ESORCISMO CONTEMPORANEO
Questa raccolta antologica, curata dalla giovane autrice Flavia Piccinni, ha come leitmotiv un tema ineluttabile: la morte; o meglio, i vari modi per cui si può passare “nel mondo dei più”.
Nella nostra modernità, erede – come dice il filosofo Salvatore Natoli – di due grandi paradigmi socioculturali antitetici: il greco (antico) ed il giudaico-cristiano, il pensiero della morte è estremamente ritualizzato, parcellizzato, fagocitato da prassi funerarie e da lauti compensi agli unici impresari che non falliscono mai: quelli delle pompe funebri.
Il dolore, o meglio, l’elaborazione del lutto di chi resta, invece, rimane affare privato, avvolto in un pudore che spesso vuol purtroppo dire menefreghismo.
Invece, qualcuno della panoplia di autori (ben cinquantanove!) che la Piccinni qui propone, dei superstiti si occupa pure, e bene hanno fatto i curatori della quarta di copertina ad evidenziare proprio uno di questi passi.
La recensora, però, intende qui focalizzarsi, con tutto il rispetto ed anche l’amicizia per gli altri (uno dei quali personalmente conosciuto), su tre contributi, di tre giovani narratori presenti in questa sorta di esorcismo collettivo: Eliselle, Gennaro Chierchia, Gianluca Colloca.
Perché adottano il punto di vista di personaggi molto interessanti: rispettivamente La Casalinga Frustrata (e) Psicopatica; Lo Scrittore Gay che non s’accetta; I Moderni Cineasti Dilettanti.
Perché questo punto di vista viene reso con un registro narrativo che bene esplica la loro complessità ed i loro ritmi differenti di vivere… e morire.
Perché parlare di loro vuol dire rinviare a tematiche di fondo molto molto attuali e delicate:
– l’inanità del movimento femminista italico per quanto concerne la (poca o nulla) scalfittura della stereotipata definizione dei ruoli dell’uomo e della donna;
– la complessità delle dinamiche intrapsichiche sottostanti ad una scelta di orientamento sessuale, che, oltre a restare, in Italia (o preferiamo dire Succursale del Vaticano? Ché altro che breccia di Porta Pia…), drammaticamente priva dei più elementari diritti civili, atti a conferire tutela ad un numero di Cittadini ancor trattati tamquam non essent, viene non solo misconosciuta, ma pure salottizzata da certuni apparati massmediatici. Come se la scelta omosessuale fosse riducibile alle manifestazioni di pride e ad argomento di conversazione très chic;
– la fatica immane che devono fare gli artisti italici di tutti i rami (libri, cinema, teatro) ad arrivare prima, e restare a galla poi, in un mercato asfittico, assolutamente non competitivo, coartato verso una commercializzazione, banalizzante e marcatamente esterofila – segnatamente anglofila – che si autoriproduce come un’ameba
Onore al merito, dunque, di questi ragazzi, che riescono ad inserire doverose denunce sociali in un genere (il noir) di pura evasione.
CONTRIBUTI D’AUTORE
Eliselle
La nevrosi ossessivo- compulsiva – che la psicologa Betty Friedan nel 1963 definì la sindrome della casalinga, dando praticamente il via alla contestazione femminista in America – nel tuo racconto stillicida diventa psicosi assassina. A che punto, se di punto si può parlare, pensi che in Italia sia giunta l’emancipazione femminile?
Il discorso è molto complesso, servirebbero pagine e pagine. In poche parole, credo che l’emancipazione femminile, qui in Italia, sia fatta di molta apparenza e poca concretezza. Mi limito a osservare alcuni fatti che tutti conoscono, ma che molti fingono di non vedere: si da poca fiducia e si investe poco sulle donne e sulle loro capacità, spesso vengono penalizzate, nel mondo del lavoro gli stipendi sono più bassi rispetto a quelli degli uomini a parità di ruolo, le violenze contro le donne sono all’ordine del giorno, non c’è reale sicurezza e continua a sopravvivere una sorta di maschilismo strisciante che si percepisce anche attraverso i media e la pubblicità. Il quadro non è dei più rosei. Personalmente ho incontrato difficoltà legate puramente al mio sesso di appartenenza, ma non voglio fare vittimismi. In definitiva, a mio avviso c’è tanto altro lavoro da fare per spazzare via luoghi comuni e discriminazioni, ma trovo che la risposta sia nell’equilibrio e nella determinazione. Non trovo nell’estremismo una risposta adeguata a questa necessità.
Da una semplice occhiata ai testi antologici contemporanei, risalta immediatamente una netta prevalenza numerica degli scrittori sulle scrittrici. Come te lo spieghi?
Se devo essere sincera non me lo spiego. Forse è puramente una questione di genere. Il tema della morte è un tema controverso e non tutti lo sentono così affine da raccontarlo. Io mi ero già cimentata in generi che toccassero la parte oscura dell’anima e la morte, sono temi che mi affascinano, ma non è un sentire comune a tutti. Ci sono scrittrici talentuose che preferiscono trattare altri argomenti. Scrivere è amare ed appassionarsi a ciò di cui si scrive. Ed è anche una scelta, dopotutto.
Gianluca Colloca
Lo stile sincopato e coinvolgente del tuo racconto gli fa, come si suol dire, “bucare la pagina”. Stai pensando di farne una sceneggiatura per un cortometraggio?
In effetti in origine avevo pensato a questa piccola storia proprio da un punto di vista filmico, come cortometraggio o anche come spunto per qualcosa di più lungo e consistente. Di conseguenza il racconto va avanti davvero per immagini, perché lo avevo in testa proprio a quel modo, e in effetti l’argomento e la storia trattata molto si presterebbero a essere sceneggiati, anche per sviluppare al meglio la questione, diciamo così, del metavisivo.
La tematica che mi pare sottesa al tuo bel lavoro è quella dell’enorme difficoltà di tutti gli artisti italiani di farsi spazio in un mercato asfittico e semifeudale, le cui priorità sono regolate da logiche meramente commerciali, facenti sovente leva solo sul sensazionalismo, imposte dai grandi conglomerati oligopolistici dell’editoria italica. È così?
Credo che a tutti quelli che hanno in qualche modo avuto a che fare con l’ambiente cosiddetto artistico sia capitato di scontrarsi contro dei muri, vedendo andare avanti i figli di papà e premiare prodotti spudoratamente commerciali a discapito di un qualsiasi giudizio di valore. In campo editoriale per esempio si dice che il libro che vende bene è quello che viene comprato dai non-lettori, solo che ovviamente per raggiungere questi bisogna puntare sul nome di richiamo, o sullo scandalo, o su entrambe le cose, e di conseguenza sulla pubblicità che scelte simili riescono a ottenere presso il grande pubblico. Il che può essere anche giusto, visto in una logica di profitto, però troppo spesso in questo modo si finisce per soffocare voci che molto meriterebbero.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Flavia Piccinni (a cura di), giovane scrittrice italiana. Tarantina, vive a Lucca ed, a detta della nota biografica riportata in corpo di testo (dove ha inserito anche un suo racconto, oltre ad aver selezionato quelli altrui), scrive e non si capisce perché. Ha vinto il Campiello Giovani nel 2005.