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Intervista con Devil Drone

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I Devil Drone nascono in Toscana nell’estate 2009 da un’idea di Fabrizio Guerrini (Autoblastindog) e Giordano Felici Fioravanti. Dopo vari cambi di formazione, all’inizio del 2010 si stabilizzano con Leonardo Farmeschi (batteria) e Luca Mazzolai (voce) e iniziano a far uscire un po’ della loro musica. Tutto il gruppo condivide una passione per il metal. Anche se di stili molto diversi i 4 sono accomunati da suoni thrash. Ad oggi hanno all’attivo molte uscite live in tutta Italia, un mini-tour nel nord Italia, vari contest e un album: EREBO. Il disco è stato registrato nel mese di giugno 2014, presso Hombrelobo Studio di Roma, etichetta discografica Cave Canem D.I.Y., stampato presso Stampa 2000 e illustrato da Carlo Settembrini. Contiene 11 tracce inedite e interamente scritte e arrangiate dai Devil Drone. I Devil Drone sono un gruppo che punta a suonare esclusivamente la propria musica, per questo non hanno mai suonato cover e (dichiarano) MAI le suoneranno.
 
 
Intervista
 
Il “fuco del diavolo”…. Perché Devil Drone?
In realtà la parola “Drone” ha più significati, tra questi anche fuco, il maschio dell’ape. Il significato che tuttavia abbiamo sposato della parola Drone è ronzio. Il significato è puramente da ricercarsi nei nostri primordi, nei musicisti che eravamo, nella nostra fase embrionale e nei distorti di una chitarra e di una batteria maleducate. Ne scaturiva un qualcosa di indefinito, un ronzio appunto, nel quale arrancavamo e al quale cercavamo disperatamente di dare un ordine logico. Abbiamo negli anni conosciuto un’evoluzione che ci ha cambiati un sacco nel suono, ma è bello ricordarsi da dove veniamo e cosa fummo; è bello ricordarsi che siamo riusciti a dare un ordine a quel ronzio.
 
Erebo, la personificazione dell’oscurità, degli inferi. Perché questo titolo?
Il titolo dell’album è venuto da solo. Deriva dalle tematiche che sono trattate nel nostro CD, tematiche oscure, del male fisico e mentale, di tutto ciò che distrugge l’animo umano e lo fa piombare in quel baratro dantesco che è l’inferno. Il nostro inferno non è tuttavia inteso come un qualcosa di necessariamente trascendente o ultraterreno, ma come un qualcosa di terreno, pratico, palpabile… come orribile esperienza sensoriale, come può essere il dolore. Con Erebo abbiamo dato una forma a questo male, lo abbiamo voluto personificare, lo abbiamo reso umano, con la sua forza e la sua fragilità. È più facile combattere contro qualcosa di sconosciuto e informe, o un qualcosa di cui ne conosciamo le fattezze e i suoi punti deboli?
 
Quali sono le tematiche più importanti nei testi di Erebo?
Non ce ne sono di più importanti o meno importanti. Ciascuna tematica racconta di un sentimento o un’emozione. Quando sono questi sentimenti sono forti come vogliamo rappresentarlo noi, non si può più definire uno, più importante di un altro.
Le tematiche poi, si sposano male con la pacatezza di una musica che non ci appartiene. Parliamo infatti di vendetta, furia, dolore totale (fisico e mentale), cupidigia, rivoluzione, distruzione. Tutti temi che offrono ampie argomentazioni ma, nonostante quell’ampiezza, non lasciano margine di scelta del genere musicale che le tratterà.
 
Perché sono presenti due citazioni cinematografiche da “Arancia Meccanica” e una da “Continuavano a chiamarlo Trinità”?
Le citazioni cinematografiche vanno ad alleggerire il carico pesante delle tematiche e della nostra musica. Offrono un aiuto all’ascoltatore che dovrà affrontare il percorso di ascolto dell’intero album.
La citazione di Arancia Meccanica è posta alla fine del brano iniziale e invita l’ascoltatore a prendere la nostra musica con la chiave di lettura giusta. Non vogliamo che la nostra musica sia vista come un qualcosa di opprimente, ma come una fonte di aiuto nell’intraprendere il “viaggio acustico”, lasciando spazio alle emozioni e alle ispirazioni che essa suscita. La frase “La musica mi venne in aiuto” è appunto la chiave del CD.
La citazione di Continuavano a chiamarlo Trinità è posta all’inizio dell’ultimo brano e vede il povero frate che saluta i due fratelli con il suo “Che il Signore vi accompagni” e la pronta risposta di Bambino “No, andiamo da soli”. Posta alla fine del percorso di ascolto, questa frase fa sì che l’ascoltatore prenda consapevolezza che siamo spesso soli ad affrontare le nostre sofferenze e i nostri mali e che abbiamo in noi la forza per farlo, senza parole di conforto, senza tante divinità che vi intervengano. “Quando si muore, si muore soli”, diceva De Andrè. Abbiamo ricordato a tutti che in Erebo non si parla di un Dio, ma di pura forma e palpabile sostanza.
 
Perché avete scelto una musica dura, pesante e veloce per esprimere la vostra creatività? Cosa significa per voi “estremizzare”?
Crediamo che sia più il contrario: è la musica metal che ha scelto noi, come altri generi scelgono altre persone. È stata per noi quella musica che ascolti una volta e ti fa accendere quella voglia di dire “ecco, anche io voglio fare così”.
L’estremizzazione nella musica non crediamo che esista. Nell’immaginario collettivo si vede spesso il metallaro come lo stereotipo della persona che ascolta o produce musica estrema, senza mai pensare alla controparte. Può essere per lo stesso principio che un metallaro, il cui mondo e la cui normalità sono il genere Metal, veda come estrema la musica jazz.
Ogni genere musicale è un mondo aperto e in continua evoluzione, che si lascia visitare e plasmare da tutti coloro che vogliano farlo. Ognuno vi trova quello che vuole, ci si tuffa, ci pianta nuove idee e ispirazioni con la speranza che germoglino. Estremizzare è dare un estremo a un qualcosa, rinchiuderlo in un perimetro. La musica non ha mai voluto avere estremi e chi ha voluto dargliene non è mai riuscito nell’intento. È come voler colorare una scorr… beh, ci siamo capiti.
 
Quali sono le vostre principali influenze?
Ogni componente della band ha il suo vissuto musicale e le principali influenze crediamo siano da ricercarsi nelle band Thrash Metal come Megadeth, Pantera e Slayer e nelle band del genere Death. Non ci prefiggiamo però obiettivi come l’imitazione di tanti di quei mostri sacri del genere, poiché una ricapitolazione non crea evoluzione, ma stasi. È anche per questo che non facciamo mai cover e non ne abbiamo mai suonate. Gli applausi che prendi per suonare un qualcosa che non è tuo, non hanno mai lo stesso suono di quelli che prendi, quando suoni un qualcosa di tuo. Noi quindi vogliamo evolverci, non vogliamo che il ronzio di cui parlavamo abbia sempre la stessa intensità.
 
Il Thrash Metal è spesso associato al termine “technical”, tecnico. Cos’è la tecnica per voi?
Per dirla in prosa, per noi la tecnica non è altro che l’acquisizione della padronanza di uno strumento o di un’arte. Questa si acquisisce col tempo, lo studio, la dedizione, il fisico, la mente, il sudore e un pizzico di talento che non guasta mai.
Per dirla in poesia, la tecnica è la trama e l’ordito di una vela che andrà incontro alla tempesta che è la musica. Migliore è la vela, migliore sarà la resistenza delle sue fibre alle ventate impetuose e imprevedibili della tempesta.
 
Cosa seguirà?
Il nostro futuro non possiamo prevederlo. Possiamo però parlare del nostro presente. Stiamo infatti lavorando alla produzione di un video e di un nuovo album. Le tempistiche di questi sono ancora da definirsi. Sarà tutto una sorpresa, anche per noi della band, garantito. Non possiamo far altro che chiedere ai nostri ascoltatori di vivere con noi quelle sorprese, nella speranza di non deluderli mai!!!
 
Grazie e à suivre!

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