recital pianistico con un repertorio canonico o di lavorare in un ensemble di musica da camera, ma anche un pianista jazz che compone, arrangia, e ha un suo linguaggio specifico, frutto di una ricerca personale. I due mondi possono convivere e il risultato può essere molto interessante, come hanno dimostrato alcuni musicisti di talento.

Davide

Il jazz è entrato nel linguaggio cosiddetto colto di diversi grandi compositori classici fin dalle avanguardie storiche del ‘900. Penso a Darius Milhaud, a Igor Stravinsky, a Maurice Ravel, ad Aaron Copland, ovviamente a Gershwin e molti altri. E il viceversa. Attraverso quali ascolti e autori sei inizialmente approdato all’incontro tra la classica e il jazz?

Antonio

Premetto di aver ascoltato e di continuare ad ascoltare di tutto, perché è buona norma tenere le orecchie sempre ben aperte e lasciarsi ispirare da quello che fanno gli altri. Alcuni ascolti “seminali” per me sono stati Ravel e Debussy (per le armonie espanse utilizzate anche dal linguaggio del jazz), Stravinskij e Prokofiev per la loro “vis” ritmica, ma anche Poulenc e Bartók, ma anche Ennio Morricone, per citare uno dei contemporanei. Gershwin poi è l’esempio principe di un compositore che ha addirittura creato un proprio genere, frutto di commistione tra musica popolare e musica colta. Ho imparato letteralmente a memoria il Concerto in Fa e la Rapsodia in Blue, oltre ai preludi per pianoforte, che reputo assolutamente di prim’ordine.

Davide

Come hai lavorato a questi brani, attraverso quali altre parole e concetti chiave?

Antonio

Tutte le composizioni dell’album nascono da suggestioni visive o uditive, da paesaggi, da melodie che si sviluppano in una storia o in una immagine complessa. Penso ad Icarus, ad esempio, dove la suggestione del labirinto e del volo del personaggio mitologico mi hanno particolarmente impressionato: nel disco Icarus è imprigionato nel loop all’unisono del contrabbasso con il pianoforte che si ripete fino allo sviluppo della improvvisazione, dove invece la “gabbia” ritmica si scioglie e permette al nostro personaggio di planare attraverso le modulazioni, per poi ricadere nel labirinto. La storia di Icarus finisce notoriamente male, con il suo precipitare nell’Egeo, ma io mi permetto di farla finire nel labirinto, con una coazione a ripetere, una specie di circolo vizioso. O penso alla melodia di Hymn, dove il tema, quasi un corale, si trasforma in una sequenza di armonizzazioni ardue e linee angolari, con un pulsare ritmico ossessivo, quasi ad ispirare costernazione piuttosto che serenità. Osservare il mondo (anche da una piccola finestra e non solo dai viaggi importanti) e i paesaggi è sempre stata per me una fonte di ispirazione.

Davide

Interessante anche la dualità Stati Uniti d’America / Italia-Europa. Come descriveresti, secondo la tua esperienza, questi due mondi musicali: cosa nel jazz più caratterizza l’uno, cosa l’altro, e come ne hai fatta una tua mediazione?

Antonio

Ho trascorso i miei anni formativi della maturità nell’ambiente accademico della “University of California” a Santa Barbara. Respirare un ambiente meno “storicizzato” e “cristallizzato” aperto alle novità fa bene allo spirito – non solo del musicista jazz – ma di chiunque voglia concentrarsi su un percorso creativo di espressione personale. In italia, invece, ho avuto dei maestri formidabili che mi hanno dato una formazione pianistica e musicale “rigorosa”, sia in termini di tecnica che di repertorio. In California ho avuto la fortuna di incontrare musicisti che hanno lavorato a diretto contatto con le icone del jazz americano – e da cui ho imparato tantissimo: stile, modo di fare, swing, integrità e professionalità. Interessante vivere il cambio di prospettiva: dall’Italia si pensa al jazz statunitense come al modello “originale” a cui ispirarsi, dalle radici profonde, mentre dagli Stati Uniti si guarda all’Europa come al continente che ha preso la parte improvvisativa del jazz ed è riuscita ad espanderla oltre i confini della tradizione. La mia mediazione è stata quella di prendere le cose migliori da questi “due mondi”, con molta spontaneità e, soprattutto, senza pregiudizi.

Davide

Che tipo di intesa creativa e di confronto ci sono stati con Stefano Battaglia e Alessandro Marzi in questo nuovo lavoro del trio? Come avete portato insieme l’improvvisazione e il ritmo percussivo, che sono prerogative soprattutto del jazz, dentro il lavoro invece di composizione e di incontro con la musica cosiddetta colta o classica?

Antonio

Stefano Battaglia e Alessandro Marzi sono musicisti formidabili, aperti, sensibili, che prestano il loro fine orecchio all’interplay e all’interazione nel trio. Alcune scelte timbriche ed interpretative si sono consolidate durante le prove, altre sono nate in studio “impromptu”, vedi ad esempio il brano “Niente”, nato proprio da un groove di Alessandro e dai microfoni lasciati aperti da Francesco Ponticelli (il sound engineer in studio). In questo progetto ho cercato innanzitutto di “visualizzare” il suono del trio e, in seconda battuta, di curare gli arrangiamenti dei brani, rispettando al massimo la natura dei musicisti. Gli arrangiamenti, specialmente per quanto concerne la forma e le scelte armoniche dei brani, devono essere a mio avviso assolutamente “solidi”. Ciò permette un’ampia libertà improvvisativa – e di conseguenza garantisce ad ogni musicista la possibilità di esprimersi con autenticità.

Davide

Hai scelto di reinterpretare un’antica ninna nanna ucraina, “Lila”. Perché hai deciso questo preciso omaggio verso l’Ucraina, appunto, una ninna nanna e questa in particolare? Come l’hai rivisitata?

Antonio

Quando ho scritto l’arrangiamento di questa ninna nanna ucraina, che ho deciso di intitolare nel CD Lila, ma che originariamente è Luli, era appena scoppiata la guerra funesta con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia. Ho pensato alla tragedia dei bambini nei rifugi, con le mamme e i papà che cercano di farli addormentare in mezzo ai bombardamenti. La melodia, completamente ri-armonizzata, si apre con un cluster al pianoforte che simboleggia una esplosione, da cui nasce questa melodia esile, sussurrata, che prende poi corpo e che viene accompagnata da un pattern ritmico a volte un po’ militaresco e in sintonia con l’ambiente circostante. Il brano si conclude con la riproposta del tema iniziale, sospeso. Interessante, e anche tragico, notare come questa melodia sia comune a popoli appartenenti ad un’area geografica molto più ampia, che sono fratelli e cugini – e che ora si trucidano. Pazzesco!

Davide

E perché Puccini, e perché proprio l’aria “Un bel dì vedremo” dalla “Madama Butterfly”?

Antonio

Il brano sul tema pucciniano della Butterfly arriva dal programma del concerto tenuto a Santa Barbara al Lobero Theater nella data palindroma del 22- 02-2022. Volevo esplorare in una chiave diversa questo tema suggestivo e popolarissimo, che ho subito immaginato come una ballad, rivisitando la tragica vicenda d’amore di Cio Cio San e di Pinkerton, trasportandolo nella cornice drammatica della condizione femminile nel mondo arabo, donne che attendono da secoli (come Cio Cio San) il ritorno ad una normalità e riscatto del loro ruolo in queste società. Questo si può notare nella seconda parte del tema, con l’inserto doloroso e dissonante della scala mediorientale con il secondo grado abbassato, prima che il sapore nostalgico della ballad riprenda il sopravvento.

Davide

Probabilmente è tutt’altro, ma in copertina vi ho visto il Monviso (vi somiglia molto), il monte che per altro – quasi ideale trait d’union con gli USA – avrebbe ispirato il logo della casa cinematografica Paramount. In ogni caso, perché hai scelto un paesaggio montano sovrastato da un ulteriore paesaggio con un fiume a valle che incombe a rovescio sull’altro?

Antonio

La copertina del CD, come pure il layout degli inserti interni, è frutto dell’ottimo lavoro di Marina Barbensi, grafica dell’etichetta discografica Abeat Records. Era indubbiamente difficile condensare il concetto dei due mondi in tema grafico, senza cadere nell’ovvio o nell’incomprensibile. Abbiamo scelto un paesaggio “indefinito” ma reale, nel quale ognuno può vederci le proprie suggestioni. Capovolgendo la copertina, l’occhio percepisce tuttavia un altro paesaggio, a testimonianza che ciò che vediamo è frutto della particolare prospettiva da cui si osservano le cose.

Davide

Intense anche la tua attività come didatta e come promotore di eventi e rassegne, sia in Italia, sia negli USA. Quali sono i concetti preliminari e fondanti che metti a fuoco e ai quali tieni prima di tutto nel tuo insegnamento?

Antonio

L’insegnamento della musica, ma in generale di tutte le arti, è un’impresa affascinante e difficilissima. Insegno da tanto tempo – e fondamentali per me sono il rispetto di chi hai davanti (l’allievo) e il rispetto per quello che i compositori e gli artisti hanno creato. Reputo fondamentale analizzare testi e partiture con occhio critico, per capire quali siano le intenzioni del compositore. Cerco sempre di mettermi in ascolto delle motivazioni e delle passioni che spingono le persone con cui mi confronto (e in questo senso anche il pubblico) per poter offrire una prospettiva, un suggerimento, una soluzione tecnica, una proposta. Questo modus operandi permette a mio avviso di lasciarsi dietro le spalle un facile “dogmatismo”, soprattutto nell’insegnamento del pianoforte e della letteratura ad esso connessa – e di aprire la mente e il cuore al tesoro che i compositori e i grandi interpreti ci hanno lasciato, frutto della loro passione e del loro talento e di un lavoro durissimo. Su questi concetti naturalmente si innesta la necessità di delineare un percorso didattico “rigoroso” – come pure – nel caso di festival o di rassegne – di una offerta artistica “rigorosa” e di qualità. Quello che cerco di fare, soprattutto con le nuove generazioni di giovani musicisti o aspiranti tali, è di dare loro le possibilità che mi sono state offerte da persone che hanno ricoperto un ruolo fondamentale durante il mio percorso formativo: un consiglio, una referenza, un’opportunità, un contatto, o un vero e proprio scambio, quando è possibile.

Davide

Qual è la filosofia di fondo che anima la tua organizzazione e direzione di eventi festivalieri?

Antonio

Penso che il direttore artistico di un evento o di un festival abbia sempre, insieme alla produzione, la responsabilità di offrire una visione chiara, coerente e soprattutto onesta degli eventi che organizza, quindi di vagliare le proposte in base a questi principi. Cerco sempre di ascoltare a fondo tutte le proposte degli artisti che arrivano, prima ancora di leggerne i curricula, al di là della fattività o sostenibilità economica, e di offrire loro un orecchio aperto e “unbiased”. Altro elemento essenziale è quello di trattare i musicisti sempre con il massimo rispetto e la massima cura per quello che fanno, ma purtroppo questo non è il caso in tantissimi festival al giorno d’oggi: dal pagamento puntuale del cachet, all’offerta di un ambiente consono e di qualità in cui possano esprimersi, alla serietà dell’organizzazione, anche nei minimi dettagli. Come pure penso che ogni musicista abbia sempre diritto ad una risposta, positiva o negativa che sia, alla mail che ha scritto inviando la proposta artistica, anche se questo prende tempo ed energie. Ma è questione di serietà e professionalità, doti che nel nostro Paese scarseggiano anche in direttori di molti festival altisonanti. L’artista deve essere sempre messo nella migliore condizione possibile per esprimersi al massimo. Una rassegna è fatta di concerti che saranno indubbiamente migliori se questi principi che ho elencato qui su venissero applicati.

Davide

Va meglio per un musicista, specialmente jazz, trovarsi e lavorare negli USA o in Italia? O entrambe per una peculiare complementarità?

Antonio

Il jazz è un genere musicale di nicchia, negli Stati Uniti come in Italia. Le opportunità negli Stati Uniti sono indiscutibilmente maggiori, non vi è coinvolta la politica come nel nostro Bel Paese (assessori, comitati, bandi incomprensibili, gabelle varie e via discorrendo). I fondi assegnati dal settore pubblico sono irrisori, molte associazioni e fondazioni possono contare soltanto sulle donazioni di privati e sulla vendita dei biglietti dei concerti. Tuttavia la snellezza delle organizzazioni permette agli artisti, come anche agli imprenditori culturali, di avere più spazio e di poter rischiare. In Italia, purtroppo, la burocrazia e le regole assurde nel settore dello spettacolo penalizzano i piccoli eventi di musica dal vivo, trattati alla stregua di concerti rock di 100mila persone. Allora molti gettano la spugna, altri se non lo fanno è soltanto perché sono degli inguaribili romantici, che sacrificano passione, tempo e soldi per la musica. Trovo tutto ciò pazzesco e ingiusto.

Davide

Cosa seguirà?

Antonio

Sto lavorando ad un album di piano solo, che ho in programma di registrare il prossimo marzo. Si tratta di un diario intimo, raccontato senza filtri, da qui il titolo che ho già scelto: Unfiltred. Anche qui ci saranno composizioni originali e alcuni arrangiamenti di brani che sono a me particolarmente cari, curando nei minimi dettagli il suono e scegliendo per l’occasione un pianoforte d’eccezione.

Davide

Grazie e à suivre…

 

Biografia

Antonio Artese nasce a Termoli in Molise nel 1961 da una famiglia di insegnanti. Inizia lo studio del pianoforte a sei anni e a dodici viene ammesso al Conservatorio di Campobasso “L. Perosi”. Consegue a vent’anni il Diploma di Pianoforte Principale presso il Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma, sotto la guida dei maestri Bianca Maria Orlando e Massimo Marzi e si perfeziona con il pianista Sergio Fiorentino a Napoli. Nel 1986 si laurea brillantemente in Filosofia Teoretica presso l’Università di Chieti e continua gli studi frequentando il corso di laurea in Musicologia presso il DAMS a Bologna.

Nel 1991 riceve una borsa di studio poter studiare in California negli Stati Uniti. Nel 1992 viene accettato nel programma di Dottorato presso la University of California a Santa Barbara, conseguendo il titolo di Doctor of Musical Arts nel 2000 sotto la guida di Peter Yazbeck e Paul Berkowitz. Rimane negli Stati Uniti fino al 2003.

Nel 1992 vince il Primo Premio alla Performing Arts Scholarship Foundation Competition a Santa Barbara, e riceve un grant dall’Esperia Foundation per studiare a Tours con il pianista russo Alexander Slobodyanik.

Negli anni formativi partecipa a corsi di perfezionamento e masterclasses con docenti prestigiosi quali Mikael Eliasen, Anton Kuerti, Elio Battaglia, Alessandro Specchi, Boris Bloch. Negli Stati Uniti affianca agli studi pianistici classici una ricerca personale del linguaggio del jazz, che lo porta a suonare come solista e come leader in sue formazioni a San Francisco, Oakland, Los Angeles, Santa Barbara, Londra, Stoccolma, Palma de Mallorca e in tanti festival italiani.

Il suo stile personalissimo e le sue capacità di improvvisazione al pianoforte, sia nel jazz che nella musica classica, gli permettono di esprimersi con naturalezza nel linguaggio di vari generi musicali. Collabora in ambito jazzistico con musicisti di rilievo tra cui Bill Smith, Maurizio Giammarco, Yuri Golubev, Gabriele Mirabassi, Stefano “Cocco” Cantini, Nate Birkey, Chris Colangelo, Jim Connolly, Klaus Lessmann, Barbara Casini. Mauro Negri, Alessandro Marzi, Mirco Mariottini, Gabriele Evangelista, Luis Munoz.

In ambito classico ha collaborato con il violinista Alberto Bologni, la violoncellista Judith Glyde, il flautista Paolo Zampini.  Attento agli sviluppi delle nuove generazioni di giovani musicisti, nel 1997 fonda gli Amici del Festival Adriatico, dove insieme a colleghi musicisti provenienti da tutto il mondo, per dieci anni in estate porta concerti di qualità anche nei piccoli borghi del Molise. Nel 2007 fonda ed è direttore artistico del Festival Adriatico delle Musiche a Termoli, una rassegna estiva internazionale che vede per la prima volta la rivalutazione della Piazza Cattedrale del Borgo Vecchio come location e palcoscenico ideali per concerti di qualità.

Dal 2003 al 2013 affianca alla carriera di pianista e compositore quella di amministratore di programmi universitari internazionali a Siena (University of California) e a Firenze (International Studies Institute). Nel 2013 fonda la Florentia Consort, associazione che promuove un gruppo di giovani musicisti e un nuovo programma di Education Abroad dedicato a studenti universitari statunitensi per le performing arts.

Nel 1996 a Santa Barbara registra l’album Italian Sketches per la Digital Domain di New York e produce il video “Improvisation: a narrative structure” con il violinista Gilles Apap, la violoncellista Gianna Abondolo, e il grande percussionista californiano John Bergamo. Nel 2001 pubblica il CD “Live in Santa Barbara” per la Opus 1 e nel 2006 registra a Siena l’album “The Change” in trio.

Tra gli ultimi lavori il CD “Voyage” con composizioni originali per clarinetto, pianoforte, contrabbasso e batteria pubblicato dalla Sangallo Records 2019.  Nel 2019 appare in due documentari della PBS americana per la serie “Now Hear This” con il celebre Scott Yoo.

Tra le sue composizioni vi sono la Suite per piano “The Inner Garden” e “Waters,” un ciclo di quattro sketches per violoncello e pianoforte, dedicati alla violoncellista Judith Glyde, oltre ad una serie di arrangiamenti per pianoforte e a diversi brani originali in ambito jazzistico.

Come didatta, insegna pianoforte in Italia e negli Stati Uniti, in studi privati e all’università, tiene corsi di Ear Training e di Teoria, di Lingua Italiana e Letteratura Operistica presso la University of California a Santa Barbara. Negli anni 1998-2003 collabora come maestro concertatore con cantanti e direttori di orchestra a diverse produzioni operistiche a Santa Barbara, San Francisco e a Berkeley, in California. Nel 2013 promuove corsi di perfezionamento musicale ad Alba e a Firenze.

Nel 2014 Artese, prendendo spunto dalla sinestesia nelle opere di Alexander Skrjabin, si appassiona all’esplorazione della multisensorialità, creando un progetto di performance multisensoriale intitolato “Mysterium”, dove alla musica vengono associati i colori e i profumi.  Lancia la prima edizione del “BrainWave Festival: musica per chi ha cervello”, dove si esplorano le connessioni tra musica e neurologia.  Dal 2014 è invitato regolarmente a tenere lezioni sull’estetica e la multisensorialità nel corso di Perfezionamento di Musica e Musicoterapia in Neurologia, promosso dalla Clinica Neurologia della Facoltà di Medicina presso l’Università di Ferrara.

Nel 2016, insieme alla moglie Samantha Stout, fonda la Spectra Enterprises, che ha come core business la produzione di eventi cultural, concerti, e performances multisensoriali.

Nella primavera 2019 presso il Museo Marino Marini, Antonio Artese lancia una rassegna intitolata “Cryptic Music”, una serie di concerti con un format originalissimo che mira alla riscoperta dell’ascolto del suono non-filtrato dalle convenzioni della musica classica dal vivo.  A ottobre del 2019 viene invitato alla Florence Biennale dove produce l’evento multisensoriale “Perfume Painting”, concerto con live music e action painting sul tema di profumi, in collaborazione con la pittrice Giorgia Marzi di Roma. Nel 2020 lancia il progetto “Romanza Italiana” in collaborazione con il soprano Maria Luigia Borsi. 

Nel 2020 idea e lancia la prima edizione dell’Argiano Baroque Music Festival presso la cinquecentesca Villa di Argiano, a Montalcino, in Toscana. Il Festival vanta la partecipazione di un roster artisti internazionali di prim’ordine nell’ambito della musica Barocca.

Dal 2017 Antonio Artese è il Dean e Direttore del Chigiana Global Academy Program, presso l’Accademia Musicale Chigiana a Siena, con un innovativo programma universitario disegnato per gli studenti di Performing Arts delle migliori istituzioni accademiche internazionali. 

 

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