Ciao Gabriele! L’idea è di iniziare con te una serie di interventi per parlare del “dietro le quinte” di Pantagruel (gioco per iOS e Android, da poco sugli store), tenendo conto che la realizzazione di questa app vede coinvolte parecchie persone, tutte con un curriculum molto interessante. Puoi iniziare raccontando brevemente chi sei, e spiegando come è nato il tuo coinvolgimento in questo progetto?
Ciao Marco! Hai ragione, la storia che sta dietro a Pantagruel vale la pena di essere raccontata. Io mi occupo di videogiochi e cultura digitale ormai da un po’ di anni – prima come studente e adesso come professionista e ricercatore. Ora lavoro negli Stati Uniti, alla Indiana University e faccio ricerca nel campo del HCI design ma prima ho studiato e lavorato all’Università di Bologna (il giorno in cui ho fatto il colloquio per l’ammissione al dottorato in semiotica, c’era anche Umberto Eco in commissione a cui ho spiegato come avrei voluto studiare le narrazioni nei videogiochi).
Un paio d’anni fa ho iniziato a contattare molte biblioteche comunali emiliane, chiedendo se fossero interessate a farmi organizzare un laboratorio sul videogioco. Dopo alcuni tentativi, ho finalmente incontrato il super-entusiasta Walter Martinelli che ha risposto “certo che sì, però oltre che fare un laboratorio realizziamo anche un videogioco noi”. E così è iniziato Pantagruel.
Quale è stato il tuo ruolo nello sviluppo e come si è concretizzato praticamente?
Il mio ruolo è stato quello di proporre ed elaborare il primo concept. In questi casi, il concept è l’idea di base del gioco, le azioni possibili per il giocatore e le dinamiche che immaginiamo possano accadere durante una partita. Ovviamente non ho fatto tutto io, anzi! Io ho preparato alcuni dossier con una serie di proposte, e ho condotto la discussione con tutto il team. Ma l’idea definitiva, come poi è stata realizzata, è chiaramente frutto del lavoro di tutti.
C’è stato qualche aspetto, nel percorso non brevissimo, di preproduzione, produzione o (ora) di postproduzione che vale la pena che sia evidenziato?
La progettazione di Pantagruel si è affiancata al laboratorio sui videogiochi che abbiamo tenuto in collaborazione con le Biblioteche di Modena e l’Università di Modena. La “gestazione” di Pantagruel è stata molto più lunga del corso stesso, ma sarebbe stato fantastico se fossimo riusciti a far vedere agli studenti la realizzazione del gioco passo dopo passo.
Che difficoltà (o peculiarità) hai trovato nell’interazione con le altre figure coinvolte? Hai altre esperienze simili (di lavoro in team, o specifiche in questo settore) con cui vale la pena fare un raffronto?
Siamo partiti con un’idea molto precisa (“vogliamo un gioco su Modena”) e abbiamo lavorato, durante la fase di ideazione, un po’ all’incontrario. Idealmente, l’ottimo secondo me sarebbe partire dalle meccaniche (“voglio un gioco in cui il giocatore salta e spara”) e poi inserire pian piano i contenuti. Qui, l’idea di Modena inizialmente ci aveva un po’ bloccato. Poi abbiamo iniziato a immaginare un banchetto presso i Duchi d’Este, e da lì siamo arrivati al concept attuale.
Cos’è (dal punto di vista della tua figura) Pantagruel? Vincoli a cui ti sei dovuto attenere durante lo studio, limiti e differenze tra modello e realizzazione?
Allora, in generale io come mestiere e ricerca mi occupo del come e del perché un gioco riesce a comunicare alcune idee precise (pensa per esempio ai giochi pubblicitari). Inizialmente mi ero molto concentrato sulle caratteristiche specifiche di Modena: come fare a progettare un gioco che racconti Modena e non, per esempio, Reggio Emilia? Ma questo si scontrava con delle limitazioni tecniche: per esempio, venivano fuori un sacco di idee che avrebbero richiesto ambienti tridimensionali difficilissimi e costosissimi. Per cui questi vincoli si sono progressivamente rilassati e siamo arrivati a un prodotto più astratto per certi versi – ma sicuramente più divertente di quello che sarebbe successo se avessimo seguito le prime idee.
Ora che il gioco è operativo (intendo, disponibile perché altri ci giochino) hai considerazioni postmortem su come si raffronta il modello teorico e l’uso pratico? Cosa vedresti per uno sviluppo futuro del gioco?
Il gameplay mi soddisfa. E’ semplice ma funziona.
Dal punto di vista tecnico, mi piacerebbe inserire un livello di tutorial con le scritte in sovrimpressione che spiegano come giocare (ora un giocatore va un po’ per prova ed errore).
Per quanto riguarda le meccaniche di gioco, adesso i camerieri si muovono in modo uniforme, senza accelerare o rallentare. Invece stavo pensando oggi che sarebbe bello se si muovessero con inerzia e il giocatore dovesse dare accelerazione col dito. Per cui, per far correre il cameriere lo si “trascinerebbe velocemente” e lui correrebbe per un po’. Mentre per farlo camminare più piano, bisognerebbe “trascinarlo lentamente” e lui passeggierebbe con più calma.
Dal punto di vista dei contenuti, vorrei essere più specifico coi cibi, i vini e gli accostamenti. Mi è rimasto il cruccio di rappresentare Modena. O di avere tanti livelli, con banchetti diversi e città diverse.
Cosa è fondamentale per il game design? Quali aspetti vanno studiati e selezionati quando si parte per la realizzazione di un gioco in generale, e quali (in più o in meno) vanno tenuti in mente quando si parla di un gioco per dispositivi mobile?
Una delle mie linee di ricerca è “il gioco lontano dal computer”, nel senso che mi piace riflettere su come giocare senza una tastiera, un mouse e un joypad. Non c’è nulla che non va in queste periferiche, però mi ispirano di più i controlli touch, o con l’accelerometro. Per questo motivo, se lavoriamo in specifico a un gioco mobile, io chiedo ai miei studenti (e a me stesso) di tenere in mente che il gioco deve aver senso 1) in 30 secondi o meno, visto che si gioca in tempi e spazi ridottissimi 2) con controlli approssimativi, visto che magari fa freddo, siamo all’aperto e abbiamo le mani gelate 3) su schermi piccoli.
Pantagruel ha avuto qualche passaggio pubblico (prima dell’uscita) a Play e durante il Linux Day. Ci vuoi raccontare qualcosa di questi momenti?
Oddio, al Linux Day ho parlato in videoconferenza alle 11.45 di mattina in Italia, che sono le 5.45 qui negli States. E in quel momento non avevo ancora la connessione internet a casa, per cui son dovuto andare in ufficio. Maresa Bertolo – che è una prof e designer bravissima del Politecnico di Milano che ha “ereditato” il corso quest’anno – era lì a Modena e poi mi ha detto che ho parlato di cose intelligenti. Ma io sinceramente non ricordo…
Che prospettive vedi (per uno studente) riguardo al discorso dei giochi / videogiochi / videogiochi per dispositivi mobile? Per tua esperienza che percorso suggeriresti a chi vuole provare a entrare in questo settore? Di cosa una persona deve essere consapevole se si vuole avvicinare (lavorativamente) a questo mondo?
Che in Italia forse adesso ce la si può fare ma è una gran fatica. E che qualche esperienza all’estero è meglio farla (ma questo vale per tutto, non solo per i game designer).
Intanto che si studia, è importantissimo fare esperienza con la community degli sviluppatori indipendenti. Si trova un progetto non commerciale a cui collaborare e si fa esperienza: si impara, si fanno contatti, si sperimentano idee nuove. Importantissimo andare alle Game Jam, degli eventi in cui ci si ritrova con altri indie developer e si crea un prototipo da zero in 24-48 ore (i giochi spesso – non sempre – non sono granché, ma sono le persone che contano).
Se e quando si diventa liberi professionisti nel settore, fuggire a gambe levate dai committenti che vorrebbero un clone di Angry Bird dove si lancia il logo dell’azienda. Fuggire a gambe levate da quelli che pagano al ribasso. Ricordarsi che, anche se facciamo dei giochi, siamo dei professionisti seri.
Tralasciando ora Pantagruel, ci puoi raccontare quali sono i progetti su cui stai lavorando ora?
Allora, ci sono tre o quattro cose “ludiche” che bollono in pentola, ma non posso andare molto nei dettagli perché sono progetti in corso con partner industriali. Uno dei filoni si chiama “unusual games”: come saranno i giochi per gli smartwatch? Come potrebbero essere dei giochi controllati solo con la voce? E i “video giochi senza video” sono possibili? Per esempio, giochi horror da usare al buio…
L’anno scorso abbiamo lavorato un quadrimestre sulle interfaccie gestuali e questi nostri studenti, che sono dei folli, hanno realizzato un prototipo di macchinetta per le merendine “jedi” con un cannone ad aria compressa controllato da un Arduino
https://www.youtube.com/watch?v=Yo2TUIEXJig
C’è un altro progetto in cui vorremmo provare a progettare e realizzare un gioco multigiocatore per cellulare per cinquanta-cento persone che devono essere presenti allo stesso tempo in una piazza.
Ce n’è un altro in cui ci chiediamo se è possibile fare satira tramite videogioco (attenzione, non comicità nè caricature ma proprio satira).
E poi nel laboratorio di fianco al mio c’è un dottorando con la doppia laurea in informatica + accademia di belle arti che sta facendo pressione da mesi per richiedere l’acquisto di un ragno-robot gigante
https://www.youtube.com/watch?v=Yo2TUIEXJig