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Art. 81: ma è proprio pareggio?

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Sapendo come il debito cresce, lo ripagherò!
William Shakespeare
 
Il titolo si riferisce al “famigerato” concetto del “pareggio di bilancio”, quella condizione per cui lo Stato avrebbe l’obbligo “di pareggiare i propri costi con i propri ricavi”, regola che, come in non molti sanno, è stata già introdotta nella nostra Costituzione con legge Costituzionale 20 aprile 2012, n.1[2]. A ben vedere, il primo aspetto da rimarcare è quello per cui il titolo della legge parla di “introduzione del pareggio di bilancio” mentre il testo modificato dell’art.81 della Costituzione parla solo di “equilibrio” tra entrate e spese dello Stato.
Ma procediamo con ordine: fino al 7 maggio 2012 (giorno precedente l’entrata in vigore del nuovo testo), l’art.81 della Costituzione recitava
Le Camere approvano ogni anno i bilanci e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo.
L'esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi.
Con la legge di approvazione del bilancio non si possono stabilire nuovi tributi e nuove spese.
Ogni altra legge che importi nuove o maggiori spese deve indicare i mezzi per farvi fronte”.
Queste parole asciutte ed essenziali, generali ed astratte, caratteristiche proprie di ogni norma giuridica correttamente formulata e dovute al contributo, nell’Assemblea Costituente del 1946-48, di due grandi economisti di cultura cattolica e liberale come Ezio Vanoni e Luigi Einaudi, non hanno impedito una forte crescita del debito pubblico nazionale, che si attesta ormai a circa il 120 per cento del PIL.
L'obbligo, di cui al IV comma in particolare, di indicare le risorse con cui far fronte a nuove o maggiori spese (cd. obbligo di copertura finanziaria), andrebbe riferito a qualunque atto normativo (legge ordinaria, decreto legge, decreto legislativo). Esso fu previsto dal Costituente allo scopo di frenare la corsa verso l'approvazione di atti che ponevano a carico dello Stato nuovi ed imprevisti oneri senza la disponibilità delle necessarie risorse finanziarie: in pratica si trattava di uno strumento destinato a «responsabilizzare» l'attività del Parlamento (e del Governo), imponendo loro (invano alla luce di quanto è successo negli ultimi decenni), di non creare eccessivi disavanzi nei conti dello Stato[3]. Infatti, la rigidità dell'impostazione che vedeva nel bilancio una semplice «fotografia» della situazione contabile del Paese, senza poter modificare nulla dal lato delle entrate e delle spese, aveva indotto il nostro legislatore[4] ad introdurre uno strumento a cadenza annuale, la legge finanziaria, con il quale si poteva concretamente procedere ad integrazioni o modificazioni della legislazione vigente allo scopo di adeguare le entrate e le spese dello Stato, per il successivo esercizio finanziario, agli obiettivi della manovra di bilancio. Con l'introduzione della legge finanziaria si è, in pratica, aggirato l'ostacolo costituito dall'impossibilità per la legge di bilancio di introdurre nuove entrate o stabilire nuove spese. La riprova è data dal fatto che l'esame dei due documenti (finanziaria e bilancio) da parte del Parlamento si svolge in parallelo nel corso della sessione di bilancio[5]: al termine dell'esame viene approvata prima la legge finanziaria, che stabilisce i movimenti dal lato delle entrate e delle spese, e subito dopo il bilancio, che fissa tale manovra. La nuova legge di contabilità e finanza pubblica n. 196 del 31-12-2009[6], ha aggiornato e portato modifiche sostanziali alla legge finanziaria (ora legge di stabilità), poiché semplifica e razionalizza il complesso delle procedure che presiedono le decisioni di bilancio, tenendo conto dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e del nuovo assetto dei rapporti economici e finanziari tra lo Stato e le autonomie territoriali.
Fin dagli ultimi mesi del 2011, alla luce delle turbolenze finanziarie che hanno investito l’area dell’Euro e dell’aggravarsi delle tensioni relative ai debiti sovrani degli Stati membri, è stata più volte richiamata nelle sedi istituzionali l’esigenza di promuovere una riforma volta a introdurre nella Costituzione norme più stringenti per raggiungere l’obiettivo di stabilizzare la spesa pubblica del nostro Paese. Il testo della riforma[7] scaturisce dall'unificazione di sei proposte di iniziativa parlamentare e un disegno di legge governativo, e incide principalmente sull’articolo 81 che ora recita:
“Lo Stato assicura l'equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico.
Il ricorso all'indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali.”
Dunque, dopo il generico impegno, già accennato, all’equilibrio tra entrate e spese del primo comma, si prevede una possibile deroga, permettendo il ricorso all’indebitamento solo “al fine di considerare gli effetti del ciclo economico” e al verificarsi di “eventi eccezionali[8]”. Per circoscrivere e rendere effettivamente straordinario il ricorso alla deroga, si dispone che il ricorso all'indebitamento (per eventi eccezionali), sia autorizzato con deliberazioni conformi delle due Camere attraverso una procedura “aggravata”, con voto a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti.
Vengono poi confermate le disposizioni già presenti nel pre-vigente articolo 81 relative al principio della copertura finanziaria delle leggi (III comma “Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte”), nonché quelle che stabiliscono la competenza delle Camere ad approvare ogni anno con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo (IV comma) e prevedono l’autorizzazione con legge all'esercizio provvisorio del bilancio. Infatti, nell'ipotesi in cui il bilancio non venga approvato entro il 31 dicembre dell'anno considerato, è prevista la possibilità che le Camere concedano al Governo l'esercizio provvisorio del bilancio, con legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi (V comma)[9]. Durante questo particolare periodo le varie amministrazioni dello Stato possono disporre mensilmente di somme pari a 1/12 dello stanziamento del bilancio approvato l’anno precedente.
Il VI e ultimo comma del nuovo articolo 81 stabilisce che “Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei princìpi definiti con legge costituzionale”.
Dunque il legislatore introduce la necessità di una ulteriore “sovrastruttura” normativa, una sorta di “legge quadro di contabilità”, da approvare entro i prossimi mesi (a maggioranza assoluta), che deve rispettare a sua volta principi prestabiliti da una legge costituzionale[10]. E questo è il primo aspetto di “debolezza” da sottolineare nell’impianto normativo della riforma, per cui l' equilibrio dei bilanci e il contenimento del debito delle pubbliche amministrazioni[11] sono assicurati in base a principi e a criteri stabiliti con una legge di laboriosa emanazione, dalla quale si rinvia l'introduzione del pareggio al successivo momento, indeterminato, dell’emanazione di una seconda legge, “ordinaria”[12], ma da adottarsi a maggioranza assoluta, che non sembra avere tuttavia “il rango appropriato per ricevere e definire, anche da un punto di vista simbolico, l'enunciazione di un principio così forte"[13].
Per quanto concerne la disciplina di bilancio degli enti territoriali, viene modificato l'articolo 119 della Costituzione, per specificare che l'autonomia finanziaria di Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni, è assicurata nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci; viene inoltre costituzionalizzato il principio del “concorso” di tali enti all’adempimento dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. Per gli enti stessi, infine, viene precisato che il ricorso all'indebitamento – che la disciplina vigente permette esclusivamente per finanziare spese di investimento – è subordinato alla contestuale definizione di piani di ammortamento (rientro dal debito), e alla condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio.
A parte le considerazioni negative sull’eccessivo appesantimento testuale, purtroppo consueto nelle riforme costituzionali italiane, di norme che perdono la loro concisione e sobrietà, diventando troppo specifiche, ci sembra, innanzitutto, di poter condividere la posizione di quegli economisti convinti non solo che costituzionalizzare il pareggio di bilancio, senza introdurre un tetto alla spesa pubblica, non sortirà alcun effetto sulle dinamiche della finanza pubblica[14]. In altre parole, prescrivere soltanto che le uscite siano pari alle entrate senza ricorso all'indebitamento, non è un vincolo sufficiente a garantire la “responsabilità fiscale delle pubbliche amministrazioni”, né nei confronti della popolazione attuale né nei confronti delle generazioni future[15]". Difatti, tra le proposte in discussione (ma non presa in considerazione dal Parlamento), negli ultimi mesi dello scorso anno, quella firmata da Nicola Rossi (e altri) al Senato e Antonio Martino (e altri) alla Camera "affianca il pareggio di bilancio ad un obbligo sostanziale di contenimento della spesa delle amministrazioni pubbliche, stabilendo che essa non possa superare il 45% del prodotto interno lordo". La combinazione di questi due vincoli (pareggio formale e limite alla spesa pubblica) è "la sola formula che possa seriamente impegnare i governi alla razionalizzazione dell'impiego delle risorse pubbliche"[16], e rappresenterebbe un “patto” vincolante, per chi si accinge a governare, a non poter chiedere ai contribuenti soldi oltre un certo limite, indicando anche obiettivi di riduzione dei tributi per rendere più credibili le promesse dì destinare il ricavato della lotta all'evasione al taglio delle tasse. Va da se che se entrate e uscite devono equivalersi, e si pone un limite alla seconda voce, di fatto si limita anche il potere di aumentare le tasse nel loro complesso[17].
Il punto è, in ogni caso, evidente: nel testo non si parla espressamente dì «pareggio dì bilancio» ma di un più generico «equilibrio tra entrate e uscite». Sfumatura che potrebbe tollerare «anche un disavanzo» purché non comprometta «un imprecisato equilibrio». E lascia spazio a molti casi (come durante congiunture negative), nei quali chi governa può “sbandare” finanziandosi con debiti o tasse. Non si tratta di togliere a chi governa la fondamentale leva del Fisco, la domanda di fondo è politica: c'è qualcuno in Parlamento pronto a impegnarsi affinché lo Stato non possa togliere ai cittadini quasi la metà del loro reddito? La risposta sarebbe la premessa ideale ad una riforma che sposti un po' il peso dei tributi dalle spalle di imprese e lavoratori.
Questo concetto dell’equilibrio di bilancio fu creato nel 1966 da una memorabile sentenza delle Corte Costituzionale[18], grazie alla quale l'interpretazione dell'articolo 81 ha potuto essere da allora ben diversa da quella che ne avevano dato i costituenti[19]. In quella occasione la Corte volle affermare che all'einaudiano quarto comma dell'articolo 81 non andasse attribuito un significato contabile, ma solo un richiamo, tutt'altro che precettivo, ai "limiti che il legislatore ordinario è tenuto a osservare nella sua politica di spesa”, "la quale però”, precisava la Corte, "deve essere contrassegnata non già dall'automatico pareggio di bilancio, ma dal tendenziale conseguimento dell'equilibrio tra le entrate e la spesa". Ebbe inizio da quella sentenza una pratica di leggi prive di copertura, i cui impatti sul bilancio pubblico si sono rivelati disastrosi.
Le modifiche della Carta costituzionale costituiscono una straordinaria occasione per incidere in profondità sulla cultura di un Paese, e nessuno ha mai chiarito in maniera inequivoca all’opinione pubblica italiana che, entrare nell’euro, implicava un mutamento profondo del nostro modo di pensare e di essere[20]. Coloro che hanno avuto e hanno responsabilità di governo si sono accontentati di risolvere le questioni contingenti facendo ricorso a maggiori entrate, rinviando ad un futuro imprecisato la soluzione della parte più difficile del problema. Di quell’atteggiamento irresponsabile, tenuto in passato, paghiamo oggi le conseguenze. Tuttavia sbagliare una volta, evidentemente, non è bastato: in questi mesi abbiamo ripetuto quell’errore. La differenza rispetto agli anni passati è che in questo caso le conseguenze potrebbero essere incalcolabili per noi e per molti altri. L’occasione storica di intervenire su alcune radicate abitudini del Paese, poteva essere colta in modi diversi; per l’attuale Governo “tecnico” italiano l’obiettivo di intervento sulla spesa pubblica è di medio periodo, ed è un obiettivo di razionalizzazione, di eliminazione di sprechi ed inefficienze, il risultato di scelte consapevoli delle amministrazioni interessate. Per altri il punto di arrivo è invece la modifica sostanziale del modo di essere del settore pubblico italiano. La chiusura di parte dei programmi di spesa esistenti. La ridefinizione dell’ambito d’azione, dell’ampiezza del perimetro di intervento dello Stato. Il Governo in carica ritiene che il modo di essere del settore pubblico italiano – che è parte integrante del modo di essere dell’intero paese – non debba cambiare sostanzialmente se non marginalmente. Gradualmente. Se possibile, impercettibilmente. La disponibilità al cambiamento degli italiani doveva essere colta, con modifiche alla Carta costituzionale che non fossero – come purtroppo sono – solo di facciata.
Le nuove disposizioni costituzionali troveranno applicazione a decorrere dall’esercizio finanziario dell’anno 2014, come recita l’articolo 6 della L.C. n.1/2012, ed anche questo aspetto “cronologico” ci suggerisce qualche interrogativo, considerando l’impegno, noto a tutti, del nostro Governo di raggiungere il “pareggio di bilancio” già nel corso del 2013…
 
Chiunque è libero di fare del bene… ma a spese sue.
Milton Friedman

[1] Nell’immagine l’Aula del Senato della Repubblica italiana.

[2] Il disegno di legge di modifica della Costituzione è stato definitivamente approvato dal Senato il 18 aprile 2012 (secondo la procedura dettata dall’art.138 della Carta Fondamentale), divenuto legge costituzionale n.1/2012, pubblicata nella G.U. del 23 aprile 2012, in vigore dall’8 maggio 2012. Avendo raggiunto il quorum dei due terzi dei componenti nella seconda votazione, sia alla Camera, sia al Senato, la modifica costituzionale non potrà essere sottoposta a referendum popolare.

[3] La copertura da indicare deve essere tale da consentire di far fronte all'impegno di spesa per tutto il periodo in cui esso esplicherà i suoi effetti: se, quindi, una legge introduce oneri a carico dello Stato per 3 anni, l'indicazione della relativa copertura dovrà riguardare tutto il triennio.

[4] L. 5-8-1978, n. 468.

[5] Vale a dire il periodo tra il 1° ottobre ed il 31 dicembre, in cui il Parlamento si dedica prevalentemente all'esame dei documenti finanziari.

[6] Entrata in vigore l’1-1-2011, e successive modif. legge 7-4-2011 e d.l. n.98 del 6-7-2011.

[7] Le modifiche intervengono anche sugli articoli 97, 117 e 119 della Costituzione, incidendo sulla disciplina di bilancio dell’intero aggregato delle pubbliche amministrazioni, compresi pertanto gli enti territoriali (regioni, province, comuni e città metropolitane).

[8] Che possono consistere in gravi recessioni economiche; crisi finanziarie e gravi calamità naturali.

[9] In diverse occasioni negli anni passati è successo che per motivi politici (come disaccordi interni alla maggioranza di Governo), il Parlamento non sia riuscito ad approvare nel termine previsto la legge di bilancio. Infatti il bilancio di previsione deve essere approvato in tempo utile per consentire, con l'inizio dell'esercizio cui esso si riferisce, la gestione delle entrate e delle spese. Ciò al fine di evitare la completa paralisi che la carenza di autorizzazione a realizzare le entrate e ad eseguire le spese determinerebbe nell'attività finanziaria e, quindi, in tutta la vita amministrativa dello Stato a partire dal 1° gennaio.

[10] Art. 138 Costituzione
I comma “Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.”
II comma “Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi.”
III comma “Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.” 

[11] L' obbligo del rispetto del principio del pareggio del bilancio e della sostenibilità del debito pubblico viene esteso, con apposita novella all'articolo 97 della Costituzione, a tutte le amministrazioni pubbliche

[12] Ulteriori disposizioni del testo della legge costituzionale dettano i principi cui dovrà attenersi la suddetta "legge quadro di contabilità" oggetto di approvazione a maggioranza qualificata, la quale dovrà disciplinare tra l'altro, l'istituzione presso le Camere, nel rispetto della relativa autonomia costituzionale, di un organismo indipendente al quale dovranno essere attribuiti compiti di analisi e verifica degli andamenti di finanza pubblica e di valutazione dell’osservanza delle regole di bilancio. Si prevede, infine, che alle Camere sia affidata la funzione di controllo sulla finanza pubblica – con particolare riferimento all'equilibrio tra entrate e spese, nonché alla qualità e all’efficacia della spesa delle pubbliche amministrazioni – da esercitare secondo modalità da definire con i rispettivi regolamenti.

[13] Cfr. Serena Sileoni, collaboratrice dell'Istituto Bruno Leoni (www.brunoleoni.it), nel Focus "Pareggio di bilancio: prospettive per una maggiore credibilità della finanza pubblica", pubblicato in occasione dell'avvio della discussione alla Camera della proposta di legge costituzionale adottata dalle commissioni Affari costituzionali e Bilancio.

[14] Sono soprattutto gli studiosi che operano nell’ambito dell’Istituto Bruno Leoni, nato nel 2003 sul modello dei think tank anglosassoni; l’IBL vuole rappresentare un pungolo ed una risorsa per la classe politica, stimolando nel contempo una maggiore attenzione e consapevolezza dei privati cittadini verso tutte le questioni che attengono le politiche pubbliche e il ruolo dello Stato nell’economia. La sua filosofia viene associata a diverse etichette: “liberale”, “liberista”, “mercatista”. La lezione cui l’Istituto si richiama è appunto quella di Bruno Leoni, grande filosofo del diritto, di cui diffonde il pensiero e le opere in Italia ed all’estero.

[15] “Pareggio di bilancio: vincolo inefficace senza limiti alla spesa”, www.brunoleoni.it 22/11/2011.

[16] Sileoni, op.cit.

[17] Cfr. “Un tetto al fisco” di Paolo Giacomin, “Quotidiano Nazionale” 16/03/2012.

[18] Sentenza Corte Costituzionale 10-01-1966, n. 1

[19] Cfr. “L'equilibrio tra entrate e spesa” di Luigi Compagna, “Il Tempo” 22/12/2011.

[20] Cfr. “Quello che l’aula sta per votare è un provvedimento disegnato fin nei dettagli per essere disapplicato nella quotidiana pratica parlamentare e governativa” di Nicola Rossi, www.brunoleoni.it, 18/04/2012.

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