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Letteratura e pugilato: Fat City

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Letteratura e pugilato: una panoramica, alcune considerazioni e sconfinamenti
a partire da Fat City di Leonard Gardner, Fazi, 2006

La lettura di Fat City di Leonard Gardner, (Fazi, 2006) opera classica ed epica sul mondo della boxe, pubblicato nel 1969 ma proposto per  la prima volta al pubblico italiano, (romanzo bellissimo che trascende l’ambiente in cui si svolgono le vicende  e  sa diventare universale narrazione della caduta, delle speranze, delle illusioni, del fallimento, dell’uomo fra miserie e splendori) ha fatto emergere antiche passioni collegate al riscatto di giovani sbandati rappresentati in film in bianco e nero del realismo poetico francese, ha illuminato il lato oscuro e gli inciampi dei campioni che avevo conosciuto  soprattutto al cinema, o, molto raramente, seguendo incontri televisivi trasmessi a orari impossibili. Leggere Fat City  è stato come scartare un regalo contenuto in tante scatole, ogni scatola con una traccia, un pezzo di mondo che lambisce periferie con grandi strade, palestre squallide, sudore, schizzi di sangue, potenza, gloria e disgusto, ogni scatola un segno, nasi schiacciati, povertà e dolore, amori sacrificati, adrenalina, paura, passioni infiammate, esaltazioni, storie intrecciate da seguire. E’ stato come se il fascino tragico di questo sport,  fascino con il quale è difficile fare i conti, riemergesse e mi trascinasse. Leggere il libro di Gardner, da cui è stato tratto un film leggendario del 1972 di John Huston,  bello e dolente, mi ha spinto in un territorio fatto di grandi riscatti, di azioni semplici e a volte letali, mi ha fatto viaggiare, come sempre accade con i grandi libri. Eccomi dentro. Attorno a un ring a guardare con brama e turbamento uno spettacolo sadico,  costellato da eventi imprevedibili e primitivi, umiliazioni e sorprese. Ho sempre rimosso e nello stesso tempo corteggiato la natura particolare della boxe e le sensazioni che fluiscono quando ci si documenta sulle storie dei campioni, quando si guarda un combattimento. Qualcosa si bloccava dentro di me, come se il solo fatto di vedere due uomini in lotta mi spingesse  a denudarmi controvoglia. A scoprire per forza quello che volevo rimanesse coperto. Vedere un combattimento e non censurare i miei sentimenti svelava intestino, saliva, bava, viscere, cuore , bile . Come spesso accade è stato sempre un libro a venirmi in soccorso.  Joyce Carol Oates  ha scritto un saggio dal titolo On Boxing, pubblicato in Italia nel 1988 dalla  E/O e ora naturalmente fuori catalogo (con un po’ di pazienza, spulciando fra le librerie coi reminders  o cercando in rete con attenzione si trova). Non sembra, magari non ha attirato molti potenziali lettori ma è una vera chicca. Da cercare meticolosamente. E’ senza dubbio una delle più lucide trattazioni sulla filosofia dello sport che siano mai state scritte. Un saggio dedicato, sorprendentemente forse, al selvaggio Tyson,  così duro e violento con le donne, così marginale, ma  partendo da lui è un libro che svela. Spiega quello che appare inspiegabile  e si addentra nei meandri del  mondo della boxe con maestria, originalità e profondità. Mi ha fatto capire che non è solo per me un mondo fatto di attrazione e repulsione, un mondo di contrasti, ma occuparsi, scrivere di questo sport costituisce, come ben scrive Francesca Schiavon  (http://www.corpo12.it/2005/04/22/recensioni/sulla-boxe), il tentativo di raccontare “uno dei misteri dei nostri tempi, uno dei nodi più oscuri e intricati della cultura occidentale, qualcosa che ci fa sentire pericolosamente vicini ai fanatici dei combattimenti di galli a Bali….. La concatenazione delle sue argomentazioni costruisce una logica che sembra seguire lo stile della scrittura come se non ci fosse logica fuori dalla scrittura, come se la boxe la stesse inventando lei mentre scrive, come se la stesse inventariando. Queste 113 pagine – che contengono una breve storia del pugilato, resoconti di vari incontri cardine, dati, ritratti di personaggi, elenco delle categorie a seconda del peso in libbre, interpretazione dei soprannomi, citazioni da film e libri sulla noble art – sono pura mitopoiesi della boxe. I pugili sono lì per fornire un’esperienza assoluta, un resoconto pubblico dei limiti del loro essere; conosceranno, come pochi di noi sono in grado di fare, quale potenza fisica e psichica possiedono…Salire sul ring quasi nudi e mettere a repentaglio la propria vita, significa in un certo senso fare del proprio pubblico un voyeur: la boxe è così intima  Questa intimità  della boxe è profondamente erotica, ma fa parte del regno dell’ INDICIBILE,dell’INAMISSIBILE,non è politicamente corretta e per questo spaventa. Cito da Fat City: ” ..State a sentire che non ho finito. Il dottore gli cava il sangue, il sangue è nero, e poi se ne resta lì a guardarlo mentre gli chiedo di bruciagli le vene del naso, al ragazzo- per non farlo sanguinare più. Così posa il sangue per un momento e prende la pistola elettrica e dopo che gli ha bruciato il naso tira fuori di nuovo la boccetta per guardare se il sangue scende, ma niente- resta dov’è. …era diventato di gelatina….” Sangue.  Urina, spesso. Argomenti connessi alla corporeità ma non usuali. Maschili, roba da spogliatoio, da uomini induriti e imbarbariti che tornano alle origini. Procedendo nella lettura della Oates  trovo queste parole:  Nessun altro soggetto è, per lo scrittore, così intensamente personale come la boxe. Scrivere di pugilato significa scrivere di se stessi; e scrivere di pugilato ci obbliga a indagare non solo la boxe, ma i confini stessi della civiltà- cos’è o cosa dovrebbe essere ‘umano’.” Così Joyce Carol Oates descrive il suo rapporto con la boxe. E’ una coraggiosa ammissione, un’intuizione fulminante.  Nella boxe si incita  a colpire il rivale. Nella boxe si costeggia costantemente l’estremo. Il problema di dove ci si debba fermare è sempre presente e la scala di valori, o di regole che muove subisce costanti aggiustamenti. Dipende da una quantità di elementi. Dai fantasmi del passato, dalle cicatrici, dai soldi, dalle donne, dalla quantità di frustrazione che si è accumulata nella vita passata e a volte anche in quella presente. Nel libro di Gardner, il fascino del pugilato è condensato e centellinato con una precisione perfetta Scrive Antonio Franchini nella bella introduzione al romanzo:” Già. L’opera unica di questo scrittore che si potrebbe quasi considerare una specie di Salinger del romanzo di boxe è tutta lavorata dall’interno. Questa è la sua peculiarità. E’ vero. I pugili di Fat City ignorano la storia del pugilato. Come quasi tutti i pugili, del resto, i quali, a proposito dei loro grandi contemporanei, pensano quasi sempre che sono stati più fortunati, non più grandi. Certo poi esistono le eccezioni. Esistono pugili che sono veri e propri cultori della boxe del passato, collezionisti di rari filmati d’epoca, filologi del pugno d’autore. Sono pugili che si ispirano ai loro predecessori, atleti che scelgono nella vasta galleria del passato qualcuno cui somigliano o cui credono o cui si illudono di somigliare nel modo di combattere, come un artista contemporaneo identifica il maestro da cui pensa o sogna di derivare…”   La seduzione di questo mondo è persistente, si ritrova spesso, George Foreman per spiegare il fascino della boxe scrisse: “E’ lo sport al quale tutti gli altri vorrebbero somigliare” Non so se questo sia vero, o se lo sia stato in passato, certo anche questa definizione ha contribuito a rendere questo sport elemento costante d’ispirazione per la letteratura e per il cinema. Per quello che riguarda la letteratura impossibile non citare  Una bistecca , il racconto di Jack London di un pugile che perde  sul ring a causa di una bistecca,  mangiata voracemente  per  saziarsi, usando i soldi dell’anticipo, a poche ore dal match. Molto interessante anche il libro:” L’ultimo volo dell’angelo biondo” di Andrea Bacci, http://www.internetbookshop.it/ser/serdsp.asp?shop=1&c=LWODJGQPPRBYR, edito da Limina, sulla storia del pugile italiano Angelo Jacopucci, conosciuto nell’ambiente come un pugile simpatico, ma pavido, fragile, di poco temperamento. In realtà non era assolutamente vero, Jacopucci aveva  un modo di combattere congeniale al suo modo di essere. Diverso. Inusuale. E infatti vinse spesso, ma in quel fatidico luglio del 1978 il destino tennne  in serbo per lui qualcosa di diverso dalle solite vittorie per molti osservatori impensabili. Anche questo è un libro di grande bellezza, commovente, che trascende il tema e ci racconta un uomo, i prezzi salati da pagare, le carambole della vita, le cadute che annientano. Un libro che non richiede di essere esperti o dell’ambiente per essere goduto e apprezzato. E naturalmente” Cinderella man. L’uomo che prese a pugni la grande depressione”, di Jim Hague, Baldini Castoldi e Dalai, 2005, la storia di  James  Braddok , un ragazzo irlandese a New York, nell’immediato dopoguerra, che scopre quasi per caso di essere nato per combattere e diventa “uno dei più improbabili campioni dei pesi massimi di tutti i tempi”come cita Edmondo Berselli in un pezzo impedibile tratto da Repubblica che potete leggere qui http://www.bcdeditore.it/allegati/cinderella.pdf. Da questo libro  hanno tratto il recente e famoso film con Russel Crowe, http://www.cinderellamanmovie.com/index.php di cui qui http://www.cinefile.biz/cindman.htm potete trovare una recensione di Alberto Cassani  che ne mette in evidenza gli aspetti positivi e quelli non molto riusciti, recensione arricchita da alcuni link interessanti, ottimo strumento per orientarsi in un percorso riguardante la boxe e il cinema recente e del passato che  ad essa si è ispirato. Per una panoramica di altri libri sul pugilato consiglio invece  questo link. http://www.libreriadellosport.it/libri-books/pugilato-boxing

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