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Breve inventario di un’assenza – Michele Paoletti

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Samuele Editore – Pag. 80 – Euro 12
 
Leggendo non cerchiamo nuove idee, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma, scrive Pavese ne Il mestiere di vivere. Per concludere che ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra – che già viviamo – e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi. Michele Paoletti nel suo Breve inventario di un’assenza indaga il senso di vuoto che pervade la nostra vita dopo la scomparsa di una persona cara, in questo caso il padre, senza indulgere in momenti retorici e malinconici, ma stringendo un patto di comune sentire con il lettore. Tutto si fa più leggero/ adesso che le stagioni/ voltano le carte mentre il gelo/ si attarda tra le lenzuola/ con uno sbadiglio/ di gatto infastidito./ Ho trovato per sbaglio/ la tua giacca verde/ ma non c’erano caramelle/ nelle tasche e mancava/ il secondo bottone sul davanti./ La lascio appesa alla poltrona,/ un’ala di falena/ impolverata e persa/ nella fuga. L’assenza del padre si nota dalle piccole cose, dai particolati evanescenti, da un capo di abbigliamento consueto, ritrovato per caso e subito abbandonato a un destino di oggetto inutile, ormai privo di spirito vitale. Il poeta fa l’inventario di quel che resta dopo la scomparsa, un inventario  poetico, malinconico e dolente, ma non triste e ripiegato su se stesso, quanto teso a mostrare il cambiamento della vita provocato dall’assenza. La realtà torna a essere se stessa, con il quotidiano scandito da piccoli gesti, inevitabilmente segnato dal dolore. Breve inventario di un’assenza è un corpus poetico unitario, una silloge compiuta e profondamente sentita, introdotta da brevi versi di Paolo Ruffilli e da una frase di Amelia Rosselli sul senso del dolore, della perdita, della mancanza, rappresentata dagli oggetti che si trasformano in cose ormai vuote, prive di senso. Non è certo un ragioniere – se non dei sentimenti – il poeta che enumera le fatture da saldare con la vita, i conti che non tornano, i nodi sottili di dolore da stringere di poco sotto la cravatta. Il libro si articola in tre momenti lirici: La terra intatta, Inventario e Muri, tre istanti dilatati nel tempo per metabolizzare dolore e perdita, per farlo diventare una cosa sola con gli oggetti e i momenti della vita. Torneranno le giornate lunghe/ le corse dei bambini,/ la conta dei gradini da saltare./ Si faranno altri nidi sugli abeti/ e l’estate non chiederà il permesso,/ ma pioverà sole intorno/ per far fiorire qualche cosa dentro,/ un grumo, un fremito, un appiglio. Tornano i giorni lieti e magici dell’infanzia, armamentario lirico del poeta, perché tutto quel che si scrive – ormai lo sappiamo! – proviene dalle emozioni ancestrali, dai nostri archetipi di bambini e di adolescenti. Che ridere quando con la mano/ inventavi contro il muro/ un cane una farfalla/ o un’aquila lontana./ Ora la tua ombra è solo un solco/ che si allunga,/ un pilastro caduto senza suono. Non resta che fare l’inventario del poco che ci resta, ascoltare gli oggetti respirare da lontano/ l’aria che muovono i ricordi/ quando si staccano da noi. Poca cosa è il significato delle evanescenti tracce del recente passato: Una macchia sul cuscino/ due bottoni, la manica/ scucita di una giacca./ Il breve inventario di un’assenza. Tutto intorno al poeta è mancanza, ricordo di quel che è stato e che non può tornare. Si allunga la fila di croci/ contro il calendario./ Per dimenticare/ basterebbe non saper contare.

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