KULT Underground

una della più "antiche" e-zine italiane – attiva dal 1994

Intervista con Giorgio Pinardi

10 min read

ME VS MYSELF

AIÒN

Precedente intervista

https://kultunderground.org/art/38322/

MeVsMyself è il progetto di Giorgio Pinardi, cantante e sperimentatore milanese che ha pubblicato, con Alterjinga Records, il suo terzo lavoro dal titolo “Aiòn”.

Lavoro di grande qualità per sola voce, “Aiòn” si ispira a svariate tecniche di sperimentazione vocale e a una World Music globale, attingendo alle più disparate tradizioni etniche e culturali.

Suoi precedenti dischi “Yggdrasill” (2015) e “Mictlàn” (2019).

“Aiòn” è stato realizzato con Paolo Novelli presso Panidea Studios di Alessandria.

Brani:

Yielbongura / Sgriob / Hyggelig / Leys / Waldeinsamkeit / Rwty / Kamtar / aPHaSÌa / Nèkya

Intervista

Davide

Ciao Giorgio e ben ritrovato su queste pagine. “Aiòn” è il tuo terzo lavoro del progetto MeVsMyself, nuovamente realizzato con la sola tua voce più o meno manipolata elettronicamente. Partiamo dal titolo: ti riferisci allo Aiòn della mitologia, il figlio di Chronos, nonché della filosofia, la forza vitale cioè che Jung accostò al concetto induista di kundalini? O cos’altro?

Giorgio

Ciao Davide e grazie per avermi nuovamente concesso questo prezioso spazio all’interno di Kult Underground. Aiòn è proprio il figlio di Chronos, per gli antichi Greci un modo di indicare l’eternità di un istante, destinato quindi a non terminare mai, ma anche un modo di riferirsi – proprio grazie all’accostamento con kundalini – alle capacità recondite in noi, la vera e propria scintilla divina insita in ognuno che può esprimere creatività, potenziale umano e spirituale.

Davide

“Aiòn” sembra attingere soprattutto dai ritmi e dalla musica africana. A quali culture vocali e musicali ti sei rivolto nello specifico con questo lavoro? Quali hai studiate in particolare e come le hai rivisitate, attraverso quale filo conduttore?

Giorgio

Sicuramente l’Africa e i suoi innumerevoli stili, ritmi e musiche rappresenta sempre una forte fascinazione. Più l’approfondisco, più mi rendo conto di saperne davvero poco e, per quanto si possa dire di un po’ tutta la musica quando si tenta un approfondimento rigoroso, mi stimola molto quanto poco in Occidente si sappia e si possa codificare di una quantità sterminata di musiche in parte arrivata alle nostre orecchie, in parte distorta, in altra parte inesorabilmente perduta.

In questo disco ho voluto impostare un viaggio attraverso diverse culture vocali, tentando di contrapporle – come via di inaspettato incontro e avvicinamento – con stili derivativi decisamente più Occidentali, come sempre rielaborati in chiave molto personale. Ecco quindi il mio immaginare la scoperta del blues da parte di un villaggio tradizionale africano, che si evolve nel Gospel di chi non ha mai sentito il termine ma, involontariamente, ne offre una propria interpretazione. Idem per il funk che incontra la musica orientale e altro ancora. Le tradizioni rielaborate sono diverse con, tra gli altri, inserti di musica latina o mediorientale molto sfumati, per creare un ponte tra generi come il jazz, l’hard-rock progressive, l’elettronica, il funk, il blues, etc..

Davide

Qual è stato il tuo approccio compositivo? Hai composto e poi portate le varie parti in studio o è stato un processo creativo più improvvisato, costruito su alcune idee di base e man mano svolte in studio tra le varie macchine via via sperimentate e usate con Paolo Novelli?

Giorgio

L’approccio compositivo è sempre fondato sulla libera improvvisazione. Il periodo del lockdown ha però imposto un passo più lento e meditativo alla creazione, dove mi sono ritrovato a mettere in discussione, spesso scartare, tantissimo materiale. Questo processo ha permesso di concepire molto spontaneamente una sorta di pre-produzione dei brani che presso gli studi Panidea di Paolo Novelli, sono stati registrati ufficialmente, rimessi ulteriormente in discussione e soprattutto mixati per tirarne fuori nel modo migliore ogni caratteristica, non solo timbrica. Lo studio di registrazione ha sempre arricchito e mai snaturato ciò che al 90% era già a fuoco, a livello di direzione musicale ed espresssiva. In questo il lavoro di Paolo si è dimostrato di fondamentale e di preziosa importanza, come d’altronde per tutti i precedenti album. Sento anche un’evoluzione nel tipo di suono complessivo dato all’album, pensando al materiale molto eterogeneo che lo compone. Mi piace l’idea che l’intesa professionale tra noi cresca, album dopo album, permettendo di andare nella migliore direzione possibile, verso una definizione del suono impossibile senza il suo fondamentale contributo.

Davide

I titoli, per lo più parole intraducibili e quindi intimamente connesse alla culture che li hanno originati, sono tutti molto interessanti e tutti da te spiegati tra le note di copertine, a cominciare da “Yielbongura”. Yielbongura, per la tribù Dagara (Ghana e Burkina Faso), definisce le cose che non si possono acquisire dai libri ma solo dalla propria esperienza. C’è qualcosa, nelle tue esperienze di canto e di ricerca vocale, che hai acquisito solo attraverso te stesso e l’esperienza e che nessun libro o trattato o maestro di canto avrebbero potuto mai trasferirti?

Giorgio

Questa è una domanda molto stimolante, ti ringrazio. Il mio percorso di studio e approfondimento, ma anche e soprattutto artistico-espressivo e persino didattico da insegnante, mi ha portato a concepire l’improvvisazione come uno strumento conoscitivo molto profondo. Di fatto quando improvviso io sto indagando e interrogando me stesso, portandomi verso un limite che non è traducibile in parole, una dimensione del suono di cui posso anche cogliere la partenza ma mai l’arrivo. Quando questa condizione di instabilità positiva viene raggiunta, l’esperire l’atto creativo estemporaneo mi conduce ad un abbandono delle mie sicurezze dove apprendere ciò che poi traduco nell’improvvisare stesso. È un processo dove diventa fondamentale prendersi consapevolmente dei rischi e non si impara in nessun libro o trattato.

Davide

“Sgriob” è invece una parola gaelica che descrive un formicolio al labbro superiore prima di sorseggiare del whisky. Ma ho letto che ci sono vari tipi di “sgriob”, anche prima di ricevere un bacio, eccetera. Insomma, “a tingle of anticipation…”, un formicolìo che anticipa il piacere. Tra parola e canto o la voce tra fenomeno e oggetto pulsionale (per dirla con Lacan), che tipo di piacere e poi di benessere è per te l’uso della voce?

Giorgio

La Voce per me è un canale emotivo e di riscoperta identitaria davvero potente. Ciò che amo dello strumento Voce è il suo dare accesso a un caleidoscopio di emozioni, anche contrastanti. Piacere insieme al suo contrario e viceversa, perché per me cantare non è solo bianco o nero, ma tutta una serie di sfumature che si compenetrano ad ogni suono e/o silenzio in modo diverso. Come per le diverse interpretazioni che la stessa parola può avere, anche il suono può esprimere davvero un numero veramente ampio di significati, seppur finito. È anche in questo limite che sta il suo fascino: disporre di uno strumento che si scontra con dei confini anatomici, superati dall’umana creatività che porta una serie di muscoli, cartilagini, terminazioni nervose a farci esprimere artisticamente e umanamente. Qualcosa di sbalorditivo, ogni volta che ci penso!

Davide

“Higgelig” è invece una parola danese che significa abbracciare, e descrive una sensazione di benessere che si prova nel trovarci in una atmosfera conviviale confortevole e accogliente. “Leys” si riferisce alle linee geomantiche ipotizzate da Watkins, le quali collegherebbero alcuni siti archeologici a poteri soprannaturali. “Waldeinsamkeit” è una parola tedesca che, tradotta letteralmente, significa “solitudine della foresta”, e descrive la solitaria contemplazione della natura. “Rwty” è il nome antico della Sfinge egizia, e significa “Dio-Leone”. “Kamtar” fu una mitica città della stregoneria sperduta nel deserto in cui visse Ermete Trismegisto… Tutti titoli e riferimenti particolarmente ricercati. Sono queste stesse parole a suggerirti un’esplorazione o ambientazione creativa?

Giorgio

Come per i precedenti dischi tutto avviene esattamente a ritroso. Nascendo i brani da improvvisazione pura, non premeditata, mi ritrovo solo a paesaggio sonoro finito e definitivo a cogliere le connessioni che l’inconscio mi suggerisce. Pertanto i titoli nascono come ricerca successiva alla creazione musicale, nel tentativo di collegare tra loro le sequenze stilistiche con gli stili e tecniche utilizzate. Come scoprire una stella e, dopo averne scoperto e studiato le caratteristiche, decidere il nome più adatto per riconoscerla tra tante.

Davide

Anche “Nekya” è un titolo molto interessante, non solo perché antico rito necromantico della Catabasi, ma perché Jung chiamò Nekya l’introversione della mente negli strati della psiche incosciente. Il che per altro mi riporta anche a certi canti dell’antica Grecia come “o-tzitziras-o-mitziras” (e non solo greci) che servivano anche a causare una forma di trance autoipnotica e sciamanica. Tu hai fatto mai sperimentato qualcosa di simile? Ti è mai capitato, attraverso il canto e la voce, di raggiungere un cosiddetto stato alterato di coscienza?

Giorgio

Senza arrivare alle medesime percezioni causate in antichità dalla ripetizione ossessiva di certe litanie, che si univano all’assunzione di sostanze psicotrope e rituali precisi, sicuramente il cantare in loop, ripetendo fonemi e sequenze, permette quando animato da volontà e intenzione di provare sensazioni molto varie. Ad esempio rievocare ricordi ed emozioni inaspettate, arrivare a profonde intuizioni altrimenti difficilmente accessibili, attivare riflessioni molto profonde sulla natura delle cose e la realtà. Le ultime due tracce del disco “aPHaSIa” e “Nekya” vogliono portare l’ascoltatore in una dimensione vicina a quella cui ti riferisci, compiendo l’ultimo passo di un viaggio graduale ma costante verso questo modo di concepire il suono: la ripetizione come chiave di accesso alle viscere della nostra interiorità.

Davide

Qual è la tua formazione musicale e quando hai cominciato a esplorare soprattutto la voce? E quali sono stati i tuoi riferimenti più significativi?

Giorgio

La mia formazione musicale è iniziata ufficialmente da bambino, quando per caso sono entrato nel coro delle Voci bianche del Teatro alla Scala di Milano. La crisi di rigetto di un certo mondo e modo di concepire la musica è stata fondamentale per arrivare a desiderare di ricucire il rapporto spezzato con la mia Voce interiore, inutilmente portato verso lo studio di diversi strumenti che non riuscivano a colmare questa mancanza, fino alla riscoperta dello strumento Voce e il mio indirizzare i miei studi e scoperte verso tecniche, stili e musiche da tutto il mondo. Negli anni ho avuto a che fare con bravi e cattivi Maestri, tutti fondamentali per aiutarmi a indirizzare il mio percorso, quotidianamente in discussione. Una ricerca costante, che non finirà mai.

Davide

Perché hai deciso di usare soltanto la voce per i tuoi lavori, senza cioè l’uso di altra strumentazione a parte l’elettronica finalizzata però soltanto a modificare la voce stessa?

Giorgio

Perché ho compreso quanto la Voce sia davvero lo strumento più versatile che esista in Natura. Perché decidere di creare musica solo con essa mi ha permesso di sfidare i miei enormi limiti e pormi nuovi obiettivi. Perché desideravo sviluppare le potenzialità naturali dello strumento Voce ma al contempo le possibilità tecnologiche insite nella sua manipolazione, verso la definizione di un non-genere.

Davide

So che conduci anche dei seminari di canto armonico o difonico, un tipo di canto presente in diverse parti del mondo sebbene con differenti tecniche e stili, dal Tibet alla Mongolia, dalla Sardegna al Sudafrica e al Rajastan. Al di là della tecnica, perché è importante il canto armonico, ma forse ancor prima un certo modo di respirare?

Giorgio

Il Canto Armonico è per me una delle chiavi di accesso al Suono. Esso, ancor prima di essere Musica, è un’impronta energetica personale che ognuno di noi vive, trasmette agli altri interagendo, alimenta verso e dalla Realtà stessa. Scoprire il respiro, la Voce, il movimento e le loro capacità creative attraverso l’improvvisazione, non sono altro che modi di prendere coscienza di quest’onda personale che ognuno di noi riceve e trasmette, in un continuo scambio di energie.

Davide

Ci puoi dare dei collegamenti per approfondire la tua attività e per ascoltare o acquistare il tuo disco?

Giorgio

Il disco per ora è disponibile in CD contattandomi direttamente su Facebook o Alterjinga che lo ha prodotto alla mail associazione.alterjinga@gmail.com

È possibile trovare i miei precedenti lavori su Spotify o bandcamp (mevsmyselfvoicesolo.bandcamp.com) e nei prossimi mesi il nuovo disco.

Come formatore, a parte i seminari che svolgo in tutta Italia per scuole, associazioni, enti, sta per partire da Ottobre 2022 un corso di formazione dedicato all’improvvisazione, alla tecniche vocali estese, al movimento in relazione alla Voce. Questo progetto si svolgerà a Milano in Fabbrica del Vapore, durerà due anni e formerà una serie di competenze uniche in Italia per chiunque voglia accrescere la propria preparazione artistica e didattica. Per avere maggiori informazioni la mail associazione.alterjinga@gmail.com è sempre il canale migliore per informarsi, oltre a contattarmi tramite Facebook in ogni momento.

Davide

Cosa seguirà?

Giorgio

Ho diverse idee per i prossimi dischi. Posso anticipare che il prossimo lavoro indagherà una possibile origine del Suono, attraverso una visione remota dello strumento Voce, unita ad una sua possibile evoluzione futura. Un percorso a ritroso e al contempo orientato a ciò che verrà, un concept album molto diverso da tutto ciò che lo ha preceduto ad oggi, anche perché volevo con “Aiòn” chiudere una trilogia iniziata nel 2015 con “Yggdrasill”. Grazie ancora per lo spazio concesso e la chiacchierata davvero stimolante.

Davide

Grazie e à suivre…

Commenta

Nel caso ti siano sfuggiti