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Cop26, risultati e prospettive

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«La negoziazione perfetta è quella che scontenta tutti»
(John Kerry, Segretario di Stato U.S.A.)

Si è appena conclusa la Cop26[1] di Glascow, la conferenza delle Nazioni Unite che ha riunito per due settimane quasi 40.000 persone a discutere di come salvare il nostro pianeta dai cambiamenti climatici: 197 i paesi rappresentati, oltre 21.000 i delegati delle ong e 3.781 i giornalisti accreditati.

L’evento incorporava la 26ª Conferenza delle Parti alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (la vera e propria Cop26, Conference of parts), la 16ª Conferenza delle Parti del Protocollo di Kyoto[2] e la 3ª Conferenza delle Parti dell’Accordo di Parigi[3] e tutto il mondo vi riponeva grandi aspettative.

Quali sono stati i risultati? Quali i limiti?

Li vediamo insieme.

I risultati concreti della Cop 26

Molti sono rimasti delusi dai contenuti al ribasso del documento conclusivo della Cop 26, il Glascow Climate Pact[4], altri invece si sono detti più che soddisfatti proprio per le posizioni tanto distanti da cui si sono aperti i lavori: ma come è possibile avere reazioni così diverse di un medesimo evento e, in definitiva, quale valutazione dare delle decisioni adottate per la salvaguardia del nostro pianeta?

Il primo, e più criticato, impegno assunto è quello relativo a compiere grandi sforzi per contenere l’aumento delle temperature globali al di sotto dei 2° C e, possibilmente, al di sotto di 1,5° C riducendo le emissioni di carbonio nell’atmosfera del 45% entro il 2030.

Cosa c’è di sbagliato in questo? Niente se non che è il medesimo obiettivo che si era dato la comunità internazionale nel 2015 con l’Accordo di Parigi e verso il quale si è fatto veramente poco.

Altra delusione diffusa è data dal passaggio dalla promessa phasing out alla meno attraente phasing down per l’impiego delle tradizionali fonti d’origine fossile per la produzione di energia: in molti si aspettavano una storica presa di posizione per la progressiva messa al bando di carbone e petrolio e invece ci si è accordati su un blando ridimensionamento del loro uso.

Per il carbone, inoltre, si è posto uno specifico riferimento a quello “unabated”, vale a dire “non abbattuto”, non trattato con tecnologie che catturano e immagazzinano l’anidride carbonica: tecnologie care e poco applicate nel mondo.

Analogo discorso vale per lo stop agli aiuti pubblici al settore delle fonti fossili: presi in considerazione solo quelli definiti “inefficienti”, senza comunque esplicitare i criteri di valutazione necessari, grande risultato per Russia e Arabia Saudita, ma pure per Stati Uniti e, in parte, Italia.

Su un versante completamente strategico, invece, si sono giocate altre partite tra i delegati presenti a Glascow, tra promesse e smentite.

Rilevante per i Paesi di nuova industrializzazione era lo stanziamento di 100 miliardi di dollari all’anno che le economie più avanzate si erano impegnate ad investire dal 2009 al 2020 per il sostegno della transizione green nel Sud del mondo: nella dichiarazione finale si è alzata l’asticella portando le risorse a 200 miliardi per il periodo 2025-2030 ma al contempo l’obiettivo dei 100 lo si è spostato al 2023 senza peraltro accennare agli arretrati.

Sempre in tema di conti economici, il capitolo dei risarcimenti di perdite e danni (nel documento “loss and damage”) verso i Paesi deboli più esposti alla crisi climatica è stato un terreno di acceso scontro che ha portato al riconoscimento di un vago diritto peraltro non monetizzabile, con profonda delusione di molti paesi di Africa, America latina e Stati insulari[5].

Confronto serrato Nord-Sud del Mondo, o tra governi con livelli difformi di industrializzazione, è stato anche quello per la gestione delle “quote carbonio”, cioè il sistema che consente di scambiare le quote di emissione di inquinanti tra paesi più e meno virtuosi.

Emblematica la dichiarazione del delegato boliviano secondo cui: “Ci rifiutiamo di essere intrappolati nel colonialismo del carbonio. I paesi sviluppati continuano a usare il carbon budget di quelli in via di sviluppo, e questo non è corretto”.

Gli aspetti collaterali

Se quelli sopra presentati sono stati i temi che hanno dato da penare agli addetti ai lavori durante le due settimane del summit, altri comporteranno mal di testa diffusi ai quattro angoli del pianeta per i prossimi mesi.

In primis, se l’accordo sugli impegni condivisi è stato raggiunto, non è pero chiaro come sarà garantita la trasparenza del sistema di rilevazione e contabilizzazione delle emissioni inquinanti degli Stati. Ogni Paese è responsabile della corretta raccolta, elaborazione e comunicazione, ma come comportarsi con chi non possiede validi sistemi di monitoraggio? Da Glascow il compromesso proposto è l’applicazione del principio di flessibilità nella contabilità delle emissioni con l’indicazione della sigla Fx (flessibilità) in luogo del dato mancante e, peraltro, a partire dal 2024.

Accanto alle trattative più hard, bisogna riconoscere che la Cop 26 ha fornito il contesto ideale per perfezionare anche altri accordi multilaterali tra i governi presenti: il più importante è forse quello sulla riduzione del 30% entro il 2030 delle emissioni di metano rispetto ai livelli 2020.

Un impegno sottoscritto da 105 Paesi grazie all’iniziativa di Unione Europea e Stati Uniti.

Rinnovata pure l’Alleanza Beyond oil and gas, un panel di undici Paesi guidato da Danimarca e Costa Rica per superare l’impiego di fonti fossili a cui l’Italia partecipa in qualità di osservatore.

Il mondo dopo la Cop 26

Cosa succederà ora, a Cop 26 conclusa e in attesa della Cop 27, che si terrà l’anno prossimo a Sharm el Sheik in Egitto?

In quella occasione bisognerà presentare i programmi nazionali di lavoro per la riduzione delle emissioni e i risultati parziali raggiunti.

L’accordo finale impegna gli Stati firmatari a redigere e condividere i propri piani sul clima ogni cinque anni ma non prevede sanzioni in caso di non ottemperanza: nel 2025 il documento relativo agli obiettivi da raggiungere entro il 2035, nel 2030 quelli per il 2040, nulla più, purtroppo.

Accanto a ciò, poi, bisogna riconoscere che il comportamento di alcuni Paesi in occasione della Cop 26 ha sottolineato per l’ennesima volta, se ce ne fosse stato bisogno, il radicale mutamento del sistema classico di relazioni tra i membri della comunità internazionale.

Ad un incontro tanto importante, brillano per la loro assenza Xi Jinping, Vladimir Putin e Jair Bolsonaro, presidenti di Cina, Russia e Brasile, ma pure Portogallo, Messico, Sudafrica e Turchia sono rappresentati da diplomatici.

Nonostante questo, Cina e India, con i propri due miliardi e mezzo di abitanti, riescono a mettere in scacco l’intera conferenza imponendo il loro testo finale su quello proposto e facendo piangere il presidente.

Per far pesare ulteriormente il proprio ruolo, sempre Pechino ha fatto scalpore annunciando di aver raggiunto un accordo di cooperazione bilaterale con Washington: dimostrazione del potere che i grandi assenti possono esercitare a distanza e svilimento del multilateralismo verso un bilateralismo di potere sempre più diffuso.

Confidiamo che i pochi e deboli impegni assunti non si dimostrino dei vuoti «bla bla bla», come in più occasioni denunciato dalla giovane attivista Greta Tumberg[6].

«Non possiamo più permettere al potere di decidere cosa sia la speranza. La speranza non è un qualcosa di passivo, non è un bla bla bla. Speranza vuol dire verità, vuol dire agire. Noi vogliamo giustizia climatica, e la vogliamo ora»
(Greta Thunberg, attivista per l’ambiente)

  1. Cfr. il sito ufficiale dell’evento, https://ukcop26.org/, o il sito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, https://unfccc.int/conference/glasgow-climate-change-conference-october-november-2021.

  2. Il Protocollo di Kyoto è un trattato internazionale in materia ambientale riguardante il surriscaldamento globale, firmato l’11 dicembre 1997 a Kyoto ed entrato in vigore il 16 febbraio 2005 (Fonte: Wikipedia, l’enciclopedia libera, https://it.wikipedia.org/wiki/Protocollo_di_Kyoto).

  3. A proposito dell’Accordo di Parigi, cfr. dello stesso A., Caocci D., L’Accordo di Parigi contro il riscaldamento globale: novità e debolezze, in KultUnderground, n. 246, 2016, in https://kultunderground.org/art/18241/.

  4. Cfr. il testo del documento finale in https://unfccc.int/documents/310475.

  5. Si veda l’impattante e significativo videomessaggio inviato da Simon Kofe, Ministro degli Affari Esteri di Tuvalu, ai delegati alla Cop 26 su https://www.youtube.com/watch?v=jBBsv0QyscE.

  6. Cfr., tra gli altri, https://www.youtube.com/watch?v=PWZyVfsNcug.

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