Donzelli Editore
Narrativa
Pagg. 257
ISBN 9788860366443
Prezzo Euro 23,00
Su la testa
Le terre del Sacramento è un dolente romanzo sulla condizione dei contadini del meridione e rappresenta, idealmente, la naturale continuazione di Signora Ava. Là l’epoca era quella dell’impresa dei Mille, in una versione del Gattopardo dal punto di vista degli ultimi, e non dei nobili e dei borghesi; e se la stratificazione sociale di Signora Ava poteva essere spiegabile, ma non giustificabile, con Le terre del Sacramento l’accusa a chi più ha e continua a volere di più è chiara e indiscutibile. La vicenda di Luca Marano che impegna la sua parola per un riscatto dei poveri contadini e viene tradito da una donna furba e avventuriera sembrerebbe chiudere la possibilità di qualsiasi riscatto di una infima classe sociale, ma è proprio il sacrificio di questo inconsapevole sindacalista a dare un tenue barlume di speranza, perché forse, solo uniti, si può giungere alla meta. In Signora Ava il periodo storico era antecedente di più di mezzo secolo, al momento culminante del processo di unificazione dell’Italia, con le speranze spezzate delle classi più deboli; in questo romanzo invece il paese è già unito, è da poco uscito dalla Grande Guerra, anche questa infarcita di promesse non mantenute, e corre l’anno 1922, quello della marcia su Roma e dell’avvento del fascismo. La povera gente della Marsica, oltre ad avere come nemica la miseria, la tracotanza dei capitalisti e del mondo finanziario, l’indifferenza di uno stato sempre più prono di fronte al potere economico, ora ha un nuovo pericolo, il fascismo appunto, mano armata di chi da sempre comanda per conservare la propria posizione di privilegio.
In questo romanzo corale, in cui la ribellione dei contadini traditi non è armata se non dalla pacifica occupazione delle terre promesse, da loro faticosamente dissodate in virtù della promessa di essere concesse in enfiteusi, promessa disattesa, la trama, i protagonisti, perfino l’ambiente e l’atmosfera formano un grandioso quadro d’insieme che non è solo lo spaccato di un’epoca, ma è il pianto disperato di chi soffre da sempre senza riscatto. Forse qualcuno potrebbe trovare una matrice politica, un’ispirazione socialista, ma la visione di Jovine esula da qualsiasi preconcetto, è l’urlo di dolore di chi rivendica la dignità di essere umano, è la descrizione impietosa di una condizione di sudditanza, è la narrazione dell’anelito di una moltitudine a una vita migliore.
L’autore si può far rientrare nella tradizione verista italiana che inizia all’incirca dopo la metà del XIX secolo e che è ricca di nomi famosi, da Giovanni Verga a Federico De Roberto, a Ignazio Silone, a Rocco Scotellaro, ma se questo è un inquadramento che ha più a che fare con la letteratura, rimane l’importanza di quest’opera, come anche del precedente romanzo Signora Ava, e la sua valenza che va oltre il periodo temporale e anche oltre il limite territoriale. Quante genti al mondo sono da sempre, o quasi, vessate? Quanti, ma infinitamente più pochi, forti delle loro ricchezze accumulate nel tempo, non solo brigano per difenderle, ma per aumentarle, impedendo qualsiasi possibilità di riscatto? Chi non ricorda “ El pueblo unido jamàs serà vencido”? Ecco, nelle terre del Sacramento il popolo degli italici peones ha provato a unirsi, ma è stato sopraffatto dalla violenza fascista con il beneplacito delle autorità dello Stato. Si potrebbe dire che non c’è speranza e invece il sacrificio degli altri è lo stimolo per non abbattersi, per ritentare, per rialzare tutti insieme quelle teste da troppo tempo abbassate, ed è questo il grande messaggio di questo romanzo.
Le terre del Sacramento è assolutamente da leggere.
Francesco Jovine (Guardialfiera, Campobasso, 1902 – Roma 1950) narratore italiano. Ispirò alla nativa regione molisana le sue opere più significative: dal romanzo Signora Ava (1942) alla raccolta di racconti L’impero in provincia (1945), all’altro romanzo Le terre del Sacramento (1950, premio Viareggio), sorta di epopea del lavoro contadino e commossa celebrazione della propria terra. I temi tradizionali del feudo che va in rovina e del conflitto tra padroni e contadini vengono rappresentati, all’avvento del fascismo, con una forte carica polemica e uno stile asciutto che intreccia il rilievo di caratteri balzachiani alla coralità della struttura. Narratore di tradizione essenzialmente veristica, J. accolse nelle sue opere le istanze dell’antifascismo e delle lotte sociali del dopoguerra, senza tuttavia rinunciare a inflessioni di sottile lirismo. Nei suoi esiti migliori, egli amalgama felicemente le agitate vicende della storia e l’aura immobile del mito. Importante, nella Signora Ava, ma anche nell’Impero in provincia, il delinearsi di un giudizio riduttivo sul risorgimento, con motivazioni che più recentemente una parte della critica storica ha fatto proprie.