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Figli – Vincenzo D’Alessio

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ed. G.C. “F. Guarini”
 
Aleggiasulla silloge la consapevolezza di un tradimento dalle molte fisionomie. L’artedel governo, in specie quella del sud, si è trasformata nel malaffare, che hairrorato il suolo nativo di veleno ed esso oggi germoglia in piante anomale e tumori.
Sudche mi urli dentro e/mi disperi non voglio più saperne/ delle belve assetate dipotere.
Epiù avanti:
Nellemie montagne c’è la morte/ la respiriamo nei fili d’erba nera, /nelle macchiemalate dei castagni/cancro che sgorga dalla terra/madre dei nostri padri/meritodei politi assassini/carichi di denaro e di potere.
Laterra –terra che divora i figli– a sua volta ha obbligato molti suoinati all’esodo, non riuscendo a legare a sé chi vi è venuto alla luce, colconcedere il necessario sostentamento e, pertanto, troppi, con disperazione, hannodovuto cercare altri ripari.
Tradimentoè anche di coloro che non hanno saputo custodire il dono degli antichi, ossiaproprio questa terra benedetta, un tempo di latte e miele, dove l’anima unavolta poteva mettersi a riposo. Nessun luogo è luogo dell’emozione, lontanidalle proprie strade e l‘altrove, qui identificato col Nord e inparticolare con Milano, è freddezza di impressioni e spaesamento. Nell’altrove,di cui trattasi, si allentano tutti i legami, sia quelli del sentimento siadella geografia.
Legenti del sud/ hanno un cuore che/ perdono al Nord nella /macchina delbenessere/ rincorrono case affollate/ di elettrodomestici vuote/ di vita.
Ritornasovente l’aspirazione al mondo intatto dei padri, in una sorta di età miticadella vita perfetta, con quella forza di velame che la nostalgia pone sullebrutte cose passate, che di sicuro anche allora ci hanno attraversato. Ma forselo sguardo del poeta vaga fin laggiù perché allora il cuore non doleva eignorava che ci sono fulmini che squassano il cielo e in briciole lo riduconoper sempre.
Iltradimento più tragico, difatti, è quello del destino che ruba figli ai padri,abbandonandoli alla propria desolazione. Le poesie dedicate al giovane figlio scomparsosono struggenti e se pure rappresentano una parte della prima sezione dellaraccolta, che include scritti dal 2007 al 2009, un senso di agonia –il cuoreha mille ferite– sembra stendersi davanti ai suoi occhi e alla sua percezione.È attraverso quel travaglio che oggi legge la sua realtà.
Amoremio chi vive/ha nel cuore il dolore/ stridente del silenzio/ pungentedell’invincibile destino.
D’Alessio,però, non si lascia andare, non smarrisce la via sulla quale corre il senso disé e delle cose. Nella consapevolezza di dover convivere con la piaga, non perdedi vista gli alti concetti che dovrebbero appartenere all’uomo: il senso dellapropria dignità e dell’onore, termine detto e ribadito a più riprese, el’aspirazione a un punto nell’infinito nel quale tutte le sorti alla fines’incontrano. Solo così le rotture non saranno mai definitive e i destini possonoricongiungersi.
L’uomoè frammento di eterno/ disperso nel firmamento.
Iversi della raccolta si ricompongono intorno ad una meditazione di grandespiritualità, sia riguardo a sé sia intorno alla sorte degli uomini.
Nellibro è compresa un’appendice, con testi dedicati alla sua terra, che datano1996. Si evidenzia un contrappunto tra la parte paesaggistica e descrittiva ele considerazioni generali ed esistenziali, che mostrano come faccia partedell’indole del poeta una certa malinconia. D’Alessio riesce a percepire insenso tragico dell’accadere nelle vicende più comuni:
Gridail grano sotto/ la falce, urla l’incudine/ dove cala il maglio, / incendia laterra/ il tormento del niente.
***
Perquanto guardi/l’orizzonte è cieco. / Il mare/ spegne sotto vento/ schiume dirabbia sugli scogli.
Pocoprima:
Quantepietre/ le nostre vite/ Il mare/ entra a tratti violento/ porta a fondo/ pezzidi cielo.
Allafine i poeti non imparano mai a essere felici.
Strutturalmentela silloge contiene scrittura matura. Si presenta di lettura piana, col vezzo nellaprima parte di un abbandono quasi totale della punteggiatura e a verso libero.In verità molte composizioni sono sonetti, scanditi di solito in settenari eottonari, con rime e assonanze varie, che accompagnano versi dal ritmo sempre gravee dolente.

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