Edizioni Adelphi
Storia
Pagg. 471
ISBN 9788845929830
Prezzo Euro 23,00
La verità, solo la verità
Quando ho letto Vita e destino, un’opera impegnata e impegnativa sul tema del bene e del male, ho avuto come una folgorazione, ho avvertito chiaramente che questo narratore ebreo e di origine ucraina aveva superato quell’invisibile confine, quasi sempre invalicabile, fra verità oggettiva e verità soggettiva, quella realtà così difficile da trovare e, soprattutto, da raccontare. Del resto l’autore si è sempre attenuto scrupolosamente a questo principio: «Chi scrive ha il dovere di raccontare una verità tremenda, e chi legge ha il dovere civile di conoscerla, questa verità.» Ed è così che sono nati i suoi capolavori, che piano piano, ora che è scomparso da tempo, si vanno scoprendo e vengono portati all’attenzione del mondo dei lettori. E’ anche questo il caso di Uno scrittore in guerra (1941 – 1945) con cui vengono narrate, peraltro in presa diretta, i fatti della seconda guerra mondiale sul fronte orientale. Grossman era inviato speciale di Krasnaja zvezda (Stella Rossa), il giornale dell’esercito sovietico, di cui scrisse dalle prime disastrose fasi che videro la rapida avanzata delle truppe tedesche fino alla fine del conflitto che lo portò a essere presente in una Berlino distrutta, una visione apocalittica, la fine ingloriosa della follia nazista.
Dove c’era un fronte di battaglia Grossman c’era; che si trattasse della sua Ucraina, di Mosca quasi assediata o di Stalingrado quest’uomo, fuori dai canoni in tutto (si pensi che non era iscritto al partito comunista), osservava, intervistava grandi generali e umili soldati, raccoglieva gli sfoghi e le paure, attraverso la sua penna i soldati sovietici ritrovavano l’umanità soffocata dalla violenza e anche laddove splendeva l’eroismo – e per altri trionfava la retorica – lui si limitava a raccontare con un tono sobrio, senza esaltazioni, solo la guerra, le distruzioni, l’orrore, le speranze. In questo modo i suoi articoli erano seguiti da un numero via via crescente di lettori che si identificavano con i personaggi in essi citati, che vedevano in Grossman uno di loro, non di certo l’esponente del partito che chiedeva agli altri sacrifici e che poi si prendeva tutti i meriti. La gente capiva che quell’uomo coraggioso che descriveva con grande efficacia ed empatia la quotidianità di chi combatteva sapeva parlare con il cuore, sapeva porgere la verità senza remore e ostacoli. Può apparire incredibile che in un regime come quello sovietico, soprattutto in epoca staliniana, si potesse essere pubblicamente sinceri, ma nei posti chiave c’era chi capiva che cosa volessero i lettori e che questo dovesse essere dato a loro, pur con qualche taglio di tanto in tanto, per mantenere saldo quel morale, quello spirito patriottico di cui tanto aveva bisogno un popolo in guerra. Fra l’altro, lo stile di Grossman è di grande effetto, capace come è di descrivere poeticamente la bellezza e la serenità della natura, oppure di far piombare chi legge nell’angoscia più profonda come quando parla del lager di Treblinka, un’autentica discesa all’inferno.
L’autore, per i suoi articoli, si serviva delle annotazioni su taccuini, gli stessi che, opportunamente raccordati e introdotti da una parte propedeutica che tende a collegare gli uni agli altri, sono stati utilizzati da Antony Beevor e Luba Vinogradova per scrivere questo libro, un’opera di valore non solo letterario, ma soprattutto di testimonianza storica di assoluta rilevanza, meritevole senz’altro di attenta lettura.
Vasilij Grossman (Berdyciv, 12 dicembre 1905 – Mosca, 14 settembre 1964) è stato un giornalista e scrittore sovietico di origine ebraica.
Diventò ingegnere e dopo essere cresciuto a Ginevra e aver studiato a Kiev, all’epoca dei piani quinquennali credette talmente nella costruzione dell’ “uomo nuovo” da abbandonare i cantieri minerari del Donbuss, dove lavorava, per mettersi a raccontare l’epopea dell’Unione Sovietica.
Fu corrispondente di guerra per il quotidiano dell’esercito “Stella rossa” e seguì il fronte fino alla Germania.
In quel periodo cominciò a comporre una grande opera sulla guerra, incentrata sulla Battaglia di Stalingrado, e diede alle stampe “Il popolo è immortale” (1943), esaltazione dei sacrifici sofferti dai popoli dell’Unione Sovietica durante l’invasione tedesca del 1941.
Tra il 1944 e il 1945 lavorò a un’opera che documentava i crimini di guerra nazisti nei territori sovietici contro gli ebrei (“Il libro nero“).
Grossman, ebreo sovietico, scrittore e giornalista, conobbe perciò direttamente le devastazioni della seconda guerra mondiale, la lotta contro i nazisti, la sconfitta di Hitler quindi l’ascesa di Stalin.
Dopo aver assistito alla campagna antisemita (fra il 1949 e il 1953) si trovò in dissidio con il regime e cadde in disgrazia.
Così la stesura finale della sua grande opera, Vita e Destino, venne sequestrata e non avrebbe mai visto la luce se qualcuno non avesse conservato e fatto pervenire clandestinamente una o due copie a Losanna, dove fu stampato nel 1980.