Abbiamo incontrato Giuseppe Verticchio in occasione dell’uscita di due nuovi lavori, uno a nome di “Twist of Fate” con Daniela Gherardi (Where the dusk has no end), l’altro di Nimh (Giuseppe Verticchio) e Rapoon (Robin Storey), edito dalla olandese Winter Light e dal titolo “Post-Folk lore vol. 1”.
http://www.oltreilsuono.com/nimh/
TWIST OF FATE
Where the dusk has no end
Oltrelanebbiailmare 2020
Sunbeams on the tracks / New morning (Over the ocean) / Too far from home / Under a different horizon / Driven by a Black Star / Where the dusk has no end
NIMH & RAPOON
Post-Folk lore vol. 1″
Winter Light 2020
Compensating contemplation / Wagging tongues, circulating hot air / Melancholy’s bow / To walk a broken path
https://winter-light.bandcamp.com/album/post-folk-lore-vol-1
Intervista
Davide
Ciao Giuseppe e ben tornato sulle pagine di Kult Underground. Parliamo di due lavori entrambi del 2020. Cominciamo dal primo, “Post-Folk Lore vol. 1” a firma di Nimh & Rapoon, ovvero l’inglese Robin Storey, co-fondatore dei Zoviet France e fondatore dei Reformed Faction, in seguito solista nel segno dell’ambient industriale. Com’è nato questo incontro?
Giuseppe
Ciao Davide! Grazie prima di tutto per il tuo ormai consolidato interesse, e per la tua consueta disponibilità.
Robin (e più in particolare il suo progetto solista Rapoon), è un artista che stimo e apprezzo fin dai primi anni ’90, ed entrambi avevamo dei CD pubblicati per l’etichetta olandese Winter Light.
Mark e Patricia della label che evidentemente apprezzano la musica di entrambi, hanno “scorto” la possibilità di questa collaborazione, e ci hanno “lanciato” la proposta.
Robin ha accettato, e ovviamente anche io sono stato molto felice di accettare.
Ci sono molti punti di contatto tra la mia musica e quella di Robin, e quindi la possibilità di lavorare insieme ad un album era basata su fondamenti abbastanza “solidi”.
Il tutto poi si è sviluppato in modo molto semplice e spontaneo, e Mark e Patricia hanno fatto un ottimo lavoro, anche dal punto di vista delle grafiche, della promozione e quant’altro…
Un’esperienza fantastica insomma, sotto ogni aspetto.
Davide
Sperimentare per te significa disporsi sempre all’imprevedibilità o c’era un’idea fondante, una traccia da seguire? Qual era la “mission” condivisa, ovvero il punto di partenza per questo progetto?
Giuseppe
Come spesso avviene in questo ambito per album collaborativi “a distanza”, il primo passo è stato lo scambio di librerie di suoni e registrazioni di vario tipo e genere, più o meno elaborate e a diversi stadi di lavorazione.
Non c’era un punto di partenza preciso, un indirizzo predefinito, una “missione” (se non quella abbastanza scontata di mettere a punto insieme un album di buona musica), e infatti all’interno di queste registrazioni c’era inizialmente materiale molto eterogeneo.
Robin ha dato il “via” elaborando le prime parti, segnando in qualche modo l’impronta, diciamo anche lo “stile”, che poi avremmo “adottato” e seguito per costruire il resto dei brani e mettere a punto un CD che fosse ragionevolmente omogeneo e “coeso” nei suoi contenuti.
Anche per i miei lavori personali… raramente mi pongo degli obiettivi precisi o dei “vincoli” a priori. Magari mi capita di partire da un’idea di base, ma quello che avviene in seguito è assolutamente imprevedibile, così come i risultati finali.
Ti basti pensare che quando avevo iniziato a lavorare all’ultimo CD collaborativo con Davide Del Col “Nothing is As It Seems”, uscito a nome “We Promise to Betray”, la mia idea era quella di fare un album fondamentalmente dark ambient, un po’ sul genere di Hall of Mirrors. La cosa invece ha preso una piega completamente diversa, tanto che alla fine abbiamo dovuto addirittura utilizzare un nuovo nome progetto invece delle nostre abituali “sigle” Nimh e Antikatechon.
Davide
Oggi attraversiamo un’epoca fatta di post… Un prefisso che vediamo applicato a vari movimenti ideali, letterari, musicali o artistici, dal post-punk al post-rock, dal post-industriale al postmodernismo (per fortuna non ancora il postatomico e il post-umano, fantascienza a parte). Cos’è dunque il post-folklore?
Giuseppe
La definizione non ha la pretesa di essere perfettamente descrittiva della musica proposta, né si propone come una “etichetta” sotto la quale “classificare” un preciso genere o “filone” musicale.
In questo caso il titolo “Post-Folk Lore” vuole essere poco più che una suggestione… l’idea di un’atmosfera… un riferimento indicativo di ciò che è possibile trovare all’interno dell’album…
“Folk” perché molte registrazioni sono state effettuate con strumenti tradizionali e popolari originari di diverse parti del mondo, e alcuni loops e fraseggi “attingono” in qualche modo alle esperienze di un universo “Folk” intercontinentale.
Il prefisso “Post” in questo caso era abbastanza indispensabile, perché al di là di quanto appena esposto, è evidente che qui non si tratta di musica meramente “Folk”…
La musica contenuta nel CD è molto “al di là” del folk (estremamente “Post” rispetto a questo) ed era quindi necessario evidenziare in qualche modo questo aspetto.
Davide
Oggi è consuetudine, soprattutto per un certo genere di musica, lavorare a distanza attraverso il computer e la rete telematica. Quest’anno l’umanità ha dovuto invero fare un po’ tutto a distanza, dagli acquisti on line alla didattica eccetera. In che modo avete lavorato, con quale metodo, e cosa significa per te fare musica a distanza con qualcuno?
Giuseppe
Fare musica “a distanza” con qualcuno, per quanto possa sembrare strano, per me è ormai una “pratica” abbastanza abituale…
Sicuramente poi questo genere di musica (sperimentale, elettronica, ambient e dintorni) si “presta” molto a questo tipo di approccio.
E pensando alle mie varie esperienze collaborative, ad eccezione dei CD di Twist of Fate con mia moglie Daniela, e dei primi tre CD di Hall of Mirrors, tutte le altre (collaborazioni con Maurizio Bianchi, Mauthausen Orchestra, Day Before Us, Antikatechon… i CD di Maribor, We Promise to Betray, e il recente progetto LHAM con Bruno de Angelis, del quale è pronto un album che speriamo di poter vedere presto pubblicato) sono state collaborazioni a distanza.
Personalmente neanche “sento” a volte questa “distanza”, o comunque non la percepisco come un ostacolo. Sarà che ho passato la vita davanti al computer, per lavoro, per diletto e per cose di musica; perché sono abbastanza abituato a contatti “virtuali” (chiamiamoli così, anche se è un po’ brutto) con persone e cose, e perché per carattere sono abbastanza un “solitario” (non perché non ami la compagnia, ma perché “rifuggo” istintivamente situazioni troppo “social” anche nella vita quotidiana), ma cose come “distanza”, “solitudine”, “isolamento” non mi spaventano o turbano più di tanto. Purchè… non mi facciate allontanare da Daniela per più di qualche ora!
Davide
Se non ricordo male, il tuo approccio alla composizione è quello di una musica assoluta o astratta o contemplativa, non descrittiva o rappresentativa insomma, che non tratta esplicitamente di alcunché in particolare; oppure c’è qualcosa di diverso nelle quattro tracce di “Post-folk lore” di diverso da questo punto di vista, una sorta di narrazione?
Giuseppe
Non è esattamente così… Penso di poter dire che la mia musica si trovi solitamente abbastanza “nel mezzo”.
Nel senso che non vuole mai essere estremamente descrittiva, non si appoggia a rigidi e articolati “concept”, né cerca di “pilotare” e indirizzare le emozioni in direzioni troppo “specifiche” e di univoca interpretazione.
Non ho nulla contro i “concept album” di per sé, ma negli ultimi anni si è un po’ abusato di questa pratica, e mi capita spesso di trovarmi tra le mani pubblicazioni un po’ troppo “pretenziose”, nelle quali spesso si “forzano” concetti, specifiche tematiche, anche attraverso accattivanti confezioni, belle immagini, citazioni, e abbondanti note di copertina, senza che però ci sia una reale “connessione” tra il contenuto musicale e le “suggestioni indotte” dal consistente lavoro di “indirizzamento concettuale” profuso nella messa a punto del prodotto.
Spesso poi noto che si attribuisce molto più valore all’ “oggetto”, questo quando si parla di pubblicazioni fisiche, o al “concept” di per sé, che non al reale valore del contenuto musicale… Ma questo è un altro discorso.
Tornando alla mia musica… anche definirla “astratta” o “contemplativa” è inesatto, in quanto in realtà è estremamente “terrena” e “concreta” nei suoi contenuti, e solidamente molto “strutturata” anche a livello di composizione.
Nei miei CD non esiste solitamente un “concept” in senso stretto, ma ogni album è frutto di una particolare idea, anche “sonora”, di una “visione” e di un’ispirazione abbastanza omogenea che di volta in volta mi porta a percorrere uno specifico percorso stilistico/musicale.
Ogni mio lavoro propone comunque di solito un’idea, una pur “evanescente” indicazione “tematica”, una “suggestione” dai contorni indefiniti.
Senza però “forzare” troppo su questo aspetto… lasciando quindi alla sensibilità, alla fantasia e alla libera interpretazione di chi ascolta il piacere di “collocare” più precisamente la mia musica nel proprio personalissimo “universo emotivo”.
In “Post-Folk Lore Vol.1” non si può dire che ci sia una vera e propria “narrazione”, e credo che anche per questo album collaborativo possa valere quanto detto poco sopra.
La musica, i titoli e le grafiche “offrono” uno spunto… suggeriscono un’idea di base… propongono un’ipotesi di percorso… un possibile “filo conduttore”.
Ma senza “imporre” una vera e propria “narrazione”. La “storia”, se davvero c’è, potrà “leggerla” (o “costruirla” seguendo le proprie emozioni…) soltanto chi ascolterà il CD.
Davide
Con quali strumenti, elettronici e acustici, anche etnici, avete lavorato e su quali materiali sonori in particolare vi siete soffermati, con quale idea di trattamento e trasformazione?
Giuseppe
Dal punto di vista tecnico e “procedurale” non ci siamo dati vincoli o indicazioni particolari, ed è stato fatto tutto in modo molto libero e istintivo.
Quanto alla strumentazione, senza entrare nel dettaglio dei singoli strumenti e oggetti sonori (moltissimi) direi il “solito” equipaggiamento elettronico (synth fisici e virtuali, computer e processori/effetti di vario tipo e genere) e l’altrettanto “solito” (almeno per me e anche per Robin) “arsenale” di strumenti etnici provenienti da varie parti del mondo; nel mio caso provenienti per lo più dal sud est asiatico.
Davide
“Vol. 1″… Ci sarà dunque un seguito?
Giuseppe
Salvo imprevisti sì. Da accordi presi prima dell’estate, già tra qualche settimana potremmo iniziare a lavorare al nuovo secondo volume.
Davide
E veniamo ora all’altro cd, “Where the dusk has no end”, il secondo a nome di “Twist of Fate”, ovvero tu e Daniela Gherardi, uscito ora, ma suonato e registrato nel 2019. Cosa integra o riprende ed evolve rispetto al precedente “September Winds?
Giuseppe
In realtà “Where the Dusk Has No End” è il nostro terzo CD.
Prima ancora di “September Winds”, uscito sempre per Oltrelanebbiailmare nel 2016, era uscito nel 2014 il CD “Tales from a Parallel Universe” per l’etichetta russa GS Productions.
Questo primo CD peraltro, rispetto a “September Winds”, è anche stilisticamente molto più simile al nuovo lavoro appena uscito.
“Tales from a Parallel Universe” uscì in una bellissima edizione digipack a sei pannelli, ma in un’edizione limitatissima a 100 copie, per cui ha circolato molto meno rispetto a “September Winds”.
Come ti dicevo, il nuovo “Where the Dusk Has No End” si distacca parecchio dal precedente album, andando invece a “ripartire”, stilisticamente parlando, più o meno lì dove eravamo rimasti con il CD di debutto, “abbandonando” (almeno per ora) quelle atmosfere quasi-folk che avevano caratterizzato “September Winds”.
Rispetto anche al primo CD comunque sono cambiate diverse cose. I brani sono più strutturati, e ampia parte del “sound” è stata costruita intorno ad una nuova pedaliera multieffetti, la Mooer Ocean Machine, che ha caratterizzato l’impronta di base di molti suoni di chitarra. Inoltre nel primo CD avevo usato molto la chitarra acustica elettrificata, mentre in quest’ultimo ho usato quasi esclusivamente l’elettrica.
Nel nuovo “Where the Dusk Has No End” il violino di Daniela è meno presente ed è molto trattato con gli effetti; il suono generale del CD è molto “elettrico”, i brani sono fittamente stratificati, e il tutto, seppur di difficile definizione stilistica, si colloca tra ambient, shoegaze, dream-pop e (drumless) post-rock.
Davide
Il poeta Christian Friedrich Hebbel disse che il crepuscolo è notte che si vede. Pirandello che il giorno è abbagliato; la notte è dei sogni e solo i crepuscoli sono chiaroveggenti per gli uomini, tra l’alba dell’avvenire e il tramonto del passato. Cos’è il crepuscolo in “Where the dusk has no end”?
Giuseppe
Il crepuscolo è quel tempo in cui ogni cosa si fa più confusa, aleatoria e indefinibile… Quel tempo in cui i contorni sono sfumati, e del quale non si può neanche cogliere con esattezza il momento d’inizio e della fine… Il crepuscolo conserva in sé ancora i residui raggi di sole del giorno, ma è già “oltre” quest’ultimo, “proiettato” verso l’oscurità che incombe ma che ancora si attarda ad arrivare.
Ascoltando ampie parti della musica dell’album, basata su lente evoluzioni, subliminali mutazioni del contenuto sonoro, stratificazioni di suoni che in modo quasi impercettibile emergono e poi allo stesso modo sprofondano tra le trame per fare posto a nuovi elementi, ho colto questa analogia tra le atmosfere evocate dalla musica e l’immagine che avevo di tante serate al crepuscolo vissute personalmente in montagna in Abruzzo, laddove peraltro ho scattato le foto delle grafiche.
La musica stessa è “emotivamente” perennemente in bilico tra luce e ombra, tra melodia e rumore… in quella zona “intermedia” che l’idea del crepuscolo mi è sembrato descrivere efficacemente. Questo, più o meno, è il crepuscolo in “Where the Dusk Has No End”.
Davide
Arpeggi di chitarre con riverberi e delay sognanti, suoni eterei e d’ambiente dei sintetizzatori, ma anche disturbanti glitch, come nella traccia d’apertura “Sunbeams on the tracks”. C’è qui un’estetica del wabi-sabi o del kintsugi o altro, della bellezza cioè imperfetta e impermanente, o del difetto casuale valorizzato, unico e irripetibile, quindi di un’ancora più profonda o maggiore perfezione estetica e interiore?
Giuseppe
Onestamente mi riesce un po’ difficile “avventurarmi” in divagazioni più o meno filosofiche che possono essere molto interessanti, ma anche molto distanti da ciò che attiene il mio universo musicale e la mia visione molto “terrena”, “semplice”, forse addirittura “rozza”, di quella che è la musica e la sua “funzione”, e in questo caso mi riferisco in modo più generale a tutta la musica, e non esclusivamente a quella che produco.
Sarò un po’ “controcorrente”, rispetto a tanti artisti “attigui” alla mia “area musicale” per così dire, ma per me la musica è ancora, fondamentalmente, puro piacere d’ascolto, emozione e intrattenimento.
Qualcuno potrebbe obiettare, tanto per dire, che il mio “From Unhealthy Places” con Mauthausen Orchestra non è proprio lo stereotipo della musica “da intrattenimento”, e probabilmente non lo è neanche “Post-Folk Lore”.
Ed è chiaro che qui non bisogna equivocare ciò che intendo per “intrattenimento”, riconducendo il significato a qualcosa che può essere identificata soltanto con musica “di facile ascolto”, “pop” (inteso nel senso meno “nobile” del termine), o simili.
La musica può “intrattenere” in modo diverso, in situazioni e circostanze diverse, e con “scopi” diversi… Purché riesca a “colmare” una necessità, ad appagare un “bisogno”, a offrire un’emozione, che sia questa più o meno “positiva”, “luminosa”, malinconica o “depressiva”…
Per ottenere questo ogni cosa è possibile e lecita, e quando compongo e registro musica il mio obiettivo personale è sempre e solo lo stesso… cercare di fare “buona” musica… ed emozionare.
Per questo non faccio grosse distinzioni tra generi musicali, strumenti, metodi, perfezione e imperfezione… Un delicato arpeggio acustico di chitarra, un delay, una distorsione, un drone, un suono “sporco”, un etereo pad di synth, un difetto di registrazione, una perfetta esecuzione di un riff, una sequenza elettronica … Non c’è nulla di per sé che “vada bene” o “non vada bene”… L’importante è il risultato finale. E se il risultato riesce ad emozione… va benissimo così.
Davide
Non è che adesso tutte le “Black Star” porteranno a lui, ma per un po’ credo sarà così per molti di noi che lo hanno amato… “Driven by a Black Star”, da un’idea selezionata da una registrazione improvvisata con Giulio Claudio Biaggi, è un omaggio a David Bowie?
Giuseppe
Ti deluderò sicuramente! Il “Black Star” citato nel titolo del brano non si riferisce al buon Bowie, ma soltanto all’amplificatore per chitarra (un Blackstar appunto) che mio cugino Giulio Claudio Biaggi aveva acquistato da poco e che stavamo provando insieme al momento in cui registrammo quello “spunto” da cui poi sono partito per comporre ed elaborare il brano presente sul CD.
E parlando di “citazioni”, non ti nascondo che in modo più o meno “occulto” mi sono sempre divertito a citare cose che mi piacciono e che fanno parte del mio background.
Alcuni esempi? Iniziamo da “Twist of Fate”, nome di progetto nato dal mio amore (già adolescenziale) per Bob Dylan, e quindi per il brano presente sul suo intramontabile album “Blood on the Tracks”.
E anche il titolo del brano “Sunbeams on the Tracks”, nasce da una mia personalissima variazione del titolo del suddetto album di Dylan. Aggiungerò che “New Morning”, titolo di un altro brano del nuovo CD, è anche il titolo di un album e di un brano sempre di Bob Dylan… E il sottotitolo “Over the Ocean” nasce come “omaggio” alla pedaliera per chitarra “Ocean Machine” della Mooer con cui ho registrato tutte le chitarre presenti sul CD.
Posso continuare menzionando altre “citazioni occulte” presenti anche sul precedente CD…
“In Some Lonesome Shadows”, è parte di un verso di “Billy”, brano sempre di Bob Dylan (album colonna sonora di “Pat Garrett & Billy the Kid”, mitico film del 1973 di Sam Peckinpah, con lo stesso Dylan e Kris Kristofferson); e ancora “With a Broken Wing”, verso finale di “Love Minus Zero/No Limit” sempre di Dylan.
E il titolo “Night Train Lullaby” è nato invece pensando a “Lullaby” dei Cure…
Spero ora di non essere denunciato per “plagio” ma, scherzi a parte, potreste divertirvi a “scovare” altri riferimenti e citazioni che negli anni ho intenzionalmente “disseminato” qua e là in molti miei lavori.
Davide
“Where the dusk has no end” mi piace particolarmente e mi riporta a certa ethereal wave anni ’80, specialmente quella delle scuderie 4AD records e Projekt, senza dimenticare “Gone to earth”.
Fin dalla antichità la musica ha avvicinato l’uomo ai margini dell’infinito, esprimendo o suscitando emozioni, sensazioni, aspirazioni e altro di ineffabile, come la pace, l’amore, la speranza ecc… Qual è il vostro sogno, tuo e di Daniela, attraverso la musica?
Giuseppe
Io e Daniela il nostro “sogno” principale lo abbiamo già raggiunto, anche grazie alla musica che è sempre stata una presenza fondamentale tra le mura della nostra casa e che già ci ha tenuto uniti per 38 anni fino ad oggi.
Poi ci sono “altri” sogni al di là della musica… Una bellissima casa con enormi vetrate affacciata direttamente sul mare… Spazi e tempo infinito, per nutrire i nostri interessi… la musica stessa… strumenti musicali, dischi, libri… Il tutto vivendo in un paese davvero “civile”… dove sia possibile uscire in strada con serenità, trovando ordine, pulizia, educazione, disciplina, rispetto, sensibilità, banalissimo “buon senso”… e persone intelligenti con cui parlare di cose belle, e anche di quelle meno belle, ma in grado di guardarsi intorno, osservare, pensare e ragionare di testa propria e non sulla base di quello che qualcun altro ha scritto, o che gli altri cercano di farti credere… né “quelli” che sono “da una parte”, né “quelli”che sono “dall’altra parte”…
Davvero un bel sogno… anzi tanti… troppi sogni…
Ma per questa vita, ormai ce ne siamo fatta una ragione, sappiamo che resteranno tali.
Davide
Cosa seguirà?
Giuseppe
Tante cose ancora… Vado in ordine un po’ “sparso”.
Prima di tutto il Volume 2 di “Post-Folk Lore” insieme a Rapoon, cui, come già accennato, dovrei iniziare a lavorare a breve.
A novembre uscirà il nuovo CD di Maribor. Si tratta del progetto collaborativo nato nel 2009 grazie a Stefano Gentile di Silentes, insieme anche a Maurizio Bianchi, Andrea Marutti, Gianluca Favaron, e l’ormai scomparso Pierpaolo Zoppo/Mauthausen Orchestra.
Questo CD contiene materiale registrato tra il 2011 e il 2020, ed è dedicato allo stesso Pierpaolo Zoppo.
Due tracce di questo CD erano già uscite sul tape “X”. I rimanenti tre brani sono stati messi a punto da me in forma definitiva in tempi più recenti, utilizzando gli archivi originali del materiale di Maribor, e curandone il mix definitivo e il mastering.
Poi ho pronto un album di un nuovo progetto collaborativo con Bruno De Angelis.
Nome del progetto “LHAM”, nome dell’album “Leaving Hardly A Mark”.
Si tratta sempre di un progetto strumentale, ai confini con l’ambient ma d’impronta abbastanza “musicale/melodica”. C’è già qualche brano di anteprima reperibile su Youtube.
È un album a cui tengo molto, e siamo in attesa di una risposta per la possibile pubblicazione su CD; speriamo che possa presto vedere luce anche questo lavoro.
E poi ancora… proprio ieri ho inviato un mio nuovo brano di Nimh alla label francese Taâlem per la compilation digitale che viene pubblicata ogni anno. Uscita prevista: dicembre prossimo.
Sto poi seguendo e curando insieme a Stefano Gentile la pubblicazione postuma di un nuovo CD dell’amico Pierpaolo Zoppo/Mauthausen Orchestra, che dovrebbe essere pubblicato anch’esso su una delle label di Stefano Gentile (St.An.Da. presumibilmente).
Si tratta di una pubblicazione autorizzata dalla famiglia di Pierpaolo, con cui sono in contatto da anni, costituita da brani inediti registrati negli ultimi anni, che ho raccolto, compilato e masterizzato personalmente, attingendo ad alcuni CD-R che all’epoca mi mandava in anteprima Pierpaolo in amicizia.
In questi ultimissimi giorni ho poi curato il mastering di un bell’album di Adriano Zanni di prossima uscita su St.An.Da. che vi consiglio vivamente (Songs to the Sirens), e quello di un nuovo EP di Day Before Us/Philippe Blache (Embalming Thy Melodious Tears), anch’esso molto bello, che dovrebbe essere pubblicato un po’ più in là.
C’è poi ancora qualche altra ipotesi di collaborazione… diverse in realtà, ma tutte ancora da considerare e definire, su cui per ora quindi non mi pronuncio.
Null’altro per ora, ma credo sia abbastanza, e concludo ringraziandoti di nuovo per questa bella chiacchierata e per lo spazio che mi hai spesso dedicato sul tuo Kult Underground.
Davide
Grazie a te e à suivre...
RIFERIMENTI UTILI:
Nimh/Giuseppe Verticchio Official Website:
http://www.oltreilsuono.com/nimh
Facebook Page:
https://www.facebook.com/giuseppe.verticchio.31/
Youtube:
https://www.youtube.com/user/SonicSights
Email:
giuver@yahoo.com
1 thought on “Intervista con Giuseppe Verticchio”