Torino sabauda, Torino austera, Torino grigia e industriale, Torino dei portici e dei parchi, Torino della magia e dell’Egitto, Torino olimpica e delle tensioni sociali. A questo elenco, che potrebbe allungarsi sino a diventare una litania apparentemente infinita, si aggiunge oggi un nuovo aggettivo: Torino Noir, o meglio Torinoir.
La Casa Editrice Il Foglio Letterario raccoglie in un libro otto racconti scritti da altrettanti autori torinesi che hanno deciso di ambientare nella città della Mole le loro avventure di sangue.
Beccaccini, Castellaro, Di Francesco, Farina, Malabaila, Marangoni, Pizzolitto e Serra ci coinvolgono in un tour letterario e delittuoso della città, che alterna la periferia ai quartieri del centro. Si comincia con uno strano rapporto di amore e di violenza consumato a Venaria Reale, a due passi da Torino, per ritrovarsi poco dopo in un ristorante teatro di un omicidio in Borgo San Paolo. A poca distanza c’è la centralissima Piazza Statuto, in cui gli incontri interetnici si tingono di nero e ci spingono a cercare una via di fuga verso Mirafiori e via Artom.
La capitale sabauda dimostra di essere il palcoscenico perfetto per accogliere storie nere, in cui la morte è sempre protagonista, a volte discreta, a volte invadente. Il Salone del Libro, la Sindone, la statua di Vittorio Emanuele II, il fiume Po diventano ispiratori di follie che paiono incitare i personaggi a compiere azioni crudeli e spietate.
La città non si accontenta tuttavia di restare sullo sfondo, ma cerca di guadagnare sempre maggiore spazio di racconto in racconto. Ogni storia diventa così fortemente dipendente dalla sua ambientazione: le singole vicende perderebbero di efficacia se venissero sradicate da Torino per essere trapiantate altrove. Esse funzionano proprio perché hanno alle spalle le facciate austere dei palazzi, la rigidità delle strade che corrono dritte e implacabili, la severità armoniosa che accomuna volti e architettura. L’apparente contrasto tra il rigore delle forme e l’efferatezza delle azioni non suona come nota stonata, ma al contrario contribuisce ad aumentare il fascino della narrazione.
Terminata la lettura l’impressione che si ricava è paragonabile a una presenza inquietante che ci costringe a voltarci quando sentiamo un rumore sospetto: il sentore a livello inconscio che a Torino la morte sia di casa. Proprio per questo motivo dovremmo seguire il consiglio che Dardano Sacchetti ci offre nella prefazione al libro: assaporare lentamente ogni racconto, magari nel cuore della notte, seduti su una panchina al Valentino, dopo aver percorso via Roma inseguiti dall’eco lontana dei nostri passi. O forse dei passi di qualcun altro.
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