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Dalla rivoluzione alla democrazia. Il cammino del Parto comunista italiano 1921- 1991

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Piero Fassino
Donzelli (Roma, 2012)
pag. 269
euro 19.00

“Dalla rivoluzione alla democrazia”, titolo un poco fuorviante anzi giustamente mediatico ma in quanto anche scritta in piccola quella parola è sempre stata lettera morta, è un saggio scritto con estrema coerenza di stile e stile di pensiero da Piero Fassino. Come, d’altronde, la nostra lettura è coerente alla posizione totalmente contraria al moderatismo che esprimiamo. Comunque, scopriamo subito, l’editore Carmine Donzelli ha dovuto convincere l’autore, il politico di lungo corso Fassino, a scrivere questo ovviamente interessante assai libro. “Il cammino del Partito comunista italiano 1921 – 1991”, recita il sottotitolo, è la fotografia delle classi dirigenti in via di scomparsa ereditate, spesso il loro retroterra culturale, o piuttosto di formazione e basta. Saggio di storia ovviamente scritto non ad uso esclusivo del militante di sinistra, ma a chiunque abbia curiosità per la storia politica e si interroghi sulla sua crisi. Il furbo, quanto ovvio, giudizio di Piero Fassino su Togliani, tra gli altri, era, anche questo, scontato. Per coerenza, insomma. Senza arrivare alla glaciale discussione decennale rivendicata, su questo stesso concetto, per esempio, invece, dallo studioso Luciano Canfora. Eppure sempre il contesto italiano è letto all’interno di quello internazionale: non si potrebbe capirebbe la scissione di Livorno senza il riferimento alla Rivoluzione d’Ottobre del 1917, alla nascita dell’Internazionale comunista nel marzo 1919, alle traumatiche vicende tedesche e ungheresi. Il merito di Piero Fassino è però quello di provare a raccontare alcuni comportamenti più che al limite dell’ambiguità d’alcune personalità della galassia comunista italiana. Un universo in tono minore fatto di dirigenti e funzionari. Parte di loro spesso esterni come le galassie più distanti dal pasoliniano Paese nel Paese. Neppure una parola, invece, sul reinserimento nella macchina statale e non solo, partito dall’amnistia indiscriminata, di tanti fascisti e collaboratori del fascio. Non a caso il moderatismo fassiniano è riconducibile alla visione accomodante d’Enrico Berlinguer. Epperò dove Fassino può fare a meno dello storicismo, insomma dove si rivedere in campo, è anche più accattivante. Eppure noi ce lo ricordiamo sì a Torino, ma dalla parte dei colletti bianchi in una delle sconfitte della classe lavoratrice.

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