Una “geomanzia” sulla via delle madri.
Carthago edizioni, 2019.
Un viaggio di tre amiche verso sud per portare una rosa a Salvia di Lucania sulla lapide di Giovanni Passannante, dopo aver visto in un cinema di Milano un film di Ulderico Pesce sull’anarchico che nel 1878 attentò senza riuscirci alla vita di re Umberto con un temperino comprato il giorno prima. E il viaggio riconnette tra loro luoghi lontani, ricordanze di viaggi precedenti che assomigliano a una periodica transumanza, a un bisogno non solo spirituale ma persino biologico di ciclici ritorni, tra memorie di esperienze, incontri, microracconti, digressioni erudite e citazioni di libri letti e amati, episodi di vita che si credevano dimenticati e che riaffiorano secondo accostamenti analogici, imprevedibili, ondivaghi, luoghi che ricordano altri luoghi in improvvisi déjà-vu o addirittura sollecitano a cercare nuove tracce nelle ossa della terra o alzando lo sguardo al cielo, alle costellazioni, agli abissi profondi oltre la Via Lattea, richiedendo a chi legge lo sforzo di abbandonarvisi in un’erranza che non promette mete, ma invita al cammino…
Non è una flânerie come la conosciamo da Charles Baudelaire e Walter Benjamin, ma qualcosa di molto diverso, di nuovo e di antico, in cui lo sguardo è “femminile” e la percezione del tempo non è lineare. Le tre amiche fanno un viaggio definendosi uccelle o civette, come le antichissime dee uccello studiate dall’archeologa Marija Gimbutas. Con innata perizia archeologica Rita Bonfiglio (scrittrice e animatrice culturale residente a Milano) e le sue amiche fanno riaffiorare tracce sedimentate di un femmineo rimosso e cosmopolita, che percorre le culture d’Oriente, la Pianura Padana come terra di mezzo della via dell’ambra dalle lande iperboree al Mediterraneo: ecco le basilisse del titolo, le regine. La Milano contestataria degli anni ’70, le sue Madonne nascoste, le icone di vergini brune dei monti lucani, pugliesi e calabri, la città di Salerno e la sua scuola medica con le mulieres rhizotomoi eredi delle più antiche Sibille abitatrici di antri, i miti e le tradizioni siciliane, la poesia di Rocco Scotellaro, l’agape paleocristiana che affonda nei riti iniziatici femminili, i Misteri Eleusini, i menhir e i dolmen, il lapislazzulo di Iside, Ishtar e Inanna (lapis azul, pietra azzurra, dal persiano lazward) che sopravvive nel colore del mantello della Madonna, i sogni del mattino che si fanno Morgengabe (il dono-dote di nozze delle tradizioni longobarde), i paesaggi lunari dei calanchi di Aliano decenni prima che il poeta Franco Arminio diventasse il pioniere della paesologia, i quadri di Carlo Levi e le sue pagine indimenticabili di Cristo si è fermato a Eboli, Matera e i suoi dintorni amati dal Pasolini del Vangelo secondo Matteo, le simbologie delle chiese e del Castel del Monte e i mandala disegnati dai monaci tibetani, la mistica indistruttibile di luoghi come Notre Dame, recuperata pazientemente in tutta la sua stratigrafia, il mistero della maternità di Maria, quello di Elisabetta e quello di Rea Silvia fecondata dal dio Marte (un amante invisibile, una vergine sacra che ricorda la più potente partenogenesi di dee antichissime), l’etrusca Lucina, la dea del parto, le lande brulle delle Murge, le etimologie che serbano mappe segrete per percorsi antropologici inediti, Palermo (Pan-ormos, la città tutto porto) e i suoi sincretismi ai tempi di Federico II, i viaggi dei pellegrini lungo la via Francigena e il cammino di Santiago, in un mescolarsi di genti: greci e latini, franchi, fiamminghi, scandinavi, italici, arabi, fino ai nuovi arrivi dalle rotte balcaniche e agli sbarchi dei profughi climatici dal continente africano, il mito di Europa a sintesi di tutti i viaggi verso Occidente. “Ci sono luoghi del ritrovamento, dove s’infrangono luminosità invisibili, direzioni che s’avvolgono, come rose dei venti interiori della terra. Geomanzie, correnti, a seguire anche vie d’acqua, sacre da moltissimo tempo” (pp. 58-59). Sulla lunetta del portale di Sovereto una figurina d’uomo sale verso la Vergine Maria su una scala a pioli poggiata sulle acque. “Scalette salgono i profughi del mare di mezzo. Per approdare sul ponte delle navi di soccorso, scalette che emergono dalle acque, per loro, i venuti dalle acque (…). Entriamo in una silenziosa mitografia, che ci sovverte leggermente, un divenir vasto di tracce, richiami, e l’eco dei luoghi… Lingua viaggiante, come fosse dimentico sanscrito in fuga di pellegrini globali, emerso in qualsiasi punto, più nudo delle terre (…). Forse per questo, passo e ripasso da questo punto d’inizio, e ingrandisco il suo confine, trovo in me i semi del cammino, che si aprono” (pp. 61-62).
Come una Kore antica vincolata al ritorno dal sortilegio dei chicchi di melograno, Rita Bonfiglio con le sue amiche è chiamata ai suoi ricorsivi viaggi a sud. “Ora che ovunque come Madonne portiamo in noi le nuvole dell’essere, ora – penso – più ardua ma anche più sottile l’attenzione, nella sua inquietudine a cogliere il gesto del rivolgimento, che s’immerge in noi, come si rivolgono i fieni, e le lame poi entreranno nella terra” (p. 28).
Il mondo intero si fa libro da decifrare, scoprendone una pagina sotto l’altra, svolgendolo e sfogliandolo avanti e indietro per coglierne i rimandi intratestuali, le corrispondenze intime, le glosse a margine. “Una pratica luminosa di cui siamo nella cerca da millenni, cerca di una ragione amorosa, così profonda da poter raggiungere il cuore sepolto della ragione” (p. 70). Una ragione che non è il logos patriarcale, che non costruisce graduatorie e gerarchie tra i saperi, che si avvicina a ogni piccola o grande cosa con sguardo aperto, decoloniale, interdisciplinare, scevro da pregiudizi, immaginale.
“Sì, ho detto andiamo con ordine, ma pur mi colgo in una beatitudine del divagare, e ora la nostra storia sembra cominciare ad appartenere a un tempo leggermente reversibile, diramante, frattale, negli strati di diverse geografie che percorre, delle loro derive” (p. 89).
Il viaggio al paese di Giovanni Passannante, fino a Salvia di Lucania, ribattezzata Savoia di Lucania dalla lingua dei padroni, in una rinominazione prepotente e ritorsiva, è solo lo spunto per recuperare il rimosso di mille altre storie e luoghi, che offrono la memoria marginale di popoli vinti, di oppressi (contadini, umili, stranieri) e oppresse (le donne di ogni tempo) a chi la sa leggere e a chi ha la pazienza di decifrarla perché non percorre frettolosamente i luoghi, in un turismo onnivoro e consumistico, ma si pone in ascolto di echi e richiami e accetta l’invito a tornare, nell’eterno gioco della seduzione, del dialogo, della cura.
Claudia Mazzilli insegna lettere al liceo classico di Altamura. Ha pubblicato i romanzi Io sono Medea (Nulla die 2021) e Controcanto in Verdargento (Ortica 2022).