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Intervista con Davide Solfrini

7 min read
 
“Riviera Noir”. Se fosse un romanzo, potremmo descrivere così il nuovo lavoro di Davide Solfrini, che ci porta in una riviera adriatica lontana dai riflettori, dalle luci di un “Luna Park”, giusto per citare il titolo, in un insieme di storie sospese nel tempo, ognuna con un suo mondo sonoro di riferimento.
Un piccolo mondo stretto, caotico e talvolta grottesco, dove le storie degli individui si accalcano nel poco spazio e al contempo si perdono e appassiscono.
Per questo nuovo lavoro il cantautore prosegue nel suo percorso musicale e, sulla sua passione di sempre, su sonorità di matrice “Americana” si innestano nuovi spunti, tutti al servizio della canzone e del testo. Ne è un esempio l’electro/wave di “Luna Park”, che trasporta direttamente in una pista da dancefloor, oppure ancora “Hardcore”, con i suoi ricordi post- adolescenziali o ancora le sperimentazioni psichedeliche rythm’n’noise di “Mi Piace Il Blues”.
È solo in apparenza pop il vestito sonoro di “Bruno”, la storia di un tossicodipendente e della sua vita, dalle ambizioni di successo riposte in lui dai genitori negli anni della sua infanzia fino alla sua morte, che avviene silenziosa nella casa popolare dove, ormai cinquantenne, viveva con la madre. E, nell’arco di pochi minuti e poche note, Davide Solfrini ci fa viaggiare direttamente dagli anni ’80 ad oggi, dalle speranze alla distruzione di tutto. “Cenere” è invece la voce di un racconto di infanzia e di adolescenza vissute nella solitudine e nell’incomprensione che, di tanto in tanto, torna ad adombrare il presente.
Mentre in “Ballata”, troviamo un amaro resoconto di una storia d’amore adolescenziale grottesca e inconcludente, con un certo tocco di ironia.
Ci sono le storie di solitudine urbana come “Lavanderia” e “Mi piace il blues”, quest’ultima è il monologo di un disadattato molesto che importuna gli avventori di pub e bar con la sua visione della vita e, ovviamente, del blues.
“Elvis” poi è uno dei brani più visionari dell’album; qui in uno scenario post atomico alcuni sopravvissuti ripensano a com’era bello il mondo ai tempi del re del rock’n’roll, mentre oggi ormai non resta che incitare i giovani rimasti con un rabbioso “Pagate meglio il DJ!” nella vana speranza che almeno lui, se scelto e trattato bene, li risollevi dal degrado o, almeno, risollevi le sorti di una serata. “Mai più ogni cosa” è un’intensa ballata di amore e perdita, una pagina di diario che annota il momento in cui ci si rende conto che l’altra persona è ormai persa e, anche se fisicamente solo nell’altra stanza, con il cuore ed i pensieri a migliaia di anni luce da noi. D’altronde per chi si chiede come si possa stare al passo con i movimenti di questa piccola città di luci, caos e rumore la risposta/non risposta è solo una: “Ci vuole tempo”.   

Tracklist: 1. Cenere / 2. Luna Park / 3. Bruno / 4. Mi Piace Il Blues / 5. Ballata / 6. Lavanderia / 7. Mai Più Ogni Cosa / 8. Elvis / 9. Hardcore / 10. Ci Vuole Tempo

Link: www.davidesolfrini.it   www.newmodellabel.com

 
Una precedente intervista su
 
 
Intervista
 
Davide R.
Ciao Davide. Ben tornato, dopo il tuo precedente “Muda”, con questo nuovo lavoro che hai intitolato “Luna Park”. Perché le attrazioni di una luna park possono essere le più diverse come diversi sono i temi da te trattati in questo disco o perché?
 
Davide S.
Ciao Davide, Grazie, piacere di ritrovarti! Si certamente, Luna Park rende bene l’idea dei mondi piccoli e caotici che vengono descritti nell’album, molte volte sono universi di una sola persona… Inoltre è anche il titolo della traccia scelta come singolo dell’album, che a sua volta mi è stata ispirata dall’omonimo vecchio testo inedito del poeta contemporaneo Emiliano Michelini.
 
Davide R.
Rispetto al precedente tuo lavoro mi pare invece di cogliere una varietà maggiore di influenze  musicali, un po’ meno orientato verso la musica americana e un po’ più verso quella europea, o anche italiana in un certo modo di essere cantautorale (anche un po’ anni ’70) in alcune tracce.
 
Davide S.
Forse si, ma è una cosa non necessariamente voluta, diciamo che mi sono preso un po’ più la libertà di giocare con gli arrangiamenti. In realtà mi sento ancora lontano anni luce dall’immagine del cantautore impegnato e compassato anni ’70 ma il piacere di tentare a modo mio di affrontare gli stessi loro argomenti un po’ c’è…
 
Davide R.
Una domanda che sempre più spesso mi capita di fare è questa: con quali obiettivi e aspettative ti proponi al mondo della musica in questi anni di crisi del disco e, soprattutto, della professione musicale e dove la musica (soprattutto quella registrata) pare abbia imboccato la via senza ritorno del libero e gratis? 
 
Davide S.
Ormai si può dire che è una pura vocazione! Obiettivi e aspettative ci sono sempre, non credo a chi dice di non averne, ma i grandi sogni di gloria sono tramontati. Diciamo che vorrei che la mia musica riuscisse a trasmettere il più possibile e a più persone possibili quello che la musica ha trasmesso a me, quando ne ascoltavo tanta e ancora credevo a tante cose.
 
Davide R.
Come nasce una tua canzone?
 
Davide S.
Può nascere in tanti modi, a volte da una frase si sviluppa un concetto o viceversa, a volte è l’ispirazione di un minuto e a volte è il duro lavoro di giorni, ma l’ispirazione viene sempre dalle immagini che vedo intorno, vorrei dare sempre più immagini e sempre meno filosofia e “morale”.
 
Davide R.
Chi ha suonato e collaborato in “Luna Park”?
 
Davide S.
Poche persone, alla batteria si sono seduti il mio amico Francesco Cola e Gabriele Palazzi Rossi (Fabio Concato, Paul Gilbert…). Ci sono poi alcune parti di chitarra di Omar Bologna ed in un brano c’è l’armonica di Paolo Beccari. Poi Davide Solfrini ha praticamente suonato, campionato e costruito tutto il resto (magia dell’home recording…).
 
Davide R.
La copertina di “Luna Park” mi ha fatto pensare a Schopenhauer e al mondo come volontà e come rappresentazione. Se il soggetto conoscente guarda all’esterno, non vede che il mondo come rappresentazione, e si ferma all’aspetto fenomenico; ma c’è un modo per raggiungere l’ambito noumenico dell’essere, ed è il guardare in se stessi. Guardando in sé, si scopre un’altra dimensione dell’uomo e del mondo: la volontà. Il mondo come rappresentazione ha come principio l’Io penso, come volontà l’Io voglio… In copertina giri le spalle a un mappamondo, ovvero al mondo, come invito a guardare appunto altrove, in noi stessi e a un volere più autonomo e autoconsapevole? O cosa?
 
Davide S.
In realtà trovo squisitamente metafisico il nonsense! Quindi la mia volontà era quella di non creare nessun riferimento tra immagini e concetto, però sei il primo (finalmente) che non mi dice cose tipo “…ah, quindi il mondo è un immenso luna park, giusto?” che di fatto è la considerazione più automatica e a ripensarci ora avrei fatto anche io questa associazione per prima… Di fatto comunque è vero che sono arrivato ad un punto della mia vita e del  mio sentire che forse non ho più semplicemente voglia di guardare e studiare il mondo così come “illustrato”, perciò con una certa strafottenza quasi da bullo con gli occhiali da sole guardo altrove, ma io per primo non so ne cosa voglio e tantomeno dove cercarlo…
 
Davide R.
Nella musica il compositore Hans Werner Henze disse di cercare il mistero. Tu cosa cerchi attraverso la musica?
 
Davide S.
La comunicazione ottimale e lo stimolo a percepire di più, sia per me stesso che per chi ascolta (ambizioso, eh?…)
 
Davide R.
Curiosità mia in conclusione. Qualche grado di parentela con il forlivese Alberto Solfrini?
 
Davide S.
Ho diversi parenti che non conosco in quello zona, ma con lui penso di non aver nessun rapporto di parentela
 
Davide R.
Cosa seguirà?
 
Davide S.
Non so, dalla sopravvivenza in su va tutto bene!!!
…Seriamente parlando è sempre più difficile fare progetti, ovviamente spero di continuare a fare musica e potermici dedicare sempre di più, ma per scaramanzia non dico niente!!!
 
Davide R.
Grazie e à suivre…
 
Davide S.
Grazie a te, a presto!

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