Storico chitarrista degli Aura, band apprezzata all’interno del panorama metal italiano (con recensioni positive su magazine di settore quali Metal Shock, Metal Hammer e Hard e partecipazioni a importanti festival quali Agglutination e Pictures of Prog Fest), Joseph Bruno firma il suo primo album da solista: “Joseph”
“Joseph” è un lavoro di base new wave, ma indirizzato verso il rock-pop anni ’90, con rimandi tanto agli U2 quanto ai Police.
Anticipato dall’uscita del singolo “Fly”, brano sulla legge mistica di causa ed effetto che fa parte della pratica buddista Mahayana, esce “Joseph”, album d’esordio di Joseph Bruno.
«I 10 brani che compongono questo mio album di esordio raccontano delle mie esperienze di vita e sono nati in parte nel periodo lockdown e, in parte, dalle mie esperienze musicali passate».
Musicista al fianco di artisti quali Emanuele Montesano, Rossella Cosentino, Marco Berti, Massimo Magaldi, Giovanni Rago e Gino D’Ignazio, il background musicale di Joseph Bruno è pregno di progetti e collaborazioni.
In particolare, è chitarrista e voce nella band metal Aura (con cui riceve recensioni positive su magazine di settore quali Metal Shock, Metal Hammer e Hard, e calca i palchi di importanti festival quali Agglutination e Pictures of Prog Fest).
È, inoltre, chitarrista del gruppo di musica popolare Tarantanova, partecipa alle registrazioni dell’album d’esordio della band alternative rock Enjoy the Void e suona il basso con la formazione reggae Barracca Republic, tutte esperienze che lo formano e lo influenzano, senza mettere da parte i suoi ascolti da adolescente, che lo introducono al mondo della musica.
«I miei riferimenti musicali provengono principalmente dagli anni ‘80 e dalla new wave dell’epoca: per me sono stati formativi artisti come i Police, i primi U2, i New Order, Alan Parsons e molti altri del periodo».
In uscita per Some Music Records, “Joseph” è un album che, prendendo a piene mani dall’universo sonoro anni ‘80, ci trasporta indietro nel tempo, all’adolescenza di Joseph, come fosse stato scritto proprio successivamente a quegli anni: “Joseph”, infatti, ispirandosi alla new wave degli anni ’80, ma guardando a questa con voglia di evoluzione, “spinge” le proprie sonorità verso quelle che furono tipiche delle band che uscivano negli anni ’90, a loro volta influenzate dagli stessi artisti da cui Joseph attinge.
Arrangiato, mixato e masterizzato da Christian Botti (anche alle prese con synth, pad, cori e batteria), “Joseph” si avvale della collaborazione di Pietro Lorenzotti (al basso su “Beyond this way”), Giovanni Trotta (batteria su “Live your life”) e, ai cori, Arianna Cirillo e Caterina Fucciolo.
Comunicato stampa QALT (Giuseppe Galato)
The time has come / Fly / The world in my hands / Beyond this way / Father / Forgot / In a lifetime / Live your life / Don’t be afraid / Air to breath
GUARDA IL VIDEO DI “THE TIME HAS COME”
https://www.youtube.com/watch?v=SEdt9spR1zY
GUARDA IL VIDEO DI “LIVE YOUR LIFE”
https://www.youtube.com/watch?v=K7Urwv0RN_I
GUARDA IL VIDEO DI “FLY”
https://www.youtube.com/watch?v=fPn6HfIAlFc
Intervista
Davide
Ciao Joseph. In quale momento della tua vita e del tuo percorso musicale arriva questo tuo debutto come solista? Cosa vi hai sintetizzato e racchiuso?
Joseph
È un album che arriva in un momento storico ed esistenziale di totale cambiamento: nasce da una riflessione su quanto è accaduto durante questi due anni di pandemia. Musicalmente si discosta leggermente da quanto proposto nei miei tipici progetti: i riferimenti musicali sono quelli degli anni ‘80. Ne ho sentito tanto la mancanza, durante questo periodo, e volevo comunicare attraverso l’album questo mio stato d’animo. Ho pensato a quelle lunghe giornate condivise con gli amici da cui nascevano infinite idee da suonare e da scrivere. Il bello era proprio quello: il vissuto, il quotidiano, la costante esperienza rigorosamente da condividere e raccontare. Le strade vivevano un continuo, il centro di tutto era il vivere.
Davide
Ci presenti i musicisti che hanno suonato e cantato con te in questo disco? In che modo avete condiviso questa esperienza?
Joseph
Direi che i musicisti presenti nell’album (eccetto Giovanni Trotta, in “Live your life” alla batteria) sono subentrati successivamente. I brani sono stati elaborati in studio da me e dall’amico Cristian Botti, che si è occupato delle tastiere e delle batterie, mentre io mi sono occupato di tutte le chitarre e i bassi, oltre, ovviamente, ai cantati. In “Beyond this way”, ad esempio, il basso registrato dall’amico Pietro Lorenzotti era stato già editato da me, ma con Cristian non ci convinceva il risultato finale. In “Fly”, invece, le parti corali aggiunte da Arianna Cirillo e Caterina Fucciolo erano già presenti e sono state semplicemente sostituite con le loro. Direi che la fase più bella del processo compositivo in studio è stata la ricerca armonica per i brani, un lavoro durato due anni: bisognava trovare le giuste soluzioni per un album fondamentalmente esistenzialista, e credo che il risultato finale abbia dato un valido risultato.
Davide
Negli anni sei passato da generi musicali apparentemente molto lontani, come dal metal alla musica popolare, dall’alt rock al reggae… Ma non hai mai abbandonato il tuo strumento per un altro. Qual era il tuo “guitar hero” quando hai cominciato a suonare la chitarra, quello per cui ancora vi ritrovi le radici nel tuo stile musicale?
Joseph
Il mio chitarrista preferito è da sempre David Gilmour. In lui ho sempre trovato la massima espressione della semplicità in musica, l’emozione che tocca il cuore con due note. È stato ed è costante riferimento anche in fase compositiva, nella fase concettuale dei brani. Trovo album come “A momentary lapse of reason” un capolavoro, in quanto trascende dalle mode ed individua le vere peculiarità di un artista.
Davide
Gli anni ‘80 sono stati forse l’ultimo periodo in cui i ragazzi hanno avuto la speranza di poter fare qualcosa per il proprio futuro, ha detto Giovanni Floris. Ho letto che hai attinto a piene mani dall’universo sonoro degli ’80. Cosa in particolare ami di quel decennio musicale, o non solo musicale?
Joseph
Gli anni ’80 hanno rappresentato per me, nel quotidiano, la totale condivisione di ogni singola idea, sia nella musica che nel sociale. C’era qualcosa di magico nell’aria, uno spirito di ricerca e nuove possibilità che persuadeva ogni cosa. Se ascolti con attenzione, in ogni singola traccia del mio album vi è uno spaccato di vita illuminato dalle armonie musicali, ed è questo per me una sensazione che viene proprio da quel periodo; qualcosa che sta svanendo, che sta divenendo semplicemente una moda, un trend, un apparire. Credo fermamente in quel periodo, e credo che bisogni davvero ritornare per strada e vivere una sincera realtà per raccontare il vero e non fermarsi alle apparenze: basta con prodotti ed album preconfezionati, basta con l’idea tipica di fare qualcosa che funzioni. Facciamo musica ma facciamola davvero, anche a costo di sembrare fuori dal tempo.
Davide
L’album è stato anticipato dal singolo “Fly”, brano sulla legge mistica di causa ed effetto che fa parte della pratica buddista Mahayana, e nel quale si sente l’invocazione giapponese o “sutra del loto” del daimoku Nam myōhō renge kyō oggi noto nel Buddhismo Nichiren della Soka Gakkai. Anche la copertina rimanda a qualcosa di orientale con quella figura seduta nella posizione del loto. Alludi a una qualche illuminazione, un distacco, una rinascita o cos’altro?
Joseph
Nel brano alludo ad una costante rinascita: Nam myōhō renge kyō rappresenta il ciclo di nascita e morte e dei semi che mettiamo nel quotidiano vivere. Ovviamente è un’esortazione a mettere delle buone cause nelle nostre esistenze, a far della nostra vita una costante possibilità oltre gli ostacoli. È un brano che parla della nostra connessione all’universo; è dedicato alla nostra unicità, alla nostra singolarità, frammenti di universo strettamente connessi gli uni agli altri.
Davide
L’album è introdotto da “The time has come”, un brano che parla del cambiamento e di come siamo tutti chiamati alla responsabilità (biunivoca) che abbiamo anche nei processi di cambiamento altrui, di donarci tutti un pezzo di senso esistenziale e di qualità della relazione, della vita. Cosa pensi, da questo punto di vista, possa essere la responsabilità nel consegnare ad altri una canzone, una musica, un disco? Quale quella che hai sentito nel lavorare a queste tue canzoni?
Joseph
Credo che sia una grande responsabilità donare una canzone agli altri, in quanto ha un contenuto. È un qualcosa che va collocato nei tempi che si vivono e alle persone a cui ci si rivolge. È importante per me, come nel caso di “The time has come”, che ci sia sempre un’esortazione a risalire, a combattere e a cercare sempre nuove possibilità. Fare musica è una vera missione, ed il ruolo dell’autore sta proprio in questo: sapere che ciò che hai composto non è più tuo, nel momento in cui viene ascoltato. Bisogna avere una visione ampia del quotidiano, anche se impermanente, altrimenti si rischia di dare un messaggio sbagliato e controverso: il racconto della verità e delle proprie esperienze, al di là delle forme, va donato costantemente con un cucchiaino universale.
Davide
“The world in my hands” parla del contatto tra l’uomo e la natura, la connessione di ogni individuo all’universo. Ha scritto Tiziano Terzani che “Solo se riusciremo a vedere l’universo come un tutt’uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella sua diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo”. Cos’è per te invece l’universo dei suoni, delle note musicali? In che modo un artificio umano per eccellenza come la musica (come del resto artificio è ogni altra “arte”) ci può connettere o riconnettere alla natura, così come al silenzio assoluto dell’universo?
Joseph
È uno stato di totale connessione ad entrambi gli elementi. Le armonie ed i contenuti sono il racconto, la parola che descrive ogni singolo istante. John Cage diceva addirittura che il silenzio è musica. Ogni ambiente lo è. Ogni individuo in esso può trovarci un modo peculiare per esprimerne una propria verità. Nel brano “The world in my hands” faccio riferimento proprio a questo tipo di rapporto tra l’uomo e la natura, che è molto personale. Quando ho composto il brano mi trovavo in piena campagna e mi sembrava, con la chitarra e le mani, di musicare quel fantastico luogo di pace e ristoro. Tutto questo mi ha sorpreso: mi ha svuotato e riportato alle origini dell’universo, una sorpresa incredibile, una sensazione mistica percettibile tra gli alberi, libertà assoluta da ogni vincolo esistenziale. Vi è assoluta certezza, per me, nel dire che siamo strettamente connessi all’universo in quanto parte di esso e, di conseguenza, connessi gli uni agli altri come individui.
Davide
Un antico proverbio maori invita a tenere il viso sempre rivolto verso il sole e le ombre cadranno dietro di noi. “Joseph” è un lavoro in cui hai anche trattato momenti personali più bui, come in “Father”, sulla morte di tuo padre, o “Forgot” sull’isolamento del lockdown, tuttavia cercandovi sempre di vedere una luce al fondo, un’opportunità, un elogio alla vita. Anche negli altri brani c’è sempre un tuo bisogno di dare un messaggio e una spinta motivazionale positiva. O, almeno, è così?
Joseph
È una mia visione delle cose, in quanto credo che tutta la nostra vita sia fatta di luci ed ombre, di bene e male, di gioia e dolore. In entrambi ritrovi un po’ dell’uno e un po’ dell’altro; la nascita e la morte sono un aspetto ciclico della vita. Credo fermamente che se consideri la morte come causa di sofferenza e provi ad immaginarla come un enorme massa di nuvole grigie di sicuro saprai che al di sopra di esse troverai il cielo e che, una volta finita la tempesta, tornerà il sereno. Ecco la ciclicità dell’universo da vivere, per quanto possibile, con estrema lucidità. L’ottimismo sorge da questa visione: sorge, appunto, dal sapere che tutto è possibile e niente è impossibile.
Davide
In “Air to breath” hai scritto contro ogni falsità e ogni forma di repressione, ma senza volere avere una collocazione o un’appartenenza politica. Perché sono ormai pochissimi e sempre di meno gli artisti che prendano una posizione politica (il che non vuol dire “partitica”)? Pensi non possa essere utile anche in un processo di riappropriazione della politica da parte di ogni cittadino, isolato e perso ormai nel proprio crescente individualismo?
Joseph
Se la politica fosse realmente motivo d’identificazione, oltre gli schemi e le appartenenze, sicuramente sarebbe un inno alla socialità. Sappiamo benissimo che quel che viviamo politicamente, oggi, è puro e becero gossip. Abbiamo bisogno di liberarci da questo cumulo di tossica individualità, abbiamo il bisogno di ritrovare la verità in quanto ci hanno indottrinato con falsità e, nella nostra ingenuità, abbiamo iniziato a credere che la falsità fosse la nostra verità, il nostro dogma. In “Air to breath” parlo proprio di questo tipo di repressione e menzogna a cui bisogna ribellarsi: parlo delle finte apparenze e del finto pietismo, manifesti a cui bisogna fare molto attenzione. «Se non sarete attenti i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse ed amare gli oppressori»: questo è quanto diceva Malcolm X in tempi non molto lontani.
Davide
Cosa seguirà?
Joseph
Attualmente sono in fase compositiva, sto lavorando al nuovo album e, intanto, sto arrangiando e preparando, col mio gruppo, i brani da portare dal vivo per la presentazione di “Joseph”. Con l’amico Cristian Botti stiamo lavorando a nuovi progetti musicali, mentre con i compagni di viaggio Aura abbiamo già un nuovo album pronto; inoltre, sono in arrivo tante altre serate dal vivo in acustico col compagno di viaggio Emanuele Montesano, live durante i quali riproporremo i nostri due rispettivi album d’esordio. Un sentitissimo abbraccio e un saluto a te, Davide: a risentirci presto.
Davide
Grazie e à suivre…