Le ciociare di Capizzi – Marinella Fiume
4 min readIacobellieditore
Saggistica storica
Pagg. 128
ISBN 9788862525275
Prezzo Euro 16,00
Le marocchinate
Forse sono più note le violenze perpetrate dai goumier marocchini dopo lo sfondamento della linea Gustav, avvenuto nel maggio del 1944, probabilmente per effetto di quel capolavoro di cinematografia italiana che risponde al nome di La Ciociara. Purtroppo questi soldati dell’Africa del Nord si comportarono così in Italia ovunque furono impiegati, in pratica dalla Sicilia alla Toscana, e a farne conoscenza per primi e a sopportarne le violenze furono proprio i siciliani, soprattutto donne di qualsiasi età, dalla bambina alla vecchietta, ma non furono risparmiati nemmeno gli uomini, in particolare i giovinetti.
In pratica quasi tutta la penisola ebbe a conoscere l’orrore delle marocchinate, un neologismo che potrebbe indurre a credere a fatti di poca importanza e invece si trattò di un fenomeno rilevante, che ebbe pesanti conseguenze su chi ne fu vittima: malattie veneree, danni fisici, a seguito di percosse e altro, turbe psichiche, e in non pochi casi dopo circa nove mesi il frutto dello stupro.
Di quel che accadde in Sicilia (correva l’estate del 1943 e l’isola era teatro di grandi combattimenti dopo lo sbarco degli alleati che avevano dato vita all’operazione Husky), in particolare a Capizzi, un piccolo centro dei Nebrodi, viene raccontato in Le ciociare di Capizzi, un libro con cui Marinella Fiume, sempre dalla parte delle donne, parla del terrore diffuso da queste truppe marocchine, che non si accontentavano di rubare, ma usavano anche violenza alle donne e ai giovinetti. A raccontare verbalmente alla scrittrice siciliana quei fatti non sono le vittime, che molto spesso hanno preferito tacere, per pudore, ma anche per sconforto, bensì le nipoti, che hanno saputo dalle nonne, perché quel silenzio osservato in pubblico non c’è stato ovviamente in privato, un po’ per uno sfogo da femmina a femmina, un po’ per mettere in guardia le discendenti da ipotetici, ma non infondati pericoli.
Grande merito di Marinella Fiume è non aver generalizzato, non avere insomma intavolato uno spirito razzista, preferendo invece la ricerca del contesto e delle responsabilità, da ascrivere queste ai comandanti francesi, che in pratica diedero carta bianca a gente che veniva da tribù in cui la violenza poteva considerarsi lecita. A ciò inoltre si deve aggiungere che le lamentele rivolte ai comandi alleati, con la preghiera di far cessare le violenze, rimasero inascoltate. Per fortuna ci furono i siciliani che si difesero e non pochi di questi taglia gole non ritornarono più in Africa, uccisi con bastonate, oppure evirati e poi sepolti ancora vivi.
In questo contesto assume particolare valenza uno studio sociologico di queste popolazione marocchine per comprendere il perché del loro comportamento; è fin troppo evidente che c’era una base costituita da convinzioni ataviche sui diritti assoluti dei combattenti, ma proprio per questo chi di dovere avrebbe dovuto limitarli e non lo fece, il che equivalse a una tacita autorizzazione a consentire gli eccessi. Del resto, proprio nella stessa seconda guerra mondiale, si fecero notare, usando sistematicamente violenza alle donne tedesche, anche i russi, che, guarda caso, stanno mostrando analoghi comportamenti anche in Ucraina, nel corso di questo conflitto, segno che c’è probabilmente un’attitudine al riguardo, che però i comandanti si guardano bene dal contrastare.
E’ un libro che Marinella Fiume ha sentito in modo particolare, sia per la sua costante politica volta al riscatto femminile, sia perché fra tutti gli abusi di cui sono vittime le donne quello sessuale è il più grave, è quello che lascia strascichi pesanti che non scompariranno mai. In particolare è riuscita, pur conservando l’anonimato delle interlocutrici, a dare voce a chi voce non ha più, ma soprattutto, senza giustificare i marocchini autori di violenze, poveri selvaggi utilizzati militarmente per la loro capacità di usare nel migliore dei modi il pugnale, è stata capace di alzare il dito accusatore verso chi ha permesso questo, vale a dire i comandi alleati, sovente inclini a considerare gli italiani inferiori e fra questi, ancor più inferiori, i siciliani. Completa questo interessante saggio storico un’appendice di Maria Pia Fontana dal titolo Una prospettiva psicosociale sugli stupri di guerra, un’analisi attenta sulle cause e sugli effetti delle battaglie sul corpo delle donne.
Se a parlare, per interposta persona, sono le abusate di Capizzi, il fenomeno è però molto più esteso, così che si tratta di uno studio sulla violenza dei maschi nei confronti delle femmine nel corso delle guerre.
Da leggere, senza dubbio.
Marinella Fiume, nata a Noto (Sr), laureata in Lettere classiche, è dottore di ricerca in Lingua e letteratura italiana. È stata sindaca del Comune di Fiumefreddo di Sicilia (Ct) e socia fondatrice e presidente dell’Associazione fiumefreddese antiracket e antiusura “Carlo Alberto Dalla Chiesa”. Già responsabile della Commissione Arte e cultura della Fidapa e presidente del Soroptimist “Val di Noto”. Ha pubblicato saggi, biografie, racconti, romanzi, sceneggiature, canzoni; nella rivista Notabilis cura la rubrica fissa “Donne che ballano coi lupi”. Ha ricevuto diversi premi per il suo impegno sociale e la sua produzione letteraria, tra gli altri, il Premio “Franca Pieroni Bortolotti” della Società delle Storiche e del Comune di Firenze (2000).
Tra le sue opere: Feudo del mare La stagione delle donne (2010); Di madre in figlia – Vita di una guaritrice di campagna (2014); La bolgia delle eretiche (2017); Ammagatrìci (2019); Le ciociare di Capizzi (2020).