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Un discorso coerente su se stessa, sulla schizofrenia del mondo – bancarella, mercato, ipermercato – e la letteratura, in particolare la poesia, rinnegata in angoli bui dalla cosiddetta modernità. Al primo posto emerge il senso dell’amore, come dolore e come sfida, dove l’abbandono all’emozione e ai sensi costa sempre qualcosa, in primo luogo probabilmente a causa della propria ‘diversità noiosa’.
L’autrice, nonostante ambisca a una mente libera e ad un amore completo, svela a una lettura meno superficiale, il peso della propria sessualità, che se fosse accettata e vissuta in maniera naturale non avrebbe affatto bisogno di essere continuamente denunciata.
I versi di Saffo, uguali e precisi, in fondo, servirono anche per Lesbia, a lei dedicati da Catullo.
Nello sperdimento esistenziale, dove quasi tutto appare provvisorio e inautentico, ci viene sottratto anche il piacere di scrivere perché il mondo riesce a schiacciare il poeta-artista nelle sue strategie di sopravvivenza. Una malinconia e forse un rancore per la vita che non ha garantito i sogni e le ambizioni avvolgono la silloge.
Molto ben scritte, con la maestria che mi rende fanatica ammiratrice della Cito, le prose che intercalano i versi.
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