2010, 510 p., rilegato
Traduttore Comerlati D.
Editore Garzanti Libri (collana Narratori moderni)
L’origine del Male
Jean-Christophe Grangé completa con quest’ultimo capitolo la Trilogia del Male, iniziata nel 2004 con La linea nera e proseguita nel 2007 con Il giuramento. Questi tre romanzi si ripropongono di indagare “la comprensione del male sotto tutte le sue forme”. Per questo motivo, dopo l’ottima prova del primo e l’eccezionale del secondo, il lettore si pone rispetto a questo libro con grandi aspettative.
La protagonista del libro è Jeanne Korowa, un giovane giudice istruttore di Nanterre. La sua vita scorre solitaria e prevedibile tra il lavoro e la relazione tormentata con Thomas, un fotografo che la tradisce e la trascura. Due eventi accadono contemporaneamente nella vita di Jeanne e contribuiscono a cambiarla radicalmente: la richiesta di consulenza di Taine, un collega giudice, per risolvere una serie di delitti rituali e le rivelazioni apprese ascoltando le intercettazioni ambientali nello studio dello psichiatra di Thomas, Antoine Féraud. Queste ultime, ordinate illegalmente da lei stessa per scoprire cosa Thomas racconti durante le sedute, la portano invece a scoprire degli indizi collegati agli omicidi su cui sta indagando. Questi due eventi innescheranno una catena di morte e orrore, ma anche (e soprattutto) il viaggio di formazione di Jeanne che scoprirà una nuova dimensione di sé, allontanandosi da Parigi sulle tracce dell'assassino fino alla Foresta delle Anime, dove una civiltà perduta custodisce l’origine del Male.
Grangè è come sempre molto bravo a mescolare gli ingredienti chiave per un buon thriller: cannibalismo, riti di civiltà primitive e nascoste nelle foreste sudamericane, psicoanalisi (ben riuscito il riferimento a Totem e Tabù), paleoantropologia e ovviamente tanto sangue. Particolarmente interessante risulta la tematica dell'autismo e del "bambino selvaggio" Joachim, scampato ad un campo di detenzione militare e allevato dalle scimmie urlatrici nel cuore della foresta.
Come quasi tutti i romanzi di Grangè, la storia ha un ritmo serrato che cattura il lettore. Tuttavia, a differenza delle sue precedenti opere, la protagonista Jeanne non riesce ad emergere dalle pagine e risulta antipatica, un po' saccente e troppo stereotipata nel luogo comune della donna in carriera depressa perché non ha un uomo al suo fianco. Questo stereotipo risulta ancor meno convincente con il dipanarsi della storia, che mostra una Jeanne stile Wonder Woman che si avventura in foreste inesplorate, spara con fucili di precisione e calpesta tutto e tutti pur di raggiungere i suoi scopi. Risulta quindi inverosimile che una donna con queste caratteristiche sia schiava degli antidepressivi perché, pur realizzata professionalmente, non riesce a trovare l’amore della vita. I personaggi secondari, poi, risultano poco caratterizzati e assolutamente ininfluenti nello svolgimento della trama.
Inoltre qualche filo della trama resta senza conclusione. In particolare l’omicidio della sorella di Jeanne, avvenuto quando lei era una bambina e con modalità simili a quelle degli omicidi su cui sta indagando, resta in sospeso e senza una conclusione.
In sintesi: un thriller godibile, ma non il migliore di Grangè.
Jean-Christophe Grangé è autore di romanzi di grandissimo successo che hanno ampliato i confini del thriller tradizionale. I fiumi di porpora (Garzanti 1999), un best seller internazionale tradotto in venti lingue, nel 2000 è diventato un film, diretto da Mathieu Kassowitz con Jean Reno e Vincent Cassel, che si è imposto subito all'attenzione del grande pubblico. Per Garzanti ha pubblicato anche Il volo delle cicogne e Il concilio di pietra (2001).