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Le sorgenti del male – Zygmunt Bauman

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Riflettere sulle origini del male significa spesso riflettere su un confine sottilissimo che riguarda la coscienza degli individui: il male, concepito in questo saggio come le azioni malvagie che l’uomo può commettere e storicamente ha commesso nella storia dell’umanità, spesso si presenta alla ribalta degli episodi della cronaca come da una parte qualcosa di assolutamente deprecabile e lontano da ogni più elementare norma del vivere sociale, dall’altra parte come qualcosa di compiuto da persone “apparentemente” normali e rassicuranti dal punto di vista della quotidiana convivenza degli individui.
Questo ultimo libro della Erickson, scritto da Zygmunt Bauman, uno dei più grandi pensatori contemporanei, con il quale la casa editrice Erickson ha istaurato un buon rapporto di collaborazione invitandolo a convegni in Italia e pubblicando numerosi saggi, interviste e altri testi, si interroga proprio su quali siano le sorgenti del male: si tratta di un dialogo che l’autore intrattiene con diversi pensatori che hanno riflettuto su quali siano i confini tra il bene e il male e quale siano le cause che spingono le persone a trasformare la propria vita in situazioni particolari.
La riflessione esamina soprattutto tre piste, cioè tre modi diversi di inquadrare e descrivere il problema del male.
La prima riguarda tutto un filone di pensiero che fa capo alle tesi della “personalità autoritaria” di Adorno. Per questa corrente di pensiero in realtà il male dipende da predisposizioni quasi “naturali” per cui spesso più che l’emergere dell’influenza di circostanze storiche o sociologiche, c’è il prevalere di personalità malvagie che prendono il sopravvento e influenzano periodi storici e società.
Un secondo gruppo di pensatori, con cui Bauman si confronta, può essere ricondotto alle tesi sulla “banalità del male” di Hanna Arendt. A partire dagli studi sui criminali nazisti, che però sono stati confermati anche dai più recenti studi sui crimini commessi nelle carceri irakene di Abu Ghraib da soldati che provenivano da situazioni della più normalissima borghesia statunitense, questa tesi afferma che l’uomo spesso compie il male perché influenzato dal contesto storico e sociale in cui è inserito, come un ingranaggio di un potente macchinario del quale non si preoccupa per quanto riguarda il funzionamento e le finalità. Dalle testimonianze raccolte nei processi, come quello di Norimberga, si vede infatti come spesso la giustificazione più ricorrente riportata è stata spesso quella di attribuire alla semplice “esecuzione di ordini” la responsabilità delle più terribili atrocità commesse. In questo senso l’origine del male sta nella difficoltà che l’uomo vive a contrapporsi a quello che in condizioni normali percepirebbe come malvagio.
L’autore infine presenta una versione più moderna delle origini del male, che si rifà a un confronto con pensatori come Littel e Anders, in cui si presenta una visione quasi “metafisica” delle sorgenti del male stesso. Con questa pista si indaga sul fatto che, quando la scienza e la tecnologia si svincolano da qualsiasi riflessione filosofica  su cosa sia Bene o cosa sia Male, in realtà tendono quasi a autoalimentarsi e auto- riprodurre dinamiche  distruttive: alcuni bombardamenti degli alleati su città tedesche al termine della seconda guerra mondiale, così come lo stesso sgancio della bomba atomica sulla città di Nagasaki, a pochi giorni della distruzione di Hiroshima, dimostrano come le scelte distruttive siano spesso state dettate non tanto da motivi strategici o militari quanto semplicemente dal fatto che lo sviluppo di tecnologie di nuovi armamenti, prodotti in quantità massiccia e con costi economici altissimi, non potevano “rimanere inutilizzati”.
In generale la tesi che Bauman porta avanti nel suo libro è che la coscienza contemporanea rischia sempre più di assuefarsi, addormentarsi davanti al male; si tratta spesso di “svegliare” le persone rispetto alle responsabilità che ciascuno di noi ha davanti al male che può compiere; in questo può essere vista come positiva una società “liquida”, come quella contemporanea, in cui l’uomo comunque guarda con sospetto ogni forma di autorità e assolutizzazione di scelte che limitino la libertà degli individui; allo stesso tempo il tono dell’autore è realistico e allarmato di fronte in effetti al rischio che si sente molto circa le potenzialità distruttive della tecnologia e un generale addormentamento delle coscienze rispetto alle scelte di ciò che è bene o male.
Questo saggio conferma la capacità di Bauman di portare avanti riflessioni estremamente lucide e complete che fotografano la mentalità contemporanea  e allo stesso tempo ne individuano i nodi problematici più importanti, invitando a vivere con consapevolezza la nostra situazione culturale. Gli esempi presi da diversi autori che appartengono a diverse correnti di pensiero e a diversi ambiti accademici (sociologia, psicologia, storia, filosofia etc), il tono discorsivo, il richiamo a fatti di cronaca e a episodi storici rendono questo ultimo breve saggio di Bauman un testo di facile lettura e allo stesso tempo di grande spessore e profondità.

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