(DE)LUCIDANTE NOIR[1]
E degli utili di 262 evasori totali si era parlato durante una conferenza stampa della guardia di finanza. Nel corso dell’indagine erano stati scoperti 1.200 lavoratori in nero e 776 irregolari. Molti di loro erano stranieri privi di regolare permesso di soggiorno. […] Da anni culture criminali provenienti dall’est e dal sud del mondo si erano insediate nel territorio, la criminalità organizzata italiana era solo un ricordo dei cronisti di nera. (pag. 8 del capitoletto iniziale, posto a mo’ di prologo ed intitolato “Un mercoledì come tanti”)
Onore al merito di questi due “addetti ai lavori”, che hanno messo insieme le proprie competenze e specificità per imbastire un romanzo di genere (un giallo/noir), che si fa portatore di una vera e propria denuncia sociale: la scoperta degli altarini dell’incensata nuova locomotiva dell’effimero ultimo “boometto” economico italico: il Nordest. O Padania City, se volete dirla con gli autori e col lessico leghista.
A Padania City, appunto, morti i partiti e le parrocchie, non comandano parlamentari, prefetti, sindaci, presidenti di banche e associazioni, direttori, giudici e colonnelli. Comandano le famiglie. È l’arengo composto da pochi gruppi privati con alla testa i capi che si relazionano tra di loro a costituire l’ossatura del potere (dall’incipit del libro, che poi è una citazione di un intervento di tal Giuliano Ramazzina su “Fuori Mercato”, Spazio Libri 2002)
Un delitto passionale di una giovane avvocatessa, rampolla di una famiglia ex benestante andata a catafascio, prossima alle nozze con un suo collega, la cui famiglia invece continuava a fare il bello ed il cattivo tempo, dà la stura alla scoperta di tutta un’intelaiatura socioeconomica che definire tribale è un eufemismo.
L’arengo summenzionato dei maggiorenti, infatti, governa su una serie stereotipata di vassalli operosi, egoisti, industriosi e sprezzanti ogni etica e legge. Un nugolo di danarosi bulli in giacca, cravatta e macchinone. Il cui punto di vista è ben ricostruito come segue:
Piccoli imprenditori divenuti arroganti con le palate di soldi fatti negli anni ’80 e ’90 e che ora se la facevano sotto all’idea di essere spazzati via dai cinesi[2]. Sempre sti cazzo di cinesi. Prima erano comunisti, ora capitalisti e intanto le fabbriche licenziavano, chiudevano, si trasferivano. Artigiani, commercianti, ristoratori con le tasche sempre meno piene, Tutta gente che non aveva riflettuto sulla sua fortuna, che si era sentita invincibile e che adesso era impaurita. E incazzata. Ancor più incazzata perché non potevano nemmeno prendersela col solito governo ladro, visto che al governo c’erano quelli come loro. (pag. 63).
Bulli pretenziosi, xenofobi, razzisti, la cui vacua progenie si dà agli atti di criminalità più sordidi e brutali (soprattutto rapine in appartamenti di povere anziane che vivono sole).
Tanto c’è sempre lo sporco negro da promuovere a capro espiatorio.
Ecco appunto la parte finale del racconto di un linciaggio – pardon, spedizione punitiva – sobillato ad arte proprio dai membri della gang dei rapinatori e violentatori in Cherokee[3], le cui vicende s’innestano al corpo narrativo principale del romanzo, ai danni di un malcapitato poveretto, ambulante senegalese:
Svenne. Poi qualcuno gli gettò dell’acqua addosso. Pensò che volevano tenerlo sveglio per fargli sentire le botte. Ma non era acqua. Il giubbotto puzzava di benzina. […] Cacciò un urlo che sembrava il verso dell’aragosta messa a bollire in pentola. La cosa impressionò qualcuno, perché inspiegabilmente non gli diedero fuoco ma si limitarono a bruciargli il borsone. O forse fu la sirena della polizia che li mise in fuga. (pag. 68)
E non credo sia tutta fiction, questa.
Come certamente non lo è l’ennesimo affare sporco, o meglio la causa causante tutto il dramma raccontato; l’antefatto del delitto e la chiave di lettura della vicenda narrata.
E chiarificatore di come certa gentaglia già da tempo mette in pratica la sua idea di federalismo “cooperativo”.
Ecco cosa scopre infatti, tra l’altro, il tormentato protagonista della vicenda, l’unico io narrante in prima persona singolare, assieme alla migliore amica della sua assassinata sposa promessa, avendo inseguito una colonna di camion da una locale discarica, dove, assieme a sostanze lecite, si depositavano residui di lavorazione industriale nocivi e pericolosissimi, che intridevano terreno e falde acquifere. Ma, vista la mala parata, i bidoni veleniferi cambiano destinazione:
[…] poco dopo l’alba, i camion abbandonarono la provinciale e si inoltrarono nella campagna di Nola[4]. In mezzo ai campi coltivati si levava il fumo di numerosi falò. «La terra dei fuochi. Il colore del fumo rivela quali schifezze stanno bruciando» iniziò a spiegare Carla indicando le diverse direzioni. «Nero: residui plastici. Rosso: sostanze fosforose. Invece quello laggiù è azzurrino per la concentrazione di cromo». «Com’è possibile, così alla luce del sole?» domandai indignato. Carla ridacchiò. «Qui comanda la camorra. Adesso hai capito con che razza di gente fanno gli affari Trevisan e Zuglio». (pag. 149).
Questi frammenti qui selezionati bastano ed avanzano a promuovere quest’opera, anche se… il colpevole dell’efferato delitto s’intuisce fin dalle prime pagine.
Come giallisti, quindi, gli autori fanno una figura un po’ grama; ma il quadro d’insieme che sanno dipingere, nonché la caratterizzazione precisa, quasi pittorica, dei vari protagonisti della vicenda narrata, val bene una lettura.
EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.
Massimo Carlotto (Padova, 1956), romanziere italiano, nonché autore teatrale e sceneggiatore. Collabora altresì con quotidiani, riviste e musicisti
Marco Videtta (Napoli, 1956), saggista e critico letterario e cinematografico italiano. Lavora altresì come story editor e produttore per la fiction televisiva e il cinema. “Nordest” segna il suo esordio come romanziere.
Massimo Carlotto; Marco Videtta “Nordest”, Edizione Mondolibri s.p.a., Milano, 2006, su licenza Edizioni e/o, Roma.
Prima uscita: Edizioni e/o, Roma, 2005.
[1] Ringrazio l’amico fraterno Gianfranco Franchi per avermi indirettamente ispirato il titolo della presente recensione. Suo, infatti, è un edito su www.lankelot.com intitolato (De)Lucido.
[2] Cosa sia questa Cina spauracchio di questa gente, bene lo racconta Federico Rampini nel suo saggio-réportage “Il secolo cinese”. Di cui trovate la mia recensione sull’e-zine www.kultvirtualpress.com
[3] Un’auto- jeep di gran marca e lusso
[4] In Campania.