Arnoldo Mondadori Editore S.p.A.
Narrativa romanzo
Collana Scrittori italiani e straniere
Pagg. 186
ISBN 9788804585336
Prezzo € 18,00
Solo buone intenzioni
Comallamore è un romanzo colmo di buone intenzioni, rimaste però per lo più tali. Certo, parlare della pazzia, dei matti, avvicinarli, cercare di entrare nella loro mente è un compito arduo, di notevole difficoltà anche per un esperto psichiatra e Riccarelli non lo era; però, molto opportunamente ha preferito accostarsi a questo argomento non scientificamente, perché gli sarebbe stato impossibile, ma con la forza dell’amore, che sicuramente non gli mancava e con la sua sublimazione, con quella pietà merce tanto rara ai giorni nostri.
La trama è una di quelle che ben si presta a costituire un romanzo avvincente, perché un uomo anziano, a una giornalista che gli chiede dei matti del Pianoro e del partigiano Collamore, racconta in pratica la sua storia, la sua vita di povero sciancato per un incidente giovanile di gioco, la sua impossibilità a proseguire gli studi di laurea in medicina per l’improvvisa morte del padre, il suo conseguente e necessario avviamento al lavoro, trovando un’occupazione presso il manicomio che confina con la sua casa, da cui osservava questi poveri pazzi trascinare stancamente e stranamente le loro esistenze. Beniamino, questo è il nome dell’uomo, diventerà medico sul campo, senza dover ricorrere a conoscenze specifiche, ma amando questi matti, cercando di comprenderli e di alleviare la loro sofferenza come bene gli aveva insegnato il dottor Rattazzi, contrario a una certa medicina ufficiale e in particolare alla pratica dell’elettrochoc.
Siamo negli anni del fascismo che precedono la seconda guerra mondiale, che poi arriverà sconvolgendo quel piccolo mondo e contrapponendo la pazzia dei pazienti con la follia di un conflitto.
Quindi c’erano tutti gli ingredienti per poter scrivere un grande romanzo, ma purtroppo le intenzioni, pur buone, sono rimaste tali, senza i necessari approfondimenti, se non una serie di abbozzi di problematiche. Per esempio, secondo me Riccarelli avrebbe dovuto andare più a fondo sulla pazzia della guerra, e non limitarsi alla ferocia di un ufficiale tedesco, perché qualsiasi conflitto rivela il peggio di ogni essere umano e questo non è necessariamente il fanatico nazista della seconda guerra mondiale. L’antitesi della malattia mentale e di quella bestialità che emerge con la guerra sono argomenti troppo importanti per essere appena accennati. Inoltre, senz’altro influenzato dalle sue condizioni di salute, Riccarelli inonda di tristezza il suo scritto, con una evidente inclinazione a cercare di portare alla commozione, alle lacrime.
Ciò che balza però subito agli occhi è la narrazione, prolissa, tanto da diventare monotona, con ben pochi dialoghi, una narrazione che a volte sembra tipica di un esordiente, con svolazzi poetici e digressioni che spezzano il ritmo pur lento della prosa, finendo con l’affaticare inutilmente il lettore, che, più che restare avvinto, viene frastornato da sentimenti spiegati e rispiegati, non di certo con poche misurate parole.
Posso comprendere che non pochi siano influenzati dalle dolorose vicende dei protagonisti, ma un romanzo, per essere veramente valido, non deve cercare di fare facile presa calcando la mano sui sentimenti, che pure è giusto che ci siano, purché vengano trattati con moderazione.
Insomma, l’impressione che ho ricavato é che Riccarelli, di fronte a una tematica così interessante, abbia impostato non bene la struttura dell’opera, che di certo non posso definire una delle sue più riuscite. In particolare si è molto lontani dall’equilibrio di Un uomo che forse si chiamava Schulz, o di Il dolore perfetto.
Leggere si può leggere e forse qualcuno non avrà da fare le mie osservazioni; comunque resta il fatto che Riccarelli ha perso un’occasione per scrivere qualche cosa di unico e irripetibile.
Ugo Riccarelli (Ciriè, Torino, 1954 – Roma 2013), di famiglia toscana, ha pubblicato Le scarpe appese al cuore (Feltrinelli 1995, nuova edizione Oscar Mondadori 2003), Un uomo che forse si chiamava Schulz (Piemme 1998, premio Selezione Campiello, nuova edizione Oscar Mondadori 2012), Stramonio (Piemme 2000, nuova edizione Einaudi 2009), i racconti di Pensieri crudeli (Giulio Perrone 2006), Diletto (Voland 2009) e Garrincha (Giulio Perrone 2013), il saggio Ricucire la vita (Piemme 2011) e, per Mondadori, L’angelo di Coppi (2001), Il dolore perfetto (2004, premio Strega), Un mare di nulla (2006), Comallamore (2009), La repubblica di un solo giorno (2011) e L’amore graffia il mondo (2012, premio Selezione Campiello).