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Meno di Zero – Bret Easton Ellis

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Se dovessi descrivere questo libro con un colore non avrei dubbi: il bianco. Accecante, asettico, perenne. Un bianco che riempie tutti gli spazi, che non lascia possibilità alla comunicazione, che livella tutte le cose, i volti, gli atteggiamenti, i discorsi.

Perché nel primo romanzo di Bret Easton Ellis (pubblicato quando lui aveva ventuno anni) è proprio il vuoto bruciante dell’esistenza ad avere la parte del protagonista. Quel vuoto che nel corso degli altri romanzi troverà una sua completa definizione e incarnazione (Patrick Bateman, su tutti) e che diventerà la cifra stilistica di questo autore.

Pare paradossale ma, in Meno di zero, la scrittura di Ellis è più essenziale che mai. Sembra quasi una ricerca stilistica la sua, il raggiungimento di un grado descrittivo minimo che però lascia un segno indelebile nell’animo del lettore. Il susseguirsi ipnotico delle vicende di Clay, sempre uguali a se stesse, ci porta in uno stato di trance emotiva in cui da una parte scopriamo quanto possa essere orribile la vacuità e la freddezza dei sentimenti e delle relazioni umane mentre dall’altra ci lasciamo trascinare sempre di più nel ripetersi di queste vite, volendone ancora, cercando di riuscire a capire fino a che punto tutto questo potrà spingersi. Alla fine si sente il bisogno fisico di un qualcosa di vero, di sentimenti umani tra i personaggi. Si vorrebbe entrare tra le pagine e abbracciare uno qualsiasi di questi ragazzi (soprattutto Clay) per dargli un pò d’affetto, per sussurrargli una parola che non sia solo una insignificante modulazione sonora. Ma niente di tutto questo è possibile, i personaggi sono destinati all’inferno. E non hanno nessuna possibilità di redenzione e cambiamento, a meno che non abbiano la forza di toccare il fondo di loro stessi. Ma anche se riescono a farlo, sembra sempre tutto inutile, perchè in realtà non esiste niente che riesca a smuoverli dal loro stato di perenne apatia.

Quello di Ellis è un mondo strafatto di tranquillanti e ipnotici, dove sono solo le botte di cocaina a darti la sensazione di essere vivo. Un mondo rinchiuso in un loop perenne. Dove si vedono sempre le stesse facce, dove si dicono sempre le stesse cose, dove ci si ubriaca, si scopa per poi dimenticarsene subito dopo. Non a caso i momenti più belli del libro sono quelli scritti in corsivo, dove prendono vita i ricordi di Clay. Sono gli unici momenti veramente personali, dove le emozioni non sono congelate o rarefatte, ma ancora pulsano e per questo continuano a fare male. Quei ricordi sono qualcosa di bellissimo. Quando li leggo, trovo in quelle parole una sensazione unica che solo la pagina scritta può trasmettere. Quel grado di scrittura trovato da Ellis (poco più che ventenne) contiene un equilibrio tra stile ed espressione che altri scrittori ricercheranno per tutta la vita.

Lo scenario in cui è ambientato il libro è quello di Los Angeles, California. Ma non quella di Bukowski e Fante, quella dei poveracci, dei derelitti, dei perdenti. Ellis ci mostra il mondo di chi ha i soldi, dei figli dei produttori cinematografici, di quelli che pensano – Cosa è giusto? Se si vuole una cosa è giusto prendersela. Se si vuole fare una cosa è giusto farla.

Ma Bret mostra come anche in questi ambienti, tra i più lussuosi e mondani, la felicità sia qualcosa di irraggiungibile. Ellis ha avuto la forza (straordinaria, a mio avviso) di distruggere tutti quei miti che dagli anni ottanta in poi ci hanno insegnato ad adorare. Quello del cinema (Meno di zero), quello degli yuppie e del consumismo più sfrenato (American Psycho) e quello della moda (Glamourama). Perché è proprio tra le Ferrari, le megaville, i vestiti firmati, i corpi sodi e abbronzati che si nasconde un male di vivere che sembra non avere precedenti. L’uomo sembra diventato un essere privo di tutto, proprio nel momento in cui materialmente questo tutto è riuscito a possederlo. In un rovesciamento etico e morale, sono stati gli oggetti a prendere il posto dell’anima e quindi gli uomini sono stati iniziati ad essere giudicati solo per quello che possedevano e non più per quello che erano.

Anche Meno di zero come gli altri romanzi di Bret è una lama a doppio taglio. Si entra nella lettura ad una velocità stratosferica, si divorano le pagine, ma allo stesso tempo l’inquietudine si impossessa di noi, non si riescono a staccare gli occhi dalle parole e contemporaneamente non si vede l’ora di finire.

Meno di zero è la nascita di uno tra i più grandi scrittori contemporanei. L’unico che sia riuscito a distruggere dall’interno gran parte della nostra mitologia. L’unico che sia riuscito a mostrare l’orrore là dove i volti erano più sorridenti, le donne più belle e gli uomini più ricchi e famosi.

Di così tanto dolore mi si colma il cuore. Ma il sentimento che resta non è mai sofferenza, ma solo un’infinita ammirazione.

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