Edizioni Adelphi
Narrativa
Pagg. 187
ISBN 9788845934889
Prezzo Euro 18,00
Non il solito Simenon
Per quanto la capacità creativa di Simenon potesse sembrare inesauribile ogni tanto doveva sopravvenire qualche stanchezza, un calo di forma che inevitabilmente si rifletteva in una produzione non del consueto elevato livello. Deve essere accaduto anche per I superstiti del Télémaque, dalla lettura pur sempre gradevole, ma romanzo che non è all’altezza di quanto ci ha abituato l’autore belga. Eppure la storia parte da un elemento di indubbio interesse, da un delitto che pare trovare origine in quanto accaduto dopo il naufragio del Télémaque, allorché i superstiti, per sopravvivere, dovettero ricorrere al cannibalismo. La moglie di uno dei possibili divorati è impazzita e i figli Pierre e Charles, gemelli, scontano della tragica fine del padre e dello stato mentale della madre la loro esistenza, con il primo tutto forza e muscoli, ma poco cervello, e il secondo, malaticcio, ma capace di ben ragionare.
E’ Pierre che viene accusato dell’omicidio di un superstite di quel naufragio e spetterà all’insicuro Charles l’ingrato e delicato compito di tirarlo fuori dalle rogne scoprendo il vero colpevole.
La trama è quella che è, tanto più che la scoperta del reo è abbastanza nebulosa, ma in genere quello che si apprezza di Simenon sono le capacità di ricreare l’ambiente e di sondare psicologicamente l’animo umano. La prima non manca, perché la descrizione e l’atmosfera di Fécamp, cittadina della Normandia che vive soprattutto con la pesca dell’aringa sono come al solito rese perfettamente.
Quello che invece non è al solito livello è l’indagine psicologica, con questi due gemelli per niente uguali e dalle caratteristiche completamente diverse, notevolmente accentuate nei caratteri, tanto da essere quasi innaturali. Insomma, nessuno dei due è riuscito a rientrare nelle mie simpatie, perché troppo estremizzati.
Direi che questo romanzo è stato scritto forse frettolosamente, oppure, come ho accennato all’inizio, era un periodo un po’ di stanchezza; con ciò non intendo affermare che è un lavoro da poco, no, solo che è semplicemente un giallo, e non il solito, ma eccellente giallo di Simenon.
Georges Simenon (Liegi, 13 febbraio 1903 – Losanna, 4 settembre 1989). Romanziere francese di origine belga. La sua vastissima produzione (circa 500 romanzi) occupa un posto di primo piano nella narrativa europea.
Grande importanza ha poi all’interno del genere poliziesco, grazie soprattutto al celebre personaggio del commissario Maigret.
La tiratura complessiva delle sue opere, tradotte in oltre cinquanta lingue e pubblicate in più di quaranta paesi, supera i settecento milioni di copie. Secondo l’Index Translationum, un database curato dall’UNESCO, Georges Simenon è il quindicesimo autore più tradotto di sempre.
Grande lettore fin da ragazzo in particolare di Dumas, Dickens, Balzac, Stendhal, Conrad e Stevenson, e dei classici. Nel 1919 entra come cronista alla «Gazette de Liège», dove rimane per oltre tre anni firmando con lo pseudonimo di Georges Sim.
Contemporaneamente collabora con altre riviste e all’età di diciotto anni pubblica il suo primo romanzo.
Dopo la morte del padre, nel 1922, si trasferisce a Parigi dove inizia a scrivere utilizzando vari pseudonimi; già nel 1923 collabora con una serie di riviste pubblicando racconti settimanali: la sua produzione è notevole e nell’arco di 3 anni scrive oltre 750 racconti. Intraprende poi la strada del romanzo popolare e tra il 1925 e il 1930 pubblica oltre 170 romanzi sotto vari pseudonimi e con vari editori: anni di apprendistato prima di dedicarsi a una letteratura di maggior impegno.
Nel 1929, in una serie di novelle scritte per la rivista «Détective», appare per la prima volta il personaggio del Commissario Maigret.
Nel 1931, si avvicina al mondo del cinema: Jean Renoir e Jean Tarride producono i primi due film tratti da sue opere.
Con la prima moglie Régine Renchon, intraprende lunghi viaggi per tutti gli anni trenta. Nel 1939 nasce il primo figlio, Marc.
Nel 1940 si trasferisce a Fontenay-le-Comte in Vandea: durante la guerra si occupa dell’assistenza dei rifugiati belgi e intrattiene una lunga corrispondenza con André Gide. A causa di un’errata diagnosi medica, Simenon si convince di essere gravemente malato e scrive, come testamento, le sue memorie, dedicate al figlio Marc e raccolte nel romanzo autobiografico Pedigree.
Accuse di collaborazionismo, poi rivelatesi infondate, lo inducono a trasferirsi negli Stati Uniti, dove conosce Denyse Ouimet che diventerà sua seconda moglie e madre di suoi tre figli. Torna in Europa negli anni Cinquanta, prima in Costa azzurra e poi in Svizzera, a Epalinges nei dintorni di Losanna.
Nel 1960 presiede la giuria della tredicesima edizione del festival di Cannes: viene assegnata la Palma d’oro a La dolce vita di Federico Fellini con cui avrà una lunga e duratura amicizia. Dopo pochi anni Simenon si separa da Denyse Ouimet.
Nel 1972 lo scrittore annuncia che non avrebbe mai più scritto, e infatti inizia l’epoca dei dettati: Simenon registra su nastri magnetici le parole che aveva deciso di non scrivere più. Nel 1978 la figlia Marie-Jo muore suicida. Nel 1980 Simenon rompe la promessa fatta otto anni prima e scrive di suo pugno il romanzo autobiografico Memorie intime, dedicato alla figlia.
Georges Simenon muore a Losanna per un tumore al cervello nel 1989.