KULT Underground

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De André – Pino Casamassima

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Vita poetica di un’Anima salva
Diarkos – Euro 15 – Pag. 250

Fabrizio De André ha accompagnato la mia adolescenza inquieta. Era proprio il cantante giusto per farsi amare da uno come me. Scoperto per caso tra i dischi della Karim in un negozio della mia città che non esiste più (chi compra vinili?), ho consumato il solco de La guerra di Piero e La canzone di Marinella, per non parlare de La città vecchia, Preghiera in gennaio, Il pescatore. Ero così innamorato delle sue parole da odiare la PFM per aver osato contaminare in due album l’arte poetica di Fabrizio. Le note delle sue canzoni risuonavano nella mia camera di studente liceale per lunghi pomeriggi, ai tempi che si stava sdraiati sul letto o in poltrona per ascoltare concentrati la musica e le parole (leggendo i testi dell’album). Va da sé che i genitori disapprovavano, ma io lo sapevo che lui era un artista, superiore persino ai poeti che ci insegnavano a scuola, che pure amavo, ma non quanto il cantautore ligure. Canzoni tristi, disperate, malinconiche, di rabbia e d’amore, proprio quel che volevo sentir cantare, parole che sono rimaste nella mia modesta scrittura che ha avuto solo due maestri: De André e Pasolini, entrambi poeti, senza differenze. Storia di un impiegato è un disco che ho amato, ascoltato più volte, dal motivetto del maggio francese, al ballo mascherato, passando per il bombarolo, la prigione, l’ora d’aria da non spartire, per finire con la suadente Verranno a chiederti del nostro amore. Se so qualcosa di Cristo e dei Vangeli lo devo a Fabrizio e alla rilettura dei Vangeli apocrifi compiuta ne La buona novella, ma anche a Pasolini con il Vangelo secondo Matteo. E la mia poca religiosità, il mio scarso senso del sacro, è debitore assoluto del messaggio ascoltato in musica e al cinema. Edgar Lee Masters sarebbe rimasto un autore ignoto, depositato in uno scaffale polveroso, se De André non l’avesse messo in musica con le ballate scritte sulle lapidi di un paese con un cimitero in collina. Non avrei mai avuto la curiosità di conoscere Brassens se non avessi ascoltato Il gorilla e soprattutto Morire per delle idee, stesso discorso vale per Leonard Cohen e Bob Dylan. Non capisco la musica, non me ne intendo proprio, amo la poesia, la lirica, la sinfonia delle parole. De Andrè mi ha sempre dato tutto questo, con la sua attenzione verso i diseredati, i diversi, gli ultimi, con la sua anarchia compassionevole, con il suo voler essere artista puro, lontano da ogni meschino gioco politico. C’è chi mi ricorda che Fabrizio non è stato un marito e un padre esemplare, aveva tanti difetti, beveva troppo, non rispettava le regole. Tutto vero. Era un uomo, con i suoi limiti, ma un artista dev’essere giudicato per l’opera che ha prodotto, per i capolavori lasciati in eredità. Pino Casamassima, vent’anni dopo la prima pubblicazione del suo libro su De Andrè, lo riprende in mano per aggiornarlo e diffonderlo, grazie a un ottimo editore come Diarkos. Il libro è davvero eccellente, perché raccontando la vita e le opere di un cantante narra gli anni Sessanta – Novanta che abbiamo vissuto, il terrorismo, il perbenismo cattolico, il potere democristiano, l’impegno politico nella canzone, il Viet-Nam, la guerra fredda, la contestazione studentesca … Il ritratto che Casamassima compie di De Andrè fotografa tutta la sua ansia per il sociale, documenta il racconto dei vinti, dei falliti, compiuto con le stesse parole dell’artista, che aveva grande compassione per i drogati, gli sbandati, i suicidi, in una parola per tutti coloro che si erano lasciati sopraffare dalla vita. Un libro indispensabile per chi ama Fabrizio, anche se lo conosce bene, di gran lunga migliore rispetto alle tante biografie e saggi di varia natura che sono usciti in questi ultimi anni. Consigliato.

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