Quando nel 1986 McInerney pubblicò il suo romanzo d’esordio “Le mille luci di New York”, molti giurarono che quel ragazzetto, prossimo ai trenta, non avrebbe fatto troppa strada, perché la sua Musa si sarebbe prosciugata e non sarebbero più bastate le feste, i VIP e la coca per riempire le pagine di un romanzo. Ma è andata in maniera diversa, e oggi a distanza di “
Un tempo Jay conosceva il vizio degli eccessi. Quelle esperienze si trasformavano in romanzi. Ogni tanto ha commesso dei passi falsi, basti pensare a “Riscatto”, noioso e illeggibile, e a “L’ultimo dei Savage”, ottime premesse, ma purtroppo non mantenute fino in fondo. Il McInerney che deve restare è quello degli esordi, ma soprattuto quello di “Professione: Modella”, una perfetta sintesi di tutta la sua opera e di una parte della sua vita.
E’appena uscito per le edizioni Bompiani, il suo ultimo romanzo “Good Life”, più di quattrocento pagine orchestrate perfettamente. Il romanzo incrocia le vicende di due famiglie ricche e infelici, i cui destini saranno modificati in seguito all’11 settembre. McInerney non ha più l’età per raccontarci le “sue storie”, perché peccherebbe di ingenuità. Ormai è cresciuto, è diventato un maturo cinquantenne che ci consegna un libro riflessivo.
Si parte dalla tragedia di New York per ritrovare la vita. Quella vita rilegata, ormai, nella abitudini e nelle consuetudini.
Convince e si guadagna un forte applauso “Good Life”, un vero spettacolo per il lettore. Nessuno rimarrà deluso, perché McInerny, come al solito, sa colpire e stupire chi legge. Un vero canto doloroso per un’America ferita e colpita al cuore.