Tutto comincia con la libertà
Jules Michelet
Jules Michelet
Sovente i mezzi di informazione e la stampa in genere attribuiscono all’Accordo di Schengen la realizzazione della "libera circolazione dei cittadini" tra i paesi membri della Comunità Europea.
Niente di più scorretto. In realtà, infatti, questa libertà deriva innanzitutto dal Trattato istitutivo della Comunità Europea, che al suo articolo 3 prevede "…l’azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato:…
c) un mercato interno caratterizzato dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali;".
Gli anni ’80, poi, hanno segnato l’inizio di un dibattito sul concetto di «libera circolazione delle persone». Per alcuni Stati membri, la libera circolazione doveva applicarsi esclusivamente ai cittadini europei, il che imponeva di mantenere i controlli alle frontiere per distinguere i cittadini europei da quelli dei paesi terzi. Altri Stati auspicavano invece una libera circolazione per tutti, con la conseguente abolizione dei controlli alle frontiere. Vista l’impossibilità di giungere a un accordo in sede comunitaria, Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi decisero nel 1985 di creare fra di essi un territorio senza frontiere, il cosiddetto «spazio Schengen». Questa cooperazione "intergovernativa" si è poi estesa a tredici Stati membri con la firma del Trattato di Amsterdam nel 1997. In virtù del Trattato, le decisioni adottate dal 1985 in poi dai membri dello spazio Schengen e le strutture operative create sono state integrate nell’Unione Europea il 1° maggio 1999.
Dopo il primo accordo tra i cinque paesi "fondatori" è stata elaborata una convenzione, firmata il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore nel 1995, che ha permesso di abolire i controlli interni tra gli Stati firmatari e di creare una frontiera esterna unica lungo la quale i controlli all’ingresso nello spazio Schengen vengono effettuati secondo procedure identiche.
Per conciliare libertà e sicurezza, inoltre, la libera circolazione è stata affiancata dalle cosiddette "misure compensative" volte a migliorare il coordinamento tra Polizia, Dogane e Amministrazioni Giudiziarie nonché a combattere, in particolare, il terrorismo e la criminalità organizzata. A tal fine, si è creato il complesso Sistema d’informazione Schengen (SIS), che consente di scambiare dati sull’identità delle persone e sulla descrizione degli oggetti ricercati.
Lo spazio Schengen si è esteso progressivamente a tutti gli Stati membri.
L’Accordo è stato firmato dall’Italia il 27 novembre 1990. Il nostro Paese ha, così, dovuto adeguare la propria legislazione e il proprio apparato organizzativo ai nuovi obblighi imposti.
La nostra attenzione si concentra, in particolare, sulle previsioni dell’art.23 dell’Accordo che stabilisce "1. Lo straniero che non soddisfa o che non soddisfi più le condizioni di soggiorno di breve durata applicabili nel territorio di una delle Parti contraenti deve, in linea di principio, lasciare senza indugio i territori delle Parti contraenti…3. Qualora lo straniero di cui sopra non lasci volontariamente il territorio o se può presumersi che non lo farà, ovvero se motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico impongono l’immediata partenza dello straniero, quest’ultimo deve essere allontanato dal territorio della Parte contraente nel quale è stato fermato, alle condizioni previste dal diritto nazionale di tale Parte contraente. Se in applicazione di tale legislazione l’allontanamento non è consentito, la Parte contraente interessata può ammettere l’interessato a soggiornare nel suo territorio."
Di conseguenza, alla luce di queste norme va interpretata la disciplina italiana del fenomeno della permanenza sul territorio di cittadini stranieri (extracomunitari) non in possesso di un titolo legale di soggiorno nel nostro Paese. Lo straniero, se si è sottratto ai controlli di frontiera, se irregolare, o se è rimasto in Italia senza averne il diritto è considerato clandestino, pertanto deve essere respinto o espulso (articoli 10 e 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero").
Quando non è possibile eseguire immediatamente l’allontanamento dall’Italia, lo straniero può essere trattenuto in un "Centro di permanenza temporanea ed assistenza" (CPTa).
Questi Centri, quindi, sono stati istituiti, nel 1998, dalla c.d. Legge Turco-Napolitano (v. art. 12 Legge 6 Marzo 1998, n. 40). L’art. 14 del T.U. sull’immigrazione (D.Lgs. 25 Luglio 1998, n. 286) dispone che nei casi in cui sia stata disposta l’espulsione con accompagnamento alla frontiera, ma non si possa procedere con immediatezza all’allontanamento dello straniero, perché occorre procedere al soccorso dello stesso, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità del vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, il questore può disporre che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea ed assistenza più vicino.
In altre parole, il trattenimento costituisce la modalità organizzativa, prescelta dal legislatore, per rendere possibile, che lo straniero, destinatario di un provvedimento di espulsione, sia accompagnato alla frontiera ed allontanato dal territorio nazionale.
La Legge n. 189 del 2002 (c.d. Legge Bossi-Fini) ha reso, del resto, l’accompagnamento coattivo alla frontiera lo "strumento ordinario di esecuzione dei provvedimenti di allontanamento" (art. 13, 4° Co., D.Lgs. n. 286 del 1998: T.U. sull’immigrazione, così come modificato dalla Bossi-Fini). E a ben vedere non si riesce ad immaginare altra modalità di "controllare" queste persone se non limitandole in un CPT, uno strumento operativo di fatto richiesto dall’Accordo di Schengen.
Che poi la situazione di alcuni Centri di Permanenza sia difficile o molto difficile, questa è altra questione. Il rapporto di Amnesty International, intitolato «Italia – Presenza temporanea, diritti permanenti. Il trattenimento dei cittadini stranieri detenuti nei "centri" di permanenza temporanea" (CPTa)», esprime rilevanti preoccupazioni sulla situazione degli immigrati irregolari ed anche dei richiedenti asilo colpiti dai decreti di espulsione o di respingimento e "trattenuti", in attesa di essere allontanati dall’Italia, nei "CPTa". Le denunce evidenziano l’esistenza di trattamenti e di condizioni detentive contrastanti con le previsioni della normativa costituzionale ed internazionale in materia di diritti inviolabili della persona umana. Il rapporto analizza, in generale, le varie tipologie di Centri istituiti ai fini della detenzione degli stranieri irregolari e le funzioni da essi svolte ed evidenzia, in particolare, la illegittima e degradante situazione in cui, molti di essi, versano. Sulla base di queste premesse si chiede, alle autorità italiane, una revisione radicale delle politiche, della legislazione, dei procedimenti amministrativi nella materia relativa alle condizioni ed al trattamento degli immigrati irregolari e dei richiedenti asilo.
Occorre dunque, migliorare il funzionamento e le condizioni di vita all’interno di (alcuni) CPTa. Ma liquidare il problema affermando sic et simpliciter che i CPTa vanno aboliti, equivarrebbe a dire, a parere di chi scrive, che di fronte all’esistenza di Ospedali (o Istituti penitenziari) simili a Lager, allora tanto vale chiuderli tutti e mandare gli ammalati (e detenuti) a casa…
Niente di più scorretto. In realtà, infatti, questa libertà deriva innanzitutto dal Trattato istitutivo della Comunità Europea, che al suo articolo 3 prevede "…l’azione della Comunità comporta, alle condizioni e secondo il ritmo previsti dal presente trattato:…
c) un mercato interno caratterizzato dall’eliminazione, fra gli Stati membri, degli ostacoli alla libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali;".
Gli anni ’80, poi, hanno segnato l’inizio di un dibattito sul concetto di «libera circolazione delle persone». Per alcuni Stati membri, la libera circolazione doveva applicarsi esclusivamente ai cittadini europei, il che imponeva di mantenere i controlli alle frontiere per distinguere i cittadini europei da quelli dei paesi terzi. Altri Stati auspicavano invece una libera circolazione per tutti, con la conseguente abolizione dei controlli alle frontiere. Vista l’impossibilità di giungere a un accordo in sede comunitaria, Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi decisero nel 1985 di creare fra di essi un territorio senza frontiere, il cosiddetto «spazio Schengen». Questa cooperazione "intergovernativa" si è poi estesa a tredici Stati membri con la firma del Trattato di Amsterdam nel 1997. In virtù del Trattato, le decisioni adottate dal 1985 in poi dai membri dello spazio Schengen e le strutture operative create sono state integrate nell’Unione Europea il 1° maggio 1999.
Dopo il primo accordo tra i cinque paesi "fondatori" è stata elaborata una convenzione, firmata il 19 giugno 1990 ed entrata in vigore nel 1995, che ha permesso di abolire i controlli interni tra gli Stati firmatari e di creare una frontiera esterna unica lungo la quale i controlli all’ingresso nello spazio Schengen vengono effettuati secondo procedure identiche.
Per conciliare libertà e sicurezza, inoltre, la libera circolazione è stata affiancata dalle cosiddette "misure compensative" volte a migliorare il coordinamento tra Polizia, Dogane e Amministrazioni Giudiziarie nonché a combattere, in particolare, il terrorismo e la criminalità organizzata. A tal fine, si è creato il complesso Sistema d’informazione Schengen (SIS), che consente di scambiare dati sull’identità delle persone e sulla descrizione degli oggetti ricercati.
Lo spazio Schengen si è esteso progressivamente a tutti gli Stati membri.
L’Accordo è stato firmato dall’Italia il 27 novembre 1990. Il nostro Paese ha, così, dovuto adeguare la propria legislazione e il proprio apparato organizzativo ai nuovi obblighi imposti.
La nostra attenzione si concentra, in particolare, sulle previsioni dell’art.23 dell’Accordo che stabilisce "1. Lo straniero che non soddisfa o che non soddisfi più le condizioni di soggiorno di breve durata applicabili nel territorio di una delle Parti contraenti deve, in linea di principio, lasciare senza indugio i territori delle Parti contraenti…3. Qualora lo straniero di cui sopra non lasci volontariamente il territorio o se può presumersi che non lo farà, ovvero se motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico impongono l’immediata partenza dello straniero, quest’ultimo deve essere allontanato dal territorio della Parte contraente nel quale è stato fermato, alle condizioni previste dal diritto nazionale di tale Parte contraente. Se in applicazione di tale legislazione l’allontanamento non è consentito, la Parte contraente interessata può ammettere l’interessato a soggiornare nel suo territorio."
Di conseguenza, alla luce di queste norme va interpretata la disciplina italiana del fenomeno della permanenza sul territorio di cittadini stranieri (extracomunitari) non in possesso di un titolo legale di soggiorno nel nostro Paese. Lo straniero, se si è sottratto ai controlli di frontiera, se irregolare, o se è rimasto in Italia senza averne il diritto è considerato clandestino, pertanto deve essere respinto o espulso (articoli 10 e 13 del decreto legislativo 25 luglio 1998 n. 286 "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero").
Quando non è possibile eseguire immediatamente l’allontanamento dall’Italia, lo straniero può essere trattenuto in un "Centro di permanenza temporanea ed assistenza" (CPTa).
Questi Centri, quindi, sono stati istituiti, nel 1998, dalla c.d. Legge Turco-Napolitano (v. art. 12 Legge 6 Marzo 1998, n. 40). L’art. 14 del T.U. sull’immigrazione (D.Lgs. 25 Luglio 1998, n. 286) dispone che nei casi in cui sia stata disposta l’espulsione con accompagnamento alla frontiera, ma non si possa procedere con immediatezza all’allontanamento dello straniero, perché occorre procedere al soccorso dello stesso, ad accertamenti supplementari in ordine alla sua identità o nazionalità, ovvero all’acquisizione di documenti per il viaggio, ovvero per l’indisponibilità del vettore o di altro mezzo di trasporto idoneo, il questore può disporre che lo straniero sia trattenuto per il tempo strettamente necessario presso il centro di permanenza temporanea ed assistenza più vicino.
In altre parole, il trattenimento costituisce la modalità organizzativa, prescelta dal legislatore, per rendere possibile, che lo straniero, destinatario di un provvedimento di espulsione, sia accompagnato alla frontiera ed allontanato dal territorio nazionale.
La Legge n. 189 del 2002 (c.d. Legge Bossi-Fini) ha reso, del resto, l’accompagnamento coattivo alla frontiera lo "strumento ordinario di esecuzione dei provvedimenti di allontanamento" (art. 13, 4° Co., D.Lgs. n. 286 del 1998: T.U. sull’immigrazione, così come modificato dalla Bossi-Fini). E a ben vedere non si riesce ad immaginare altra modalità di "controllare" queste persone se non limitandole in un CPT, uno strumento operativo di fatto richiesto dall’Accordo di Schengen.
Che poi la situazione di alcuni Centri di Permanenza sia difficile o molto difficile, questa è altra questione. Il rapporto di Amnesty International, intitolato «Italia – Presenza temporanea, diritti permanenti. Il trattenimento dei cittadini stranieri detenuti nei "centri" di permanenza temporanea" (CPTa)», esprime rilevanti preoccupazioni sulla situazione degli immigrati irregolari ed anche dei richiedenti asilo colpiti dai decreti di espulsione o di respingimento e "trattenuti", in attesa di essere allontanati dall’Italia, nei "CPTa". Le denunce evidenziano l’esistenza di trattamenti e di condizioni detentive contrastanti con le previsioni della normativa costituzionale ed internazionale in materia di diritti inviolabili della persona umana. Il rapporto analizza, in generale, le varie tipologie di Centri istituiti ai fini della detenzione degli stranieri irregolari e le funzioni da essi svolte ed evidenzia, in particolare, la illegittima e degradante situazione in cui, molti di essi, versano. Sulla base di queste premesse si chiede, alle autorità italiane, una revisione radicale delle politiche, della legislazione, dei procedimenti amministrativi nella materia relativa alle condizioni ed al trattamento degli immigrati irregolari e dei richiedenti asilo.
Occorre dunque, migliorare il funzionamento e le condizioni di vita all’interno di (alcuni) CPTa. Ma liquidare il problema affermando sic et simpliciter che i CPTa vanno aboliti, equivarrebbe a dire, a parere di chi scrive, che di fronte all’esistenza di Ospedali (o Istituti penitenziari) simili a Lager, allora tanto vale chiuderli tutti e mandare gli ammalati (e detenuti) a casa…
Il buon senso c’era;
ma se ne stava nascosto
per paura del senso comune.
Alessandro Manzoni
ma se ne stava nascosto
per paura del senso comune.
Alessandro Manzoni
Nell’immagine: un visto Schengen che vale in tutti i paesi aderenti all’Accordo.
L’Accordo venne firmato a Schengen, cittadina del Lussemburgo, il 14 giugno 1985 inizialmente da solo cinque Stati membri della allora CEE: Belgio, Francia, Lussemburgo, Germania e Paesi Bassi.
Per propria scelta, due paesi non hanno aderito agli accordi: Regno Unito e Irlanda
Sono state adottate norme comuni in materia di visti, diritto d’asilo e controllo alle frontiere esterne onde consentire la libera circolazione delle persone all’interno dei paesi firmatari senza turbare l’ordine pubblico.
L’Italia ha poi ratificato con legge 30 settembre 1993, n. 388, sia l’Accordo che la Convenzione.
L’Italia presentava problemi di natura sia giuridica che organizzativa: anzitutto, la mancanza nel nostro ordinamento di una legge sulla protezione dei dati personali, richiesta dall’Accordo. Con l’approvazione della legge 31 dicembre 1996, n. 675 sulla Tutela delle persone e di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali (vedi Kult n.124-Novembre 2005), l’ostacolo è stato rimosso. La seconda debolezza italiana riguardava la partecipazione al sistema d’informazione. L’Accordo prevede infatti che sia creato un sistema comune d’informazione costituito da una Sezione nazionale, istituita presso ciascun Stato e incaricata di istituire e gestire un archivio di dati su base nazionale, e da una Unità di supporto tecnico con sede a Strasburgo e con il compito di gestire un archivio di dati con il quale sia garantita l’identità e quindi l’omogeneità degli archivi nazionali mediante la trasmissione in linea delle informazioni. In Italia, terminata una prima fase di sperimentazione denominata "data loading test" per verificare la congruità e la compatibilità del sistema nazionale con quello centrale di Strasburgo sul piano esclusivamente tecnico, è stata completata la fase di caricamento dei dati dei paesi tra i quali gli accordi di Schengen sono già operativi, nel SIS nazionale.
Lo sforzo compiuto dall’Italia per adeguarsi alle condizioni imposte ha permesso la sua integrazione piena nel Sistema di informazione Schengen per la circolazione aeroportuale il 26 ottobre 1997. A partire dal 1 aprile 1998 c’è stata anche l’apertura delle frontiere terrestri e marittime.
Lo sforzo compiuto dall’Italia per adeguarsi alle condizioni imposte ha permesso la sua integrazione piena nel Sistema di informazione Schengen per la circolazione aeroportuale il 26 ottobre 1997. A partire dal 1 aprile 1998 c’è stata anche l’apertura delle frontiere terrestri e marittime.
Vedi Kult n.89-Settembre 2002: "Bossi-Fini: breve commento alla nuova legge sull’Immigrazione"
La permanenza in tale Centro è disposta dal Questore che deve, entro 48 ore dalla notifica dell’atto, trasmettere il provvedimento al giudice di pace, competente per il luogo dove ha sede il Centro, per la convalida.
Il giudice, sentito l’interessato se presentatosi, e con la partecipazione necessaria del difensore, adotta il provvedimento nelle 48 ore successive con decreto motivato . In caso di convalida lo straniero può essere trattenuto per un periodo complessivo massimo di 60 giorni; in caso di mancata convalida lo straniero deve lasciare il Centro.
Contro l’espulsione è possibile, entro 60 giorni dalla notifica, impugnare il provvedimento davanti al giudice di pace, competente per il luogo in cui ha sede l’autorità che ha emesso il provvedimento. Il ricorso può essere sottoscritto anche personalmente ed essere presentato anche tramite la rappresentanza consolare italiana del Paese di appartenenza dello straniero. In sede di ricorso lo straniero può avvalersi dell’assistenza di un avvocato o usufruire di assistenza legale gratuita qualora sia sprovvisto di un difensore di fiducia (art. 13 testo unico immigrazione).
Il Centro è vigilato dalle forze di polizia per impedire ogni eventuale allontanamento non autorizzato.
Il Centro è sotto la responsabilità della Prefettura – Ufficio Territoriale per il Governo – (istituito a livello provinciale) ed è gestito dalla Croce Rossa Italiana attraverso un Direttore e vari collaboratori ai quali lo straniero può rivolgersi per ogni necessità.
Nel Centro possono essere presenti, in orari prestabiliti, operatori di altre associazioni ed organizzazioni umanitarie che si dedicano, insieme alla Croce Rossa Italiana, al sostegno dello straniero e alla fornitura di servizi complementari previsti affinché siano garantiti tutti i diritti successivamente elencati. Dal sito: www.poliziadistato.it
Il giudice, sentito l’interessato se presentatosi, e con la partecipazione necessaria del difensore, adotta il provvedimento nelle 48 ore successive con decreto motivato . In caso di convalida lo straniero può essere trattenuto per un periodo complessivo massimo di 60 giorni; in caso di mancata convalida lo straniero deve lasciare il Centro.
Contro l’espulsione è possibile, entro 60 giorni dalla notifica, impugnare il provvedimento davanti al giudice di pace, competente per il luogo in cui ha sede l’autorità che ha emesso il provvedimento. Il ricorso può essere sottoscritto anche personalmente ed essere presentato anche tramite la rappresentanza consolare italiana del Paese di appartenenza dello straniero. In sede di ricorso lo straniero può avvalersi dell’assistenza di un avvocato o usufruire di assistenza legale gratuita qualora sia sprovvisto di un difensore di fiducia (art. 13 testo unico immigrazione).
Il Centro è vigilato dalle forze di polizia per impedire ogni eventuale allontanamento non autorizzato.
Il Centro è sotto la responsabilità della Prefettura – Ufficio Territoriale per il Governo – (istituito a livello provinciale) ed è gestito dalla Croce Rossa Italiana attraverso un Direttore e vari collaboratori ai quali lo straniero può rivolgersi per ogni necessità.
Nel Centro possono essere presenti, in orari prestabiliti, operatori di altre associazioni ed organizzazioni umanitarie che si dedicano, insieme alla Croce Rossa Italiana, al sostegno dello straniero e alla fornitura di servizi complementari previsti affinché siano garantiti tutti i diritti successivamente elencati. Dal sito: www.poliziadistato.it
Entrata in vigore pochi giorni prima della piena operatività dell’Accordo di Schengen in l’Italia
Cfr. "Centri di permanenza temporanea e assistenza" (CPTa): Amnesty International denuncia le pratiche detentive dell’Italia (a cura e con un commento di G. Bucci e L. Patruno), in www.costituzionalismo.it dell’08/07/2005.