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Intervista con Toria

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Il disco di esordio di Toria (aka Marco Torriani) è, come suggerisce il titolo, un viaggio intimo in cui mettersi a nudo e vestirsi solo di melodie vocali e strumenti acustici. Un percorso di ricerca dell’emozione e dell’essenzialità. Toria arriva da una lunga esperienza maturata nell’indie rock, nella musica strumentale e nell’elettronica (in diverse formazioni e come strumentista per il cantautore Bugo) e con questo primo lavoro solista esplora per la prima volta il songwriting in inglese, attingendo a sonorità che richiamano un certo Elliot Smith, i Cure più acustici ed i primi Radiohead. Canzoni intime e malinconiche che però non si abbandonano mai al pessimismo e che, anzi, creano un viaggio circolare di esplorazione dei sentimenti, come si può dedurre da testi che declinano con dolcezza i vari aspetti del mondo interiore e della vita di relazione, anche quando questi si manifestano attraverso il dolore e la perdita. Toria realizza un disco “privato” e personale in cui suona tutti gli strumenti, canta e produce; un disco in cui si mette a nudo vestendosi di canzoni delicate ed emotive.

Link: www.facebook.com/toriasongwriter
www.newmodellabel.com

 
 
Intervista
 
Davide
Ciao Marco. In passato hai suonato in svariate formazioni e con Bugo, il “fantautore” per dirla con neologismo che non sono mai riuscito a capire bene… Ad ogni modo, quali sono state le esperienze o le tappe più significative che musicalmente ti hanno portato da una iniziale passione per la musica a questo tuo esordio di cantante autore?
 
Marco
Inizia tutto da molto piccolo, con i dischi classici di mio padre e le cassette di Battisti di mia madre. Da li non è più finita: il metal, il rock, il dark, il jazz, il funky, l’elettronica e una manciata di band con cui fare casino e divertirmi come un matto. Sicuramente l’esperienza con Bugo mi ha fatto crescere molto, soprattutto nella gestione del live (mi occupavo di tutta l’elettronica e dei cori nel tour del disco Contatti) e anche band piuttosto sperimentali come Bangarang e Verbal sono state fondamentali per il mio percorso compositivo. Il cantautorato, credo sia frutto della voglia di comunicare in modo più essenziale dopo anni di distorsioni e ritmi serrati.
 
Davide
“Naked in a dress”, cioè “nudo in un vestito”. Cosa vuol dire per te mettersi a nudo attraverso la canzone e perché doversi mettere a nudo?
 
Marco
Mi sono sentito nudo perchè, senza pianificazione o volontà razionale, mi sono ritrovato a cantare canzoni semplici ed acustiche come non mi capitava da moltissimo tempo. Ho cercato di ascoltarmi e di capire cosa stava venendo fuori in modo così spontaneo. Ho cercato anche di non perdere la dimensione intima che le canzoni avevano, in pratica ho voluto ascoltarmi piuttosto che parlarmi. Il motivo di tutto questo non lo conosco, proprio perchè non nasce da un’idea. Mi sono spogliato della razionalità in modo irrazionale.
 
Davide
Perché hai realizzato questo lavoro tutto da solo?
 
Marco
Proprio perchè non sapevo dove sarei finito ho deciso di prendermi il tempo di sbagliare, di lasciar sedimentare le cose, di scremare e di non farmi ammaliare dalla tentazione di riempire tutti gli spazi. Ho anche avuto bisogno di capire come usare la voce, dato che il mio approccio vocale (soprattutto nei Verbal) era stato sino ad ora molto più urlato che sussurrato. Per poter fare questo non potevo coinvolgere altri, senza scadenze, senza un piano. Quindi, dopo essermi ritrovato nudo, mi sono messo a cucire il vestito delle canzoni. Tutto da solo, imparando un passo alla volta.
 
Davide
L’essenziale è minacciato senza sosta dall’insignificante, scrisse il poeta René Char. Cos’è per te essenziale, cosa inessenziale in musica?
 
Marco
Credo che la cosa essenziale sia l’emozione. Dalla risata caustica di Zappa alla profonda malinconia di Elliot Smith, passando per qualsiasi stato d’animo. L’importante è che la musica smuova un sentimento. Superfluo è quindi per me il virtuosismo in quanto tale: tutto ciò che è fatto per far dire al pubblico “ooooh” come davanti ad un giocoliere. I brani che sono finiti nel mio disco li ho scelti solo constatando quali fossero quelli che mi emozionavano di più mentre li suonavo, nemmeno in base a cosa provavo risentendoli. 
 
Davide
In questo tuo primo lavoro solista esplori per la prima volta il songwriting in inglese. Perché la scelta di cantare in questa lingua franca mondiale?
 
Marco
L’inglese è sicuramente uno scudo. Mi ha difeso dal dovermi sentire anche poeta oltre che cantante. Semplicemente, se avessi dovuto espormi in modo così diretto sui testi ci avrei messo tutta quella razionalità a cui ho cercato di sfuggire.
 
Davide
Quali tematiche affronti nei testi di “Naked in a dress” e quali sono i “lyricist” a te più cari, quelli da cui in qualche modo senti di aver imparato qualcosa nello scrivere i testi di una canzone?
 
Marco
A causa della genesi spontanea delle canzoni i testi sono quasi forzatamente espressionisti. Non c’è un vero e proprio storytelling, ma un flusso di immagini e suggestioni. Rileggendoli mi sono accorto che i temi del viaggio, del cambiamento e della relazione sono ricorrenti. Vedo nei miei testi l’influenza di quei flussi di coscienza che pervadono le canzoni dei Cure, anche se io non riesco ancora ad essere quel fiume in piena che è Robert Smith.
 
Davide
Che significato ha per te scrivere canzoni e quindi proporle all’ascolto?
 
Marco
Quando le canzoni arrivano sento il desiderio di non farle morire ed il primo modo di renderle vive è suonarle in casa e godermele. Poi arriva la voglia di registrarle e scoprire che effetto fa ascoltarle senza cantarle. Alla fine le ascoltano gli altri e, magari, ci trovano qualcosa che per te non c’era. Riuscire a vedere da prospettive diverse qualcosa che è sgorgato, da non si sa dove, tramite te è una cosa che mi affascina molto e credo valga per tutto ciò che si fa, non solo per le canzoni.
 
Davide
Thom Yorke, in una recente intervista, ha parlato dei social network e dei riflessi negativi che il loro utilizzo sta avendo sulla vita sociale e sulla volontà delle persone. Usa a un certo punto la metafora di una danzatrice: noi siamo come la danzatrice che, sotto un incantesimo che non capisce, si butta di qua e di là fino a uccidere sé stessa. Quella danzatrice siamo noi che non abbiamo più fede nella nostra capacità di cambiare le cose: perché stiamo vivendo in una specie di vuoto. La musica, la canzone, l’arte in generale, deve stimolare dei cambiamenti? Quali, tra quelli che auspichi o consegni alle tue canzoni?
 
Marco
Credo che l’arte non abbia di per sé nessun dovere, ma che essendo un veicolo di emozioni possa essere usata efficacemente per promuovere dei messaggi. Non sono, in fondo, nemmeno gli artisti a decidere se le loro opere saranno accettate come portatrici di messaggi: è sempre chi fruisce l’arte a decidere. Io teoricamente faccio canzoni per esprimere sensazioni e non convinzioni; ma è anche vero che, in questo mondo di vuoto citato da Thom Yorke, anche una innocente canzone può diventare educazione sentimentale. 
 
Davide
Cosa seguirà
 
Marco
Il disco sembra bene accolto dalla critica e questo mi fa molto piacere. Ora la scommessa sarà portare queste canzoni live, da solo. Quindi ancora più nudo che nel disco, quindi un passo ulteriore verso l’essenza, in una sorta di ritorno dei brani alla loro forma originaria. Senza il “dress” del lavoro in studio. Sono molto curioso.
 
Davide
grazie e à suivre…
 
Marco
Grazie a te

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