Le rivoluzioni riescono quando creano istituzioni.
Hannah Arendt
Come richiesto spesso durante i dibattiti pubblici riguardanti la riforma costituzionale, continuiamo a restare fortemente aderenti “al merito” delle norme novellate, tenendoci ben lontani dagli “slogan” preconfezionati coi quali si pretenderebbe di descrivere con eccessiva semplicità i vantaggi, economici e funzionali, che potrebbero derivare immediatamente dal nuovo assetto: ritengo di aver dimostrato “per tabulas”, nelle prime due parti di questo scritto, che la realtà è assai differente.
Completiamo, dunque, l’analisi degli articoli interessati dalle modifiche esaminando le norme su:
3. Il Presidente della Repubblica, per l’elezione del quale sono previste nuove maggioranze numeriche nel Parlamento di nuova composizione.
L’art.
83 del nuovo testo costituzionale, pur riconfermando al 1° comma, che l’elezione del Presidente avviene ad opera del Parlamento in “seduta comune”, dunque dei 630 deputati e 100 senatori riuniti insieme, non prevede più la partecipazione dei 58 delegati regionali (3 per ogni Regione, 1 solo per la Valle d’Aosta
[1]), alla luce della nuova composizione del Senato, con 95 componenti su 100 rappresentanti degli enti locali. Il 2° comma ora recita: “
L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi dell’assemblea. Dal quarto scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dell’assemblea. Dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti.”[2]
L’aspetto più criticato dai detrattori della riforma non riguarda tanto il fatto che, per i primi tre scrutini sia richiesto il
quorum di voti di 487 membri (2/3 dei 730 componenti delle due Assemblee), o che dal quarto scrutinio, in mancanza di candidato eletto, siano sufficienti 438 voti (3/5 di 730), ma che dal settimo scrutinio siano sufficienti i 3/5 dei votanti: il legislatore costituente, con l’uso disinvolto (disattento?) di un termine, sembra permettere il caso assurdo per cui, dalla settima votazione in poi, anche poche decine (o unità) di parlamentari, potenziali uniche partecipanti alle votazioni, possa eleggere il Capo dello Stato
[3].
L’art.85 attribuisce al
Presidente del Senato il compito di convocare e presiedere il Parlamento in seduta comune
[4], ma solo quando è
il Presidente della Camera che esercita le funzioni di Presidente della Repubblica (art.86 Cost.)
[5].
Al nuovo art.87, sulle attribuzioni del Presidente della Repubblica, si rileva ancora una “ripetizione” laddove si afferma (8° comma, seconda parte) che il Presidente: “Ratifica i trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea, previa l’autorizzazione di entrambe le Camere.”. Infatti, già il precedente art.80 (nella sezione relativa alla formazione delle leggi), risulta così integrato dalla riforma nella sua ultima parte: “Le leggi che autorizzano la ratifica dei trattati relativi all’appartenenza dell’Italia all’Unione europea sono approvate da entrambe le Camere.”
La riforma novella l’art.88 che reciterà, al 1° comma: “Il Presidente della Repubblica può, sentito il suo Presidente, sciogliere la Camera dei deputati.” in quanto il Senato, come si è visto nella prima parte, diviene organo a rinnovo parziale e periodico, non sottoposto a scioglimento.
4. Il Governo. L’innovazione più rilevante riguarda l’art.
94 :
“Il Governo deve avere la fiducia della Camera dei deputati.”. Rileviamo ancora una ripetizione del principio già affermato nel riformato art.
55,che attribuisce alla sola Camera dei deputati la titolarità del rapporto di fiducia col Governo
[6]. Vengono di conseguenza adeguate tutte le previsioni dell’articolo 94 Cost. che attualmente fanno riferimento ad entrambe le Camere.
Nella stessa logica varia anche l’art.
96 che affida alla sola Camera dei deputati l’autorizzazione a sottoporre il Presidente del Consiglio e i Ministri alla giurisdizione ordinaria (c.d. “Tribunale dei ministri”) per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni
[7]. Attualmente l’articolo 5 della legge costituzionale n. 1/1989, con cui è stata data attuazione all’articolo 96, stabilisce che l’autorizzazione è deliberata dalla Camera di appartenenza. Spetta, invece, al Senato della Repubblica se si procede contro più persone che appartengono a Camere diverse o se si deve procedere esclusivamente nei confronti di soggetti che non sono parlamentari.
5. La Pubblica Amministrazione. L’unica modifica che si segnala nel testo dell’art.
97, riguarda il 2° comma:
“I pubblici uffici sono organizzati secondodisposizioni di legge, in modoche siano assicurati il buon andamento,l’imparzialità e la trasparenza dell’amministrazione.”[8].
Il concetto di
trasparenza è considerato dalla giurisprudenza costituzionale manifestazione “naturale” dei principi di imparzialità e buon andamento (già contenuti nell’articolo 97 Cost.), ed è annoverato dalla normativa primaria tra i principi generali dell’attività amministrativa, insieme ad altri principi, quali l’economicità, l’efficacia e la pubblicità
[9]. La trasparenza è dunque intesa quale strumento fondamentale teso a garantire lo svolgimento corretto dell’azione amministrativa, della quale i soggetti interessati (cittadini e imprese), sono messi in condizione di verificare direttamente l’efficienza e l’imparzialità
[10]. L’inserimento del principio nel testo costituzionale appare indubbiamente corretto, sia pur come riconoscimento posteriore di affermazioni consolidate da leggi ordinarie e giurisprudenza della Corte Costituzionale.
6. Il C.N.E.L. Altro aspetto della riforma ritenuto unanimemente condivisibile riguarda l’abrogazione integrale dell’art.
99 Cost. che prevede, quale organo di rilevanza costituzionale, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL)
[11].
Il C.N.E.L. è un “parlamentino” di esponenti sindacali, imprenditoriali e sociali il cui compito è fornire consulenza a Governo e Parlamento su questioni economiche e sociali e proporre disegni di legge.
Fino al 2011 era composto da 121 membri, poi dimezzati a 64 e oggi ridotti a 24.Dal 2015 i consiglieri non hanno più indennità (era di 2.154 euro al mese) e rimborsi spese
[12].
Negli anni di massima operatività l’organo è arrivato a costare 22 milioni l’anno. Oggi costa 8,7 milioni, sostanzialmente per la cinquantina di dipendenti e la sede
[13]. Nei suoi 60 anni di vita il CNEL ha prodotto 96 pareri, 350 osservazioni e proposte, 270 rapporti e studi, 90 relazioni, 130 convegni e 14 disegni di legge,
nessuno dei quali è stato recepito dal Parlamento (che, del resto, non ha mai recepito neppure le leggi di iniziativa popolare e di iniziativa dei consigli regionali)
[14]. Esso fu voluto dal legislatore costituente (e attuato dal Parlamento), come risposta al modello economico-sociale all’epoca esistente, che oggi mostra tutti i segni del tempo, in quanto 70 anni fa il mercato del lavoro era per il 50% nel settore primario e secondario (industria e agricoltura). Dagli ultimi decenni, come sappiamo, industria e agricoltura contano solo per il 20%, mentre l’80% del mercato del lavoro è costituito dal settore terziario, che, di fatto, “non trova rappresentanza” nell’organo
[15].
7. Il nuovo Titolo V. L’ultimo aspetto rilevante della riforma costituzionale attiene al Titolo V della Parte Seconda della Costituzione, rubricato “LE REGIONI, LE CITTA’ METROPOLITANE E I COMUNI”. L’art.
114 recita al 1° comma:
“La Repubblica è costituita dai Comuni,dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato.” Conseguentemente, altre disposizioni riformate eliminano il riferimento alla “Provincia” in tutto il testo costituzionale. Infatti, nonostante le riforme intervenute negli ultimi anni con leggi ordinarie (per tutte la c.d. Legge Del Rio
[16]), che hanno in sostanza “svuotato” di competenze e funzione l’Ente provinciale, le Province vengono meno quali enti costituzionalmente necessari, dotati di funzioni amministrative proprie, solo con questa modifica costituzionale.
Quello che, personalmente, lascia perplessi è che il legislatore costituzionale del 2016 non abbia voluto spingere la razionalizzazione dei livelli di governo mantenendo solo Regioni e Comuni, al contempo programmando una fusione generalizzata degli Enti comunali più piccoli e spopolati, al fine di ridurre gli oltre 8000 Comuni italiani, ancora eccessivamente decentrati, alla luce di una efficiente e sostenibile amministrazione dei servizi pubblici. E’ stata avvertita ancora l’esigenza di creare un’entità intermedia, la “
Città metropolitana” con i compiti di: – cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; – promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città metropolitana; – cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee
[17].
La riforma prosegue con la modifica dell’art.
116 Cost., che ai primi due commi rimane invariato, riconfermando le particolari forme di autonomia delle Regioni a statuto speciale
[18] (Friuli Venezia Giulia, Sardegna, Sicilia, Trentino-Alto Adige/Südtirol
[19] e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste), mentre al
terzo comma stabilisce:
“Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui all’articolo 117, secondo comma, lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, m), limitatamente alle disposizioni generali e comuni per le politiche sociali, n)-istruzione, ordinamento scolastico e universitario n.d.r.-
, o), limitatamente alle politiche attive del lavoro e all’istruzione e formazione professionale, q), limitatamente al commercio con l’estero, s)-beni culturali, paesaggi e ambiente n.d.r.-
e u), limitatamente al governo del territorio, possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, anche su richiesta delle stesse, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’articolo 119, purché la Regione sia in condizione di equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio. La legge è approvata da entrambe le Camere, sulla base di intesa tra lo Stato e la Regione interessata[20]”.
Questo articolo, anch’esso di non facile lettura, conferma l’inserimento nella Costituzione del c.d. “
regionalismo differenziato”, cioè la possibilità di concedere ad una o più Regioni ordinarie il poter disciplinare autonomamente (con atti normativi o regolamentari) determinate materie di “esclusiva” competenza dello Stato, nel caso ne faccia richiesta la Regione stessa o nel caso lo ritenga utile l’Autorità statale; l’attribuzione di questa forma rafforzate di autonomia deve essere stabilita con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali: la legge deve essere approvata da entrambe le Camere a maggioranza assoluta dei componenti
[21].
Il procedimento previsto dall’art. 116, terzo comma,
non ha peraltro mai trovato completa attuazione, fin dal suo ingresso in Cost. ad opera della Legge cost. 18 ottobre 2001, n. 3
[22].
La vera novità in questo ambito rimane, in ogni caso, la riscrittura dell’art.117 Cost. in tema di riparto di competenza legislativa e regolamentare fra Stato e Regioni.
Si cancella l’attuale potestà legislativa “concorrente” (con l’abrogazione integrale del terzo comma art.117), in base alla quale lo Stato è competente a formulare i principi fondamentali della materia e la Regione è competente a varare la normativa di dettaglio. Detto diversamente: per molte materie, la Costituzione dice oggi che lo Stato e le Regioni fanno le leggi insieme. La riforma individua una soluzione (indubbiamente più logica) diversa: lo Stato è competente in via esclusiva su alcune materie (espressamente elencate); le Regioni sono competenti per altre materie (espressamente elencate). E tutto quello che non è espressamente riservato alla competenza esclusiva dello Stato, spetta, almeno in via di principio, alle Regioni.
Il 2° comma dell’art.117: “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:
a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea;
b) immigrazione;
c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose;
d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi;
e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari e assicurativi; tutela e promozione della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; perequazione delle risorse finanziarie;
f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo;
g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli Enti pubblici nazionali; norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l’uniformità sul territorio nazionale;
h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale;
i) cittadinanza, stato civile e anagrafi;
l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa;
m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; disposizioni generali e comuni per la tutela della salute, per le politiche sociali e per la sicurezza alimentare;
n) disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico; istruzione universitaria e programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica;
o) previdenza sociale, ivi compresa la previdenza complementare e integrativa; tutela e sicurezza del lavoro; politiche attive del lavoro; disposizioni generali e comuni sull’istruzione e formazione professionale;
p) ordinamento, legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni e Città metropolitane; disposizioni di principio sulle forme associative dei comuni;
q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; commercio con l’estero;
r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati, dei processi e delle relative infrastrutture e piattaforme informatiche dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno;
s) tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici; ambiente ed ecosistema; ordinamento sportivo; disposizioni generali e comuni sulle attività culturali e sul turismo;
t) ordinamento delle professioni e della comunicazione;
u) disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; sistema nazionale e coordinamento della protezione civile;
v) produzione, trasporto e distribuzione nazionali dell’energia;
z) infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione d’interesse nazionale e relative norme di sicurezza; porti e aeroporti civili, di interesse nazionale e internazionale.
Il nuovo 3°comma art.117 Cost. contiene, di conseguenza, l’ulteriore elenco (meno schematico), di materie riservate alla competenza legislativa delle Regioni: “Spetta alle Regioni la potestà legislativa
· in materia di rappresentanza delle minoranze linguistiche,
· di pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno,
· di dotazione infrastrutturale,
· di programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali,
· di promozione dello sviluppo economico locale e organizzazione in ambito regionale dei servizi alle imprese e della formazione professionale;
· salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche, in materia di servizi scolastici, di promozione del diritto allo studio, anche universitario;
· in materia di disciplina, per quanto di interesse regionale, delle attività culturali, della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici,
· di valorizzazione e organizzazione regionale del turismo,
· di regolazione, sulla base di apposite intese concluse in ambito regionale, delle relazioni finanziarie tra gli enti territoriali della Regione per il rispetto degli obiettivi programmatici regionali e locali di finanza pubblica,
· nonché in ogni materia non espressamente riservata alla competenza esclusiva dello Stato.
Appare evidente che, nel complesso, l’intervento di riforma determina un forte ampliamento delle materie di competenza esclusiva dello Stato centrale e una parallela forte riduzione delle competenze regionali: quasi un “contropartita” per aver creato un Senato di Consiglieri regionali e Sindaci, organo che può, in teoria, esprimersi su ogni progetto di legge.
Di fronte a questi due ulteriori “elenchi” i sostenitori della riforma sostengono che la riscrittura di questa parte della Costituzione porterà finalmente una ventata di chiarezza su ciò che è di competenza dello Stato e su ciò che è di competenza delle Regioni: in modo da ridurre drasticamente il contenzioso di fronte alla Corte Costituzionale.
I critici, invece, ritengono fisiologico che ogni riscrittura del riparto di competenza Stato-Regioni sollevi problemi di definizione tra ciò che debba spettare al primo e ciò che debba spettare alle seconde: per quattordici anni, successivi alla riforma costituzionale del 2001, il problema principale è stato quello di una
chiara individuazione del contenuto delle materie, al fine di determinare una netta demarcazione tra competenza statale e competenza regionale. Se cambierà il quadro costituzionale, attraverso l’introduzione di nuove materie e nuovi oggetti (oppure attraverso una diversa denominazione delle vecchie materie e dei vecchi oggetti), occorrerà ricominciare praticamente da capo. Per altro aspetto, insistono i critici, non è vero che la riforma delinea in modo netto il confine tra la competenza dello Stato e la competenza delle Regioni. In molti casi questo confine è assolutamente confuso: si pensi, solo per fare un esempio, alla
tutela della salute, che oggi è attribuita alla competenza
concorrente tra Stato e Regioni e che in caso di entrata in vigore della riforma, sarà affidata alla competenza
esclusiva dello Stato. Ebbene, ai sensi della
lett. m), 2° comma art.117, sulla tutela della salute lo Stato è competente a legiferare solo in ordine alle «
disposizioni generali e comuni». Con la conseguenza che ciò che non sia riconducibile a «disposizioni» che siano «generali e comuni» spetterà alle Regioni. Nella sostanza si tornerà alla competenza concorrente
[23].
Un problema che non riguarderà solo la materia della tutela della salute, bensì altre materie o oggetti: le politiche sociali, la sicurezza alimentare, l’istruzione, la formazione professionale, le forme associative dei comuni (ma qui la riforma si esprime con la locuzione «disposizioni di principio»), le attività culturali, il turismo, il governo del territorio. Su ciascuna di queste materie, e sulla chiarezza che non c’è, non potrà che pronunciarsi di nuovo la Corte Costituzionale.
Inoltre, anche con il nuovo testo la competenza dello Stato e quella delle Regioni rischiano addirittura di sovrapporsi: si pensi al governo del territorio (di competenza dello Stato, lett. u) art.117, 2° comma) e alla pianificazione del territorio regionale (di competenza delle Regioni); alle infrastrutture strategiche (di competenza dello Stato, lett. z) art.117, 2° comma) e alla dotazione infrastrutturale (di competenza delle Regioni); alla tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici (di competenza dello Stato, lett. s) art.117, 2° comma) e alla promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici (di competenza delle Regioni).
La riforma introduce, al nuovo
4° comma art.
117, una “clausola di supremazia” (ma si tratta di una qualificazione impropria), con la quale si stabilisce che:
“Su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale”. In sostanza, il Parlamento potrà esercitare la competenza legislativa in luogo delle Regioni, ossia “avocare” la disciplina di una materia che la Costituzione attribuisce alla competenza regionale
[24]. La disposizione finisce per rimettere nelle mani del Governo non solo la decisione sul “se” sia opportuno che il Parlamento intervenga, ma anche la decisione sul “se” sussistano i presupposti richiesti dalla clausola (cioè: “se” occorra tutelare l’unità giuridica o economica della Repubblica oppure l’interesse nazionale), senza che possa opporsi alcunché: si tratta, infatti, di “formule” politiche, non giuridiche, che rendono assai difficoltoso un sindacato della Corte Costituzionale
[25].
La riforma, a parere di chi scrive, non è moderna e neppure efficiente: essa non offre soluzioni adeguate ai problemi del regionalismo italiano. Meglio sarebbe stato riorganizzare radicalmente il sistema in Macroregioni e ripensare il tema dell’asimmetria, e cioè della diversificazione delle funzioni sulla base di comuni esigenze: ci sono Regioni che hanno problemi che altre non hanno, problemi del tutto peculiari. E la riorganizzazione del territorio in Macroregioni avrebbe potuto tenere conto di questo: si pensi, ad esempio, alle Regioni che si affacciano sull’Adriatico o ad alcune Regioni del Sud, che, più di altre, hanno problemi (comuni) di carattere ambientale. L’attuale sistema delle autonomie speciali, che la riforma mantiene sostanzialmente inalterato, poggia su ragioni storiche in gran parte superate. Sarebbe stato, invece, opportuno convertire questa “specialità”: da identità storica in “specialità” di tipo funzionale, collegata a problemi regionali comuni e concreti, affinché si potesse giungere ad una diversificazione delle competenze dei territori. In questo modo si sarebbe potuto dar vita ad un regionalismo “differenziato”, più autentico e originale; e si sarebbe evitato di far compiere allo Stato un salto indietro di molti anni. Infatti, la riforma fa piazza pulita di ogni idea federalista e colpisce al cuore la tradizione regionalista italiana, imprimendo al sistema delle relazioni tra lo Stato e gli enti territoriali una svolta centralista.
L’impressione finale, dopo questa faticosa, prolungata lettura analitica in tre parti della riforma (sono state comunque tralasciate alcune norme di “minore” importanza), è che i Partiti che si propongono di riformare le istituzioni abbiano scritto la nuova Costituzione come se fosse una
legge ordinaria come tante altre, aggiungendo nel testo molte norme di dettaglio che dovrebbero essere riservate a regolamenti interni delle assemblee parlamentari, o a leggi attuative di rango inferiore. L’espansione della Carta è dovuta anche al fatto che, forse per paura di poca chiarezza, ripete, in molti casi, due volte le stesse cose. Il giudizio preventivo della Corte Costituzionale sulle leggi elettorali compare sia all’articolo 73 sui poteri di promulgazione del Presidente della Repubblica (nel testo attuale spiegato con tre frasi) sia all’articolo 134 dedicato alla Consulta, e molti altri sono gli episodi di ripetizione, non proprio “eleganti” per una Carta fondamentale, incontrati e segnalati
[26].
Se il fine dell’operazione di riforma è quello, tutto “politico”, di cambiare per dimostrare che il Parlamento italiano di oggi è in grado comunque di riformare la Costituzione, anche se con risultati discutibili dovuti alla necessità di mediare posizioni inconciliabili o, in ogni caso, lontane (ad es. il mantenimento del Senato anche a costo di renderne estremamente difficoltoso il funzionamento), pur di avere una risicata maggioranza in grado di approvare le modifiche, allora potrebbe star bene anche una riforma di questo tenore, fatta quasi “a tentativi”, e per stessa ammissione dei suoi autori “perfettibile”, dunque prima tappa di un lungo processo di “correzioni” da apportare nei prossimi anni. Quasi che il ragionamento fosse “siamo sull’orlo del baratro e l’importante è dimostrare (anche a livello internazionale…), che sappiamo fare un passo avanti“… allora occorrerebbe approvare la riforma, ma, ci si chiede, che senso abbia questo “salto nel vuoto” (politico-istituzionale sia ben chiaro) di massa?
Altrimenti la questione sarebbe più complessa e impegnativa: una classe politica intellettualmente onesta dovrebbe almeno sforzarsi di fornire al popolo, cui appartiene la sovranità, una legge elettorale conforme a Costituzione, quindi favorire l’elezione di un Parlamento realmente rappresentativo della maggioranza popolare, che possa stabilire gli obiettivi (Presidenzialismo, Federalismo, ecc.), degli strumenti costituzionali di cui si vuole dotare il Paese, contando sul fatto che l’art.
138 Cost. è sempre lì, vigente e invariato
[27]. Qualcuno ritiene questo processo impossibile nel prossimo futuro, tanto da rendere
obbligatorio accettare questa “poco comprensibile” riforma.
Anche in questo ambito tuttavia, non è una questione di tempo ma di volontà… volontà politica nel senso più nobile e alto del termine.
Noi non possiamo essere imparziali.
Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti.
L’imparzialità è un sogno, l’integrità morale è un dovere.
Gaetano Salvemini