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Ristrutturazione del debito sovrano

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G77 contro i fondi avvoltoi
 
«Vulture funds did not deserve the name “vulture”.
Vultures contributed positively to ecosystems;
vulture funds were parasitic»
(Rodolfo Reyes Rodríguez, delegato di Cuba all’Assemblea Generale dell’Onu)
 
L’iniziativa dei G77
La notizia non è certo di quelle che conquista le prime pagine dei notiziari, però lo scorso 9 settembre l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite si è chiusa con l’approvazione di una importante risoluzione che impegna l’organo che rappresenta la comunità internazionale a predisporre, entro la fine del 2014, un quadro giuridico multilaterale per regolamentare le operazioni di ristrutturazione del debito sovrano degli Stati.
Da sottolineare che l’iniziativa, ufficialmente presentata dalla Bolivia, è il risultato di un delicato e lungo lavoro di elaborazione condotto da più paesi emergenti, tra cui l’Argentina ha svolto un ruolo molto significativo per la delicata situazione che la vede protagonista proprio in tema di ristrutturazione di quote di debito sovrano detenuto da fondi stranieri di investimento, riuniti nel gruppo dei G77 e sostenuti dalla Cina.
Se molti conoscono il G8 o G7 come il gruppo dei paesi più sviluppati (con o senza Russia a seconda delle vicissitudini sullo scacchiere internazionale), pochi sanno che sin dal 1964 si costituì il Group of 77, Gruppo dei 77, una organizzazione intergovernativa che, nell’ambito delle Nazioni Unite, mise insieme 77 paesi emergenti, prevalentemente di nuova indipendenza, alla ricerca di legittimazione nel consesso globale e appoggio reciproco nell’agone della guerra fredda.
Oggi, il G77 conta ben 133 membri e, oltre agli originali compiti tesi a promuovere i comuni interessi economici e presentarsi come un fronte unico in seno all’Assemblea Generale per scontare una maggiore capacità negoziale, conduce proficue attività di approfondimento e sviluppo del sistema di diritto internazionale per ambiti molto sensibili (ad esempio, l’utilizzo delle risorse naturali, la cooperazione internazionale, le strategie globali per lo sviluppo, la liberalizzazione degli scambi commerciali).
In questo contesto, e con un impulso decisivo del governo argentino, impegnato negli ultimi mesi da un contenzioso giudiziale surreale incardinato davanti ad un giudice statunitense per la ridefinizione di una parte di debito acquistato da un fondo di investimento privato, l’Assemblea Generale si è trovata a votare ed approvare questa risoluzione, passata con ben 124 voti a favore, nonostante gli 11 contrari e i 41 astenuti.
Balza agli occhi che, se 124 sono stati i voti favorevoli, significa che almeno 9 membri del G77 abbiano fatto mancare il proprio appoggio al momento della votazione, ma ugualmente significativo risulta l’esame delle motivazioni espresse da alcuni degli astenuti.
In particolare, il rappresentante del governo boliviano, parlando per il G77, ha sottolineato che l’obiettivo di questo provvedimento era quello di accrescere l’efficacia, la stabilità e la prevedibilità del sistema finanziario internazionale e di assicurare una crescita economica sostenuta, condivisa ed equa e uno sviluppo durevole, in considerazione della situazione, delle priorità e della capacità di ogni paese di onorare il proprio debito.
 
Il debito sovrano e i fondi “avvoltoi”
Ma entriamo nel merito: cosa è il debito sovrano e cosa sono i cosiddetti fondi “avvoltoi”?
Il debito sovrano, anche chiamato debito pubblico, è costituito dal complesso di capitale e interessi dovuti di tutti i debiti di uno stato, a valori attualizzati, contratti attraverso l’emissione di titoli (per l’Italia, ad esempio, BOT, CCT e CTZ) o l’assunzione di quote sui mercati finanziari internazionali (da altri Stati, dalle istituzioni internazionali o da  banche private).  
Spesso, per svariati motivi, può accadere che un paese si trovi nella impossibilità di onorare i debiti con i propri creditori e, per questo motivo, sia  portato a rinegoziare le condizioni di pagamento dello stesso.
Storicamente, questi casi hanno prodotto conseguenze variegate: fallimenti di banchieri Genovesi e Fiorentini nel XV e XVI secolo per gli eccessivi indebitamenti di  Francia e Spagna, blocco dei porti venezuelani da parte di tedeschi, inglesi e italiani all’inizio del secolo scorso per il rifiuto del governo di onorare i debiti, intervento di Fondo Monetario Internazionale e Banca Mondiale, con i loro programmi strutturali, come nell’Argentina del 2001.
A volte, però, tra gli investitori internazionali si insinuano investitori professionali che giocano sulla variabilità nei mercati del valore dei titoli di debito quando i paesi emittenti non sono in grado di ripagarli e, per questo, cercano di rinegoziarne le condizioni: maggiori tempi di rientro, minore o nullo tasso di interesse, ridotto valore nominale del titolo, modifica della valuta di riferimento, stabilizzazione del cambio. Si tratta dei fondi speculativi di investimento, noti come fondi “avvoltoio” (vulture funds in inglese, fonds vautour in francese, fondos buitre in spagnolo) per la modalità con la quale operano sui mercati acquistando ingenti quote di debito sovrano “in sofferenza”, e quindi sottovalutato, di paesi fortemente esposti, per poi attivare ogni strumento di tutela (solitamente presso giudici locali o istanze arbitrali USA) per ottenere sentenze favorevoli alla restituzione dell’intero valore nominale dei titoli e degli interessi maturati.
In generale, però, si tratta di fondi comuni di investimento, soprattutto americani, specializzati in investimenti ad alto rischio.
Nel caso attuale dell’Argentina, vi sono tre fondi speculativi che hanno ottenuto una sentenza favorevole da parte di un giudice federale di New York per il pagamento di oltre 800 milioni di dollari a fronte di un debito cartolare di 50 milioni che non si contesta ma per il quale si richiede un riscadenziamento, proprio come è avvenuto per gli ulteriori 9,7 miliardi di dollari che Buenos Aires sta pagando interamente.
In questo atipico braccio di ferro tra un governo e una società privata, entra a gamba tesa un soggetto “terzo” quale l’agenzia di rating Standard & Poor’s che, trascorsi in maniera infruttuosa i 30 concessi per i pagamenti, ha provveduto a declassare l’Argentina, dichiarandone de facto il “default” limitatamente a questa tranche di debito.
Meritevole di un approfondimento critico sarebbe la reale “terzietà” delle agenzie di rating e il valore dei loro giudizi, oltre che all’influenza da esse esercitata sui mercati internazionali e sugli equilibri geostrategici di Stati sovrani e intere regioni (si pensi ai recenti casi di Ecuador, Islanda e Grecia nei loro differenti sviluppi).
Interessante, a questo proposito, la reazione del rappresentante di Washington prima del voto sulla proposta di risoluzione che ha manifestato tutta la sua “inquietudine” per «l’incertezza che un simile provvedimento avrebbe potuto ingenerare sui mercati finanziari»; di contro, Argentina, Nicaragua, Marocco, Sud Africa, Brasile, Ecuador, Giamaica, El Salvador, Siria, Colombia, Sri Lanka, Egitto, Uruguay, Cile, Venezuela e Algeria hanno ribattuto unanimi che questo testo avrebbe «garantito una maggiore coerenza al sistema finanziario internazionale permettendo di colmare una lacuna giuridica che da troppo tempo consente ai fondi speculativi di aggredire e minacciare i nostri paesi».
Il rappresentante cinese, da parte sua, ha dichiarato che i mercati finanziari internazionali devono essere regolamentati e riformati per permettere alle economie emergenti di avere il peso che meritano, così prendendo palesemente posizione a favore del processo di normazione apertosi.
 
Gli obiettivi della regolamentazione internazionale
In simile contesto, è comprensibile come anche il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki Moon, abbia invitato la comunità internazionale ad affrontare seriamente il delicato tema dell’azione dei fondi “buitres” ritenuto cruciale per l’equilibrato rapporto tra nazioni civili.
E di grande rilevanza risulta quindi il contenuto, seppur semplice e contenuto in sole quattro pagine, della risoluzione uscita dall’Assemblea plenaria del Palazzo di Vetro: «Realizzazione di un quadro giuridico multilaterale applicabile alle operazioni di ristrutturazione del debito sovrano»[1].
Richiamandosi alla Dichiarazione del Millennio relativa agli obiettivi di sviluppo che la comunità internazionale si era impegnata a perseguire e raggiungere entro il 2015, agli impegni relativi ai finanziamenti da destinare allo sviluppo sostenibile e alle correzioni da apportare al debito estero in quanto «elemento importante per mobilitare risorse in vista di investimenti pubblici e privati», alla elaborazione delle strategie post-2015 e, in particolare, al documento finale della Conferenza di Rio del 2012 «Il futuro che desideriamo», ricordando le analisi circa l’attuale crisi economica e finanziaria mondiale e la sua incidenza sullo sviluppo e sui programmi di finanziamento dello sviluppo, considerando le conclusioni relative alla urgenza di provvedere ad una riforma del sistema monetario e finanziario internazionale, l’Assemblea Generale ha riconosciuto che le crisi del debito sovrano sono «un problema ricorrente che comporta gravi conseguenze politiche, economiche e sociali» mentre le operazioni di ristrutturazione costituiscono «una pratica correntemente osservata nel sistema finanziario internazionale» e, inoltre, che diversi paesi «faticano ancora a trovare una soluzione sostenibile ai loro problemi di debito estero, fattore che potrebbe impedire il loro sviluppo durevole».
Allo stesso tempo, si riconosce che «la ricerca di una soluzione ai problemi del debito sovrano dei paesi in via di sviluppo occupa un posto importante nella cooperazione internazionale» e si sottolinea l’importanza di misure quali «l’alleggerimento del debito», «il suo annullamento» e «la sua ristrutturazione» come strumenti di prevenzione e gestione della crisi richiamando l’importanza di porre in essere politiche responsabili per il miglioramento della trasparenza e la sostenibilità dei sistemi finanziari.
Dopo tutto ciò, la risoluzione propone un innovativo impulso al vigente diritto internazionale considerando che esista un vero e proprio diritto originario di ogni stato a ristrutturare il debito, diritto che non può essere impedito o limitato da nessun provvedimento proveniente da un altro stato; allo stesso modo, gli sforzi tesi alla ristrutturazione del debito sovrano non possono subire vincoli o turbamenti da parte di creditori che operano sui mercati aperti, citando in particolare i fondi speculativi (gli “avvoltoi”) che si dedicano ad «acquisti sui mercati secondari dei titoli di debiti in sofferenza sostenuti da forti ribassi di prezzo, in vista di ottenerne il rimborso integrale in seguito ad azioni legali», così fotografando la reale prassi in atto e cercando di limitarla.
In seguito, il documento ricorda che i creditori privati che detengono titoli di debito sovrano sono sempre più numerosi e sempre più anonimi, rendendo ancora più difficile il coordinamento delle azioni concordate, e ugualmente numerosi sono gli strumenti di debito e gli ordinamenti giuridici scelti per regolarli, il che ne complica la ristrutturazione, ed espressamente si fa riferimento ai «“fondi avvoltoio” e le loro azioni a carattere fortemente speculativo, che rappresentano un rischio per qualsiasi futura operazione di ristrutturazione del debito, tanto nei paesi in via di sviluppo che nei paesi sviluppati», nonché alle iniziative di BM e FMI per impedire a detti speculatori di compromettere i programmi di ristrutturazione dei debiti attraverso strumentali azioni in giudizio.
Si sottolinea poi con preoccupazione che il sistema finanziario internazionale non dispone di un quadro giuridico che permetta di procedere in maniera ordinata e prevedibile alla ristrutturazione del debito sovrano, fattore che aggrava i costi di eventuali violazioni degli obblighi assunti ed è quindi urgente e necessario provvedere quanto prima ad elaborarne uno che sia rispettoso dei diritti dei creditori nello spirito di una corretta cooperazione con i debitori per pervenire ad una «ristrutturazione consensuale» in cui «la valutazione della reale capacità di pagamento deve essere un elemento fondamentale delle operazioni di ristrutturazione del debito, al fine di non compromettere la crescita economica e la piena realizzazione degli obiettivi» di sviluppo previsti dai diversi programmi.
A questo punto, la risoluzione sottolinea che «lo sviluppo progressivo e la codificazione del diritto internazionale sono necessari affinché la ristrutturazione del debito sovrano divenga un mezzo più efficace per raggiungere gli scopi e attuare i principi della Carta delle Nazioni Unite e riconoscere una maggior importanza al suo ruolo nella gestione delle relazioni tra Stati».
In chiusura, si richiama l’urgenza di una soluzione che sia «efficace, globale e durevole per i problemi di indebitamento dei paesi in via di sviluppo», al fine di favorirne la crescita economica e uno sviluppo di cui tutti possono godere; si richiedono sforzi comuni per prevenire le crisi dovute all’indebitamento migliorando i meccanismi finanziari internazionali di prevenzione e regolamento, in coooperazione con il settore privato; si invitano, poi, tutti gli Stati, gli organismi delle Nazioni Unite, le istituzioni di Bretton Woods e il settore privato a collaborare al fine di realizzare le condizioni per uno sviluppo sostenibile e durevole e trovare una soluzione definitiva al problema del debito dei paesi in via di sviluppo.
Per tutto ciò, l’Assemblea Generale si impegna ad adottare, entro la fine del 2014, un quadro giuridico multilaterale applicabile alle operazioni di ristrutturazione del debito sovrano.
La via è stata aperta, difficilmente ma in maniera sorprendentemente netta: restiamo vigili sugli sviluppi che durante le prossime sedute newyorkesi che avrà questo importantissimo documento.
 
 

[1] Documento A/68/L.57/Rev.1.

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