Traduzione di Federica Di Lella, Maria Laura Vanorio
Adelphi Edizioni
Narrativa romanzo
Collana Biblioteca Adelphi
Pagg. 200
ISBN 9788845926570
Prezzo € 18,00
Le tante verità
*«Mio padre era un uomo disonesto?»
«Tuo padre era un uomo. E credimi, un uomo è molto più raro di un uomo onesto.»*
«Tuo padre era un uomo. E credimi, un uomo è molto più raro di un uomo onesto.»*
Eugène Malou, imprenditore edile in rovina, si uccide con un colpo di pistola sulla scalinata che conduce alla villa del conte Adrien d’Estier, proprio davanti alla porta da cui era appena uscito. Con questo suicidio, indubbiamente d’effetto, si inizia poco a poco a conoscere chi fosse il morto, ma non attraverso degli sprazzi del passato rievocati da lui stesso, bensì con racconti di chi lo conosceva, e tutto questo perché il figlio Alain, l’unico che più gli somiglia, vuole conoscere chi fosse effettivamente suo padre. I fatti della sua vita, rievocati da diverse persone, sono sempre gli stessi, ma ciò che cambia è il giudizio, perché, per esempio, la depravata figlia Corine lo disprezza, mentre due suoi dipendenti, Foucret e Bourgues, lo stimano molto.
Si tratta della molteplicità dei giudizi di fronte alla stessa domanda: chi era Eugène Malou? Nulla di nuovo in campo letterario, tanto che è evidente che Simenon si è messo nella scia di Pirandello. Eppure questo romanzo, pur a fronte di una discutibile morale, presenta non pochi pregi autonomi. Il fatto che Eugène Malou fosse figlio di una donna conosciuta come pazza e che si offriva a tutti gli uomini e di un padre quasi analfabeta che si nutriva di corvi e di bisce, la sua lotta per emergere dal fango in cui rischiava di soffocare, sfruttando i difetti peculiari di una società borghese (avidità, corruzione, completa amoralità) di per sé costituiscono un atto d’accusa senza se e senza ma di un ceto che nel tempo ha preso sempre più piede. Malou odiava questa gente, ma se ne serviva per i suoi piani ambiziosi, per un’affermazione sociale ed economica che andava a fasi alterne, con momenti in cui il denaro abbondava ed altri in cui proprio mancava, ma lui faceva di tutto per procurarselo, a qualsiasi costo per soddisfare le esigenze di una famiglia, in cui la moglie e la figlia erano delle scialacquatrici, mentre Alain viveva senza porsi domande e soprattutto senza porle al padre. Gli alti e bassi erano frequenti, tanto è vero che al momento del suicidio tutti i suoi beni, personali e aziendali, erano pignorati. Che uomo è quello che nei periodi buoni offre ai camerieri mance favolose e negli altri pessimi non è nemmeno in grado di pagare il suo personale di servizio? È Malou forse un sognatore? Anche, ma soprattutto è un avventuriero, un uomo destinato a una perenne lotta con la società in cui vive, che sfrutta e da cui viene sfruttato, mai domo, mai talmente in rovina da non avere la forza di cercare di rimettersi in piedi, pronto, se necessario, a servirsi anche dei molti nemici, ma ce n’è uno contro cui nulla si può fare, contro cui è inutile combattere e al quale non c’è possibilità di sfuggire.
Emerge così la figura di un intrallazzatore che ai giorni nostri sarebbe in carrozza, ferocemente critico nei confronti di quel mondo in cui legami, sotterfugi e ferocia non consentono amicizie e infatti Eugène Malou è un uomo profondamente solo, con una famiglia che non pensa ad altro che a sfruttarlo, ma non è di certo un modello da imitare e invece il giovane Alain, suggestionato dalla visione positiva che ha ritratto sulla base dei racconti di Foucret e Borgues alla fine, fra lo scegliere se accettare un lascito di valore del padre o mettersi in cammino, partendo da zero, per farsi avanti nella vita, finirà per optare per la seconda alternativa, perché in fondo di tutta la famiglia lui è l’unico Malou al cento per cento, lui e solo lui intende sgomitare per avere un posto al sole. Di più non ci è dato di sapere, perché Simenon si ferma a questa scelta, ma è possibile ritenere che in futuro ci sarà il nome dei Malou osannato e vituperato, grazie al degno successore del defunto Eugène.
L’aspetto che meno mi convince è proprio questa immagine, tutto sommato positiva, che Simenon offre dell’imprenditore suicida, in contrapposizione alle feroci critiche a una società borghese fatta di pescicani che si divorano fra di loro, forte con i deboli e debole con i forti.
Vada per le accuse a questo ceto e che mi sento di condividere, ma secondo me Eugène Malou non è soggetto da prendere a esempio, è in fondo un manigoldo che ha solo fatto in tutta la vita quanto riteneva necessario per emergere.
La descrizione dei protagonisti, l’ambientazione, come al solito sono perfetti e lo stile della scrittura, scorrevole e senza tanti fronzoli, è quel che ci si aspetta da Simenon, in un romanzo che si legge con piacere, che invita a riflettere e che nell’incalzare degli eventi conquista e affascina.
Georges Simenon, nato a Liegi nel 1903, morto a Losanna nel 1989, ha lasciato centonovantatre romanzi pubblicati sotto il suo nome e un numero imprecisato di romanzi e racconti pubblicati sotto pseudonimi, oltre a volumi di «dettature» e memorie. Il commissario Maigret è protagonista di 75 romanzi e 28 racconti, tutti pubblicati fra il 1931 e il 1972. Celebre in tutto il mondo, innanzitutto per le storie di Maigret, Simenon è anche, paradossalmente, un caso di «scrittore per scrittori». Da Henry Miller aJeanPauhlan, da Faulkner a Cocteau, molti e disparati sono infatti gli autori che hanno riconosciuto in lui un maestro. Tra questi, André Gide: «Considero Simenon un grande romanziere, forse il più grande e il più autentico che la letteratura francese abbia oggi»; Walter Benjamin: «… leggo ogni nuovo romanzo di Simenon»; Louis-Ferdinand Céline: «Ci sono scrittori che ammiro moltissimo: il Simenon dei Pitard, per esempio, bisognerebbe parlarne tutti i giorni».