KULT Underground

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Intervista con Claudio Milano e Stefano Ferrian

27 min read
dEN Records, l'etichetta discografica di musica contemporanea, improvvisazione e avantgarde fondata da Stefano Ferrian, è felice di annunciare l'uscita di ben 3 nuovi CD disponibili dal 27 Gennaio sul sito www.denrecords.eu
 
 
dEN002 Stefano Ferrian's dE-NOIZE "CH#02 Lophophora"
 
Secondo capitolo del progetto dE-NOIZE. Questa volta il concept si concentra sul movimento della Ghost Dance e sul massacro di Wounded Knee Creek.
Un eclettica composizione di oltre 30 minuti che unisce improvvisazione, post rock, doom, progressive, avantgarde ed elettronica.
 
Dicevano del primo capitolo:
"[…] un lavoro di proporzioni orchestrali composto da una mente eclettica […]" 
(vitalweekly.net)
 

dEN003 The Radiata 5tet "Aurelia Aurita"
 
L'isteria giocosa di John Zorn e Mike Patton incontra la nuova scena jazz noise italiana.
Quintetto nato dalla collaborazione tra Stefano Ferrian e Cecilia Quinteros, violoncellista di Buenos Aires. Ai due si uniscono Luca Pissavini al contrabbasso, autore delle liriche e Claudio Milano alla voce, entrambi vincitori dell'Omaggio a Demetrio Stratos nel 2010 con il progetto NichelOdeon, e Vito Emanuele Galante alla tromba. Un progetto in bilico tra avantgarde, improvvisazione ed esperimenti in conduzione istantanea. Il rumore della poesia, la poesia del rumore.
 
 
dEN004 Claudio Milano/Erna Franssens aka Kasjanoova "Adython"
 
L'Antonin Artaud di Demetrio Stratos, Diamanda Galas, Tim Buckley e Carmelo Bene incontrano le avanguardie elettroniche più recenti. Musica come esorcismo
Collaborazione tra le acrobazie vocali di Claudio Milano, vocalist e performer italiano, su testi e concept di Erna Franssens, artista belga nota come Kasjanoova.
Il progetto, in forma di psicodramma in musica, vede la collaborazione di Attila Faravelli, Alfonso Santimone, vincitore del premio InSound 2011 come miglior musicista elettronico dell'anno, e Stefano Ferrian. Un risultato che si avvale di innovativi trattamenti istantanei del suono performativo, ambientale e di amplificazione, ad opera di Faravelli e Santimone. Dark Avantgarde che sarà certo gradita ai fan di Arrington De Dionyso degli Old Time Relijun, autore della presentazione del progetto presente all'interno del libretto.
 
 
 
 
Intervista con Claudio Milano
 
Davide
Ciao Claudio. Comincerei da ADYTHON, un tuo lavoro con Erna Franssens (aka Kasjanoova), dEN records 004. Vi collaborano Attila Faravelli, Alfonso Santimone e Stefano Ferrian. Ci presenti Erna Frassens, che ha scritto i testi, e il concept di questo disco?
 
Claudio
Ciao Davide, Erna, in arte KasjaNoova, è un'artista multimediale belga che negli ultimi decenni ha catalizzato attorno a sé energie creative invidiabili in ogni campo, dal teatro, alla danza, alla musica, la videoarte, la poesia, il disegno, la creazione di gioielli e ceramiche. Da qualche tempo è impegnata in un'opera che raccoglie tutte le sfumature della sua poetica. Attorno al tema della trascendenza e del rispetto della spiritualità che appartiene a qualsiasi cosa vivente o inanimata essa sia, in cui Erna intravede comunque un valore universale e alchemico e attraverso l'autoinduzione ipnotica, scrive delle liriche ispirate a figure femminili profetiche e le mette in scena in forma di installazioni, azioni di teatro-danza, performance per musica e videoarte. E' una donna affascinante, misteriosa e bellissima, che si circonda di decine di creativi provenienti da tutto il mondo. Con loro ha ideato un doppio album con lo stesso testo cantato in molte lingue diverse e che ha come tema un profezia contemporanea della Pizia. Il titolo dell'album, che dà nome anche a una delle sue performance più apprezzate è When The Pythia Mumbles ed è atteso ormai da diversi anni.
 
Davide
L'adyton, nei templi grecie romani, era il « luogo in cui non è possibile entrare », uno spazio precluso ai fedeli e riservato agli officianti del culto. È un titolo che allude alla “accessibilità” o meno alla musica sperimentale? O cosa?
 
Claudio
Il titolo del lavoro fa riferimento esclusivamente al luogo dove L'Oracolo di Delfi, il cui fantasma aleggia tra i solchi del disco offrendogli un senso, viveva e offriva i suoi vaticini. Sappiamo bene come in realtà nell'adython non c'era solo un'oracolo. Spesso si trattava di diverse figure che si alternavano nell'arco della stessa giornata. Si trattava di uomini o donne, che la tradizione vuole accecati in giovinezza e rinchiusi in caverne dove c'era esalazione di gas tossici che generavano deliri. Vi era poi anche la figura di chi dava forma  al vaticinio, un uomo che “interpretava” quello che veniva pronunciato. Per quanto affascinante tutto questo è l'ennesima celebrazione della stupidità umana, di chi sacrifica e di chi, suo malgrado, viene sacrificato.
L'oracolo difatti non era chi come veniva identificato come tale, ma il “traduttore”, un po' come il veggente non è considerabile Nostradamus o chi per esso ma chi incolla le sue quartine di bassa leva poetica ad eventi già accaduti e azzarda pronostici come prima di una partita di calcio.
Quello che interessa a me e ad Erna in tutto questo, è riportare quanto l'uomo abbia bisogno di trascendenza; quanto sia debole nel voler credere che il suo destino sia segnato, senza invece voler prendere coscienza del fatto che lui stesso è artefice della sua felicità; quanto il misticismo, misteriosamente, possa curare e uccidere, risvegliare energie che neanche la più portentosa delle medicine saprebbe, ridurre in schiavitù o trasformare realmente in semidei, rivelando i limiti della ragione e aprendo alla possibilità di credere che tutto è possibile, nel bene e nel male.
Come i testi sono stati scritti in autoinduzione ipnotica, anche per le registrazioni io ho fatto ricorso all'uso dell'ipnosi transizionale (a cui mi sono sottoposto grazie alla collaborazione di una psicologa) e alla tecnica dello psicodramma condotta ad eccessi che non ripeterei. A partire da diversi giorni prima dell'incisione con Attila Faravelli, in pieno Agosto, ho vissuto al buio, spegnendo cellulare e telefono, staccando il citofono, ascoltando solo soundscapes di rumori provenienti dalla terra, dai vulcani, dalle maree, senza neanche lavarmi. Ho mangiato solo pane, acqua e zucchero e ho fatto ricorso sotto stretto controllo medico a dosi massicce di benzodiazepine, mi sono vietato di parlare se non per emettere brevi suoni non verbali e mi sono sforzato di pensare al nulla. La notte, ho dormito sottoponendomi ad ascolto passivo ed ininterrotto di una compilation con Il canto sospeso di Luigi Nono; Vena Cava e Litanies of Satan di Diamanda Galas; i brani Starsailor e Lorca di Tim Buckley; White Dot, Architecture, The Jargon King, The Wipe di Peter Hammill; lo Stabat Mater di Penderecky; Le roi des étoiles di Igor Stravinsky; Ligeti's breath degli Swans; The Drift di Scott Walker; Dolmen Music di Meredith Monk; The Marble Index di Nico; Heresie degli Univers Zero; Black is the colour (Of My True Love's Hair) di Patty Waters; Cellorganics di Thomas Demenga e Heinz Reber; Black Sea di Fennesz; Inner Whirl dei Kryptästhesie; Tri Repetae degli Autechre; le Sequenze III e VIII di Luciano Berio; Zero Zero Void di Sunn O))); Filosofem di Burzum; Land's End (Sineline) e Kosmos Tours da A Plague of Lightouse Keepers dei Van Der Graaf Generator, L'Egitto prima delle sabbie di Franco Battiato.
Quando sono arrivato nello studio di Attila ero completamente dissociato. Ho registrato circondato da amplificatori ricoperti da sacchi neri di plastica su cui poggiavano ciotole contenenti sassolini, cereali, conchiglie che saltavano, entravano in risonanza con il vibrare degli amplificatori. In contemporanea registravamo i rumori provenienti dalla strada grazie ad un sistema di microfonazione. Abbiamo inciso per 10 ore consecutive finchè non ho avuto più forze. Ero fisicamente devastato e come in un'alba post sbornia, ho iniziato a “confessare” ad Attila esperienze di vita molto dure, non avrei dovuto. Attila è una persona molto sensibile e ne è rimasto molto scosso. Dopo quella notte ho dormito per 24 ore consecutive. Solo dopo diverso tempo siamo riusciti a ritornare sul lavoro, con distacco e a trarre da tre sessioni il meglio per un un'unica traccia. È stato l'inizio, a cui è seguito un ulteriore viaggio interiore, quello della traccia Adython, di 32 minuti, tratta da una sola sessione, senza alcun edit o mixing che non sia stato eseguito in tempo reale.
 
Davide
Più forte del mare e del tuono  / Più forte del terrore  / Più forte del male  / È più forte la voce dell’uomo  / Più forte del vento  / Della vita e del tempo  / La voce dell’uomo  / Quando chiama gli rispondo (cantava Sergio Endrigo). Cos’è la voce dell’uomo?
 
Claudio
Lo specchio del sé. Racconta il proprio rapporto con l'emotività, il corpo, l'anima. È specchio di relazioni sociali, sessualità, quanto si è disposti a chiedere, a dare, ad accettare, ad irrompere. È specchio del nostro stato vitale.
 
Davide
Qualcuno, per capacità vocali e per desiderio esplorativo, ti accosta a Demetrio Stratos e a Diamanda Galas, a Tim Buckley e a Carmelo Bene. Chi sono i tuoi “maestri” e quali opere vocali dell’Avanguardia del Novecento consideri imprescindibili?
 
Claudio
I miei maestri sono tanti, forse troppi, sarebbe meglio a volte ascoltare di meno e ascoltarsi di più.
Amo Peter Hammill, che considero il più grande interprete drammatico di cui abbiamo incisioni audio, naturalmente dotato di un talento vocale, di un'estensione e di una duttilità timbrica senza eguali, angelo e demonio, intenso come nessuno; Tim Buckley che considero il più grande cantante della storia del rock, il perfetto equilibrio tra tecnica e espressione, capace nel dramma quanto nella brillantezza. Queste due voci sono in buona misura ancora da indagare criticamente. Hammill ha prodotto tanto, troppo a sentire i più e soprattutto il meglio, interpretativamente parlando è raccolto in registrazioni live non ufficiali. Verrà riscoperto tra qualche tempo con i dovuti onori e certo l'amore che Lady Starlight e Lady Gaga hanno espresso nei suoi riguardi, non potranno che aiutare i tanti, quasi tutti, critici distratti a dedicargli l'attenzione dovuta, anche alla luce della rinascita creativa degli ultimi anni. Tim Buckley di contro, paga il fatto di avere avuto una vita troppo breve e una carriera altalenante in quanto a resa artistica, sarebbe il caso di rispolverare i suoi live non ufficiali del periodo tra il '69 e il '71 per rendersi conto che la metà di quello che è arrivato dopo in fatto di voce è nato con lui, un genio. Altri miei fari sono Diamanda Galas che è il paradigma dell'estremo e della nuova vocalità, è l'emissione sonora indiscriminata associata a tensione emotiva condotta a livelli ineguagliabili, è libera da ogni condizionamento. Lei E' l'avanguardia, mi piacerebbe sentirla cantare un giorno come un angelo, il mio spirito la accoglie ma non vuole sentire solo il nero con il quale si presenta al mondo. Amo la primissima Meredith Monk, la sua capacità di passare dall'ironia alla meditazione con assoluta naturalezza. Di lei ho provato ad accogliere la capacità di essere autenticamente minimale senza risultare mai fine a sé stessa, esclusivamente mentala. Carmelo Bene è IL mio faro, credo che la voce associata al teatro sia quanto di meglio io abbia da esprimere, vengo dal Sud Italia, dove si parla in maniera “eccessiva”, teatrale. Per essere precisi, provengo dalla sua stessa terra, il Salento e con lui, condivido l'attrazione per lo studio sulla phoné in senso lato, la tensione di una ricerca spirituale e strutturale dell'Io, sospesa tra sacro e profano, quella propria del tarantismo. La scena del monaco dissociato in Nostra Signora dei Turchi, l'ho indagata fino all'ossessione. Il suo narcisismo è una delle cose con cui bisogna confrontarsi oggi per rispecchiarsi e comprendere non i nostri limiti ma le nostre potenzialità. Allo stesso modo l'immensa Nina Simone che considero la più grande interprete jazz di sempre; il miracolo di Alice (Carla Bissi), sospesa tra superba austerità e  dolcezza, un timbro senza eguali al mondo; Danio Manfredini e il suo essere profondo quanto inafferrabile; l'urlo e la ricchezza di armonici in voce piena di Ian Gillan; il dramma senza orizzonte e troppe origini di Burzum; il velluto interiore di David Sylvian; l'abbandono drammatico, indifeso e sensuale di Chet Baker; l'immenso talento di Bowie quando non è imitazione di sé stesso o di quello che vorrebbe essere; la tensione isterica e fragilissima di Sinead O'Connor; il legame tra cielo e terra in Peter Gabriel; la poesia senza fondo di Antony prima che diventasse una maschera; le cantilene stonate ma perfette di Nico; il classicismo “ribelle” e in parte autodidatta della Callas e Di Stefano; le splendide vocalità da sopranista di Angelo Manzotti, timbricamente ineguagliabile e Aris Christofellis. per l'agilità tecnica senza limite; la teatralità di Milva che canta Piazzolla in Live at the Bouffes Du Nord, preziosa come ben poche cose. Una donna che ha avuto solo il “difetto” di cantare troppe cose indistintamente. Amo la controversa Giuni Russo, i suoi suoni di fischio parossistici (il finale in studio di L'Addio è tecnicamente un mistero) e la capacità di usare ogni cavità del corpo come cassa di risonanza, persino meglio di Yma Sumac senza averne la minima consapevolezza, una voce realmente divina che avrebbe avuto bisogno di un gran produttore per non essere confinata nel limbo di un provincialismo gravemente immeritato; la grande gamma timbrica di Arrington De Dionyso, il migliore interprete occidentale del kanzat kargyraa, ma anche un superbo cantante in voce piena baritonale e tenorile, mai didattico e dimostrativo come Mike Patton, estremamente capace con i suoni di fischio come ampiamente dimostrato in Uterus and Fire e uno sciamano vero. Ci sono poi dei dischi per me importantissimi come Five Men Singing di Jaap Blonk/Koichi Makigami/Paul Dutton/Phil Minton e David Moss. Amo la ricerca microtonale di Amelia Cuni e il talento timbrico di Viviane Houle, maestra di bellezza vocale; la violenza espressiva di Tom Waits; la dolcezza ferita di Jeff Buckley; il bagaglio di emissioni vocali inarrivabile della tristemente dimenticata Catherine Jauniaux; il teatro vocale mitteleuropeo dagli intervalli improbabili ma ricchi di passione di Dagmar Krause e poi la trascendenza di Nusrat Fateh Ali Khan; il dramma di Billie Holiday e Janis Joplin; il melodramma di certe incisioni degli anni '70 di Mina; i colpi di glottide di Alan Sorrenti in Aria. Tutte queste, in diversa misura, ma nessuna esclusa, sono mie referenze. E Stratos? Sarò onesto, ma il suo canto a dispetto di quanto mi viene attribuito, ha avuto un'importanza davvero piccola nel mio percorso. E' stato più importante Peter Murphy per me (e lo è stato) rispetto a lui. Di Stratos ho amato le interpretazioni su Arbeit Macth Frei, su tutte quella dell'Abbattimento dello Zeppelin e Le Labbra del Tempo, la rilettura di Per Farla Finita col Giudizio di Dio di Antonin Artaud, sinceramente il resto lo ho indagato poco e ascoltato di meno, è questione di senso di appartenenza. I suoi dischi solisti ho provato a farli girare nel lettore ma non mi hanno mai conquistato. Demetrio è stato un genio assoluto, per cui ho una stima enorme. Lui ha identificato nella perfezione tecnica e nella relativa ricerca fisiologica/cordale un fine, assieme ad una ricerca quasi enciclopedica  quanto scientifica delle possibilità di emissione della voce umana. A me di questo importa ben poco, lo ha fatto già lui. Non solo, c'è chi ha approfondito in maniera ossessiva il suo percorso, sviluppandolo in maniera spaventosa. Il suo maestro in termini di canto difonico e trifonico, Tran Quang Hai, è tecnicamente molte volte superiore a Stratos. Nell'uso del kargyraa, Albert Kuvezin, ex voce degli Huun-Huur-Tu e Crawfoot hanno raggiunto livelli ben più interessanti, grazie a un registro da basso profondo letteralmente spaventoso. In quanto a capacità di cambio di registro in tempo reale John De Leo, ex Quintorigo e Bobby Mc Ferrin (il secondo tra i maestri riconosciuti dei grandi Boris Savoldelli, Albert Hera, Oskar Boldre e decine di ricercatori odierni, il primo ormai a livelli inimmaginabili) non hanno eguali al mondo. Renato Miritiello, in arte Renè Mirì ha eguagliato ogni possibile tecnica sperimentata da Stratos e l'ha superata da un pezzo, anche Patrick Fassiotti e Romina Daniele sono straordinari. Cos'ha Demetrio tuttora che questi signori (forse) non hanno? Stratos era un cantante profondamente rock, aggressivo, carismatico, davvero “imponente”. Lui era e rimane un'autentica icona della voce, come solo Yma Sumac e Cathy Berberian in ambito sperimentale sono stati (nonostante l'indiscutibile grandezza di Joan La Barbara, Pauline Oliveros ecc. ) e Diamanda Galas è. Lui era energia allo stato puro, in piena era di rivoluzioni culturali, io non ho neanche una stilla di questo e ti dirò di più, non mi interessa averla neanche un po'. In termini di ricerca vocale la critica odierna crede di sapere tutto e in realtà è profondamente ignorante, cita sempre gli stessi due-tre nomi e non valuta le evoluzioni dei percorsi e le singole poetiche. A Stratos sono paragonati su riviste il cui giudizio “deve” essere incontrovertibile, Giuliano Sangiorgi e il primo Piero Pelù, Edda quanto le brave Stefania Pedretti e Lili Refrain. Basta cantare su più di un paio di ottave e tutto entra nel calderone della “voce sperimentale”. Auguri. Io trovo la cosa sia mortificante.
La lista delle opere credo si evinca chiaramente da tutte le mie citazioni precedenti alle quali voglio aggiungere il Pierrot Lunaire di Schoenberg.
 
Davide
A proposito di Stratos, ultimamente hai cantato con gli Area. Parlaci di questo incontro e dell’emozione di essere stato al microfono con loro.
 
Claudio
Sarò onesto ma non volevo farlo. Era un po' legittimare che Claudio Milano è quello delle diplofonie, che sinceramente uso infinitamente peggio di migliaia di cantanti europei, figuriamoci asiatici… e non avevo neanche immaginato una possibilità di questo tipo. La notte prima del concerto al Bloom di Mezzago che prevedeva la presenza di due mie progetti, NichelOdeon e InSonar, oltre che a quella di Ares Tavolazzi, Paolo Tofani e Walter Calloni, dalla formazione di Maledetti (Maudits), concept degli Area del 1976, ho ricevuto una e-mail di Paolo Tofani che diceva testualmente: “Ciao Claudio,
ho sentito alcune cose che fai con la voce e devo dirti che mi piacciono moltissimo, sarà un vero piacere conoscerti e ascoltare NichelOdeon”. Conosciuto di persona Paolo al Bloom, mi ha invitato a collaborare con lui, Ares e Walter nella loro esibizione dicendomi: “chi fa ricerca vocale oggi imita Demetrio, tu no” … la cosa mi ha stupito. Quando il trio è salito sul palco, con loro alla voce c'era Raffaello Regoli, allievo di Stratos e voce meravigliosa. Non ho sentito spazio per un mio intervento, Raffaello ha portato avanti un percorso straordinariamente e squisitamente tecnico e soprattutto “conclusivo”, ogni altro intervento sarebbe stato superfluo se non dannoso per la performance stessa. Il pubblico ha chiesto un bis, Raffaello non è salito ancora sul palco, io sono stato letteralmente “catapultato” in scena da Lorenzo Sempio, chitarrista dei NichelOdeon e poi non ricordo nulla, tranne la partenza a razzo con  il motore ritmico di Walter, un papà in musica per me e le occhiate di Paolo che mi invitava a ripetere con la voce quello che lui faceva con la chitarra su note acutissime, mentre io pensavo ridendo “Oddio no…… Gillan!!!!”. È stata un'emozione irripetibile.
Davide
Di recente hai anche collaborato con Arrington De Dyoniso?
 
Claudio
Avevo contattato Arrington per un progetto per voce ed elettronica a nome InSonar, fondato con Marco Tuppo (Nema Niko, Sciarada, Liir Bu Fer) per il quale sono stati ad oggi prodoti 95 minuti di musica. Arrington ha espresso entusiasmo per il progetto ma mi ha riportato come al momento a lui interessi registrare musica in presa diretta con i suoi collaboratori, cosa contemplata solo in parte da InSonar. Terminato Adython, gli ho chiesto se voleva scriverne una prefazione, nessuno quanto lui poteva cogliere lo spirito di un progetto così tanto legato all'idea di antico e moderno “rituale”. Ha accettato, ha scritto un commento meraviglioso e in occasione di una sua tournèe in Italia mi ha chiesto se volevo cantare con lui. È stata la prima esperienza comune per due voci usate in maniera creativa. Durante la performance, ancora una volta al Bloom (cosa per la quale ringrazio Stefano Brambilla della direzione artistica), lui ha lavorato quasi esclusivamente con il kargyraa, tecnica nella quale è maestro assoluto, usando al tempo stesso tecniche di amplificazione incredibili, come l'uso dell'alluminio per ottenere risonanza e alcuni ausili low-fi analogici di grande effetto. Io ho spaziato su più registri in modo teatrale ed espressionista, interagendo in tempo reale con gli effetti che la regia audio generava. E' stata un'esperienza molto avventurosa e spirituale. Lo sciamanesimo di Arrington viene spesso tradotto in termini oscuri. Nulla di più sbagliato, lui è un artista di un'immediatezza e una dolcezza disarmanti e una persona assolutamente solare e semplice. Il suo lato oscuro lo manifesta solo nel fare artistico e nel riservarsi lunghi, impenetrabili silenzi. Anche la sessualità animale esibita nell'immaginario pittorico non trova alcun riscontro nel rapporto con un comportamento maschile da gentleman che nulla ha a che vedere con il machismo tipicamente italiota. E' di una dolcezza con la sua compagna davvero commovente ed è una delle persone più curiose in termini di musica e vita che io abbia mai  percepito. È impossibile non volergli bene e non riconoscere che si tratta di un artista vero.
 
Davide
Qualcuno ha scritto che hai una estensione vocale di sette ottave. La maggiore  estensione femminile da Sol1 a Sol9 (Sol2 a Sol10 nella numerazione americana) è attribuita a Georgia Brown (Brasile). La maggiore estensione maschile di 8 ottave e mezzo, dal primo Mi del pianoforte (circa 41 Hz) al La della nona ottava (circa 14000 Hz) è invece ascritta a Nicola Sedda, Italia. Qual è esattamente la tua?
 
Claudio
Oddio, mi sembra quasi una metafora sessuale :-)))) Tanto l'estensione di Georgia Brown che quella di Sedda e qualsiasi vocalista di “nuova vocalità” è suscettibile a mille varianti. I comportamenti vocali di Sedda, la Brown, Adam Lopez e Mariah Carey stanno al canto quanto il modo di suonare di Satriani, Petrucci, Malmsteen alla chitarra, meglio Derek Bailey, Fripp o Segovia che non hanno presunzioni da pornostar 🙂 Se un cantante lirico lavora in un registro fisso, ben altra cosa è per un cantante di ricerca odierno che può avere oscillazioni veramente significative (anche di un'ottava e più) indipendentemente dalla preparazione tecnica, di giorno in giorno e a seconda dello stato emotivo, della umidificazione delle corde, delle ore di sonno alle spalle, del numero di ore che si è parlato nell'arco della giornata e delle ore che si è cantato, della possibile presenza di muco anche in minimo eccesso sulle corde (lesivo per i suoni fischio). La grande Tiziana Ghiglioni asserisce che un cantante che “canta correttamente” non ha mai di questi problemi, cosa più o meno vera, perché riferibile solo a chi canta in “registro”. Non è un caso che entro le due ottave e mezza-tre lei non si sposta mai e quello che usa lo usa divinamente. Figuriamoci se un cantante si fa un bicchiere il giorno prima di cantare o per fame, se in giro non c'è altro, prima di un concerto mangia dei fritti, del cioccolato, o beve un cappuccino, notoriamente irritanti per le mucose o dei carboidrati che producono muco in eccesso (a proposito Stratos qualche canna se l'è fatta e non mi pare avesse grosse difficoltà di emissione). La Brown, Sedda, come tanti altri fanno una somma delle loro performance migliori e si beano di un guinnes dei primati, senza valutare neanche la qualità in armonici del suono emesso.
Dunque, venendo a me. Ci sono dei giorni durante i quali ho un'estensione di sei ottave perchè i fischi non vengon bene (e rimuovere il muco tossendo o “grattando” sulle corde come fa Adam Lopez, che è nei guiness ma non ha armonici, è lesivo ed è relegarsi al ruolo di consumatori di cortisone a vita), e ne faccio a meno, altri in cui ne ho una superiore a sette (ma poi, se consideriamo gli armonici dei fischi in acuto, dove andiamo, a nove?).
Ci sono giorni in cui son stanco, raffreddato, ho bevuto la sera prima, eppure trovo che la mia voce abbia un colore e una profondità inedita e con quella entro in studio e sono contento di quello che il momento può offrirmi.
Ma detto questo, proviamola questa conta considerando i miei storici migliori 🙂
Con l'uso del kargyraa, lo “stop closure damping” teorizzato dal foniatra Franco Fussi sullo studio dell'emissione di Manzotti e il “whistle register”, ho registrato un Do1 (C1 32.70 Hz) e un Fa7 (F7 2794 Hz) con armomici pieni, potenti e ben riconoscibili. Con il “whistle register” ho raggiunto anche il Fa8 (F8 5588 Hz), su un'incisione del brano “L'inventasogni”, ma quel suono non lo valuto neanche perchè troppo debole di armonici e poco controllato.
In voce piena la mia estensione attuale è da Lab1 (G#1 109 Hz) a La4 (A4 440.00 Hz) un'estensione generosa da bass baritone.
Con l'uso del falsettone, anche se nessuno dei miei docenti accetterebbe questa definizione,  visto l'uso che faccio delle corde da mezzosopranista e sopranista, raggiungo in acuto un Reb6 (C#6/Db6 1108.73 Hz).
A te i calcoli.
 
Davide
Nello sperimentare così variamente la tua voce (lo si comprende bene in Adython), hai scoperto qualche tecnica inedita, anzi inaudita? Cosa cerchi attraverso la voce al di là della voce?
 
Claudio
No Davide, non ho inventato niente tecnicamente, ho solo una mia precisa didattica che unisce tecnica a precisa consapevolezza del sé corporeo e alla profonda indagine del sé interiore, cosa mediata dallo studio del Metodo Funzionale di Gisela Rohmert e alle sue applicazioni di Carola Caruso. Questo perché se si va davvero ad indagare ciò che i popoli emettono con la loro laringe a seconda delle loro culture, direi che non c'è sto granché da esplorare, ma da riscoprire, rivalutare e integrare, mi piacerebbe avere l'apparato fonatorio di una Menura Latham, ma non ce l'ho. Poi, per carità ognuno ha un suo modo di usare le corde e l'apparato fonatorio ed è a modo suo speciale. Quanta gente ha lanciato strali sul modo di impiegare la lingua nel canto lirico di Placido Domingo? Eppure qualcuno di questi ha il coraggio di dire che Domingo ha una cattiva voce? Bisogna tornare indietro credo, guardarsi dentro e riscoprire un sé vocale antico per abbracciare infine la propria vocalità autentica e infantile, lontana da tutte quelle sovrastrutture finte e fastidiose che la nostra cultura ci ha cucito addosso con l'idea del “bel canto” che crea valanghe di automi e di voci senz'anima.
Non me ne faccio nulla di uno che canta perfettamente ma non comunica un accidente, preferisco Blixa Bargeld, Nick Cave, Lindo Ferretti, il canto atavico di Jonsi, l'urlo infantile di Bjork. Pensa invece alla Sumac che tentava di imitare in maniera autoctona i suoni degli animali con la sua voce e poi trasformava i suoni che mediava in bellezza vera, capacità espressiva e colore, con “senso” autentico, questa è me-ra-vi-glia. Sai in confronto che me ne importa dei campioni di beatboxing?
 
Davide
Due dischi davvero notevoli che hai realizzato con la dEN records di Stefano Ferrian e con il suo stesso contributo musicale. Parlaci di questo incontro…
 
Claudio
Ho conosciuto Stefano nel 2010 perchè lui ha un furgone, lo affitta e lo guida per trasferte di band. Lo hanno usato i NichelOdeon per andare a suonare a Ferrara qualche tempo fa. È una persona con cui ci siamo trovati molto bene da subito.
 
Davide
Una domanda sulla relazione fra oggettività e soggettività delle tue ricerche artistico-sonore. Prediligi la sfera soggettiva formata da stati onirici e inconsci, istinti, energia vitale o l'ambito oggettivo assoluto ricavabile dalla ricerca “scientifica” e tecnica; oppure l'insieme dei due mondi in alternanza e sovrapposti? 
 
Claudio
Assolutamente sovrapposti, ma se devo dare priorità a una delle due, oggi preferisco la prima, sa raccontare di me molte più cose e trovo sia più significante, ma quando parlo di stati inconsci non voglio minimamente fare riferimento a fughe dalla realtà, semplicemente ad una lettura profondamente interiorizzata della stessa. Non possiamo permetterci oggi di ripiegarci su noi stessi e scappare da quello che vediamo, non solo, non possiamo neanche permetterci di non vedere, lo abbiamo fatto per decenni e ne stiamo pagando oggi le conseguenze, culturalmente e socialmente disastrose.
 
Davide
Cos’altro stai facendo o progettando?
 
Claudio
Ho prodotto quasi 100 minuti di musica con Marco Tuppo (Nema Niko, Sciarada, Liir Bu Fer) a nome InSonar, un progetto a cui hanno partecipato Elliott Sharp, Trey Gunn, Pat Mastellotto, Walter Calloni, Paolo Tofani, Ivan Cattaneo, Nik Turner, Dieter Moebius, Thomas Bloch, Ralph Carney, Dana Colley, Graham Clark, Richard A Ingram, Albert Kuvezin, Othon Mataragas, Ernesto Tomasini, Nate Wooley, Burkhard Stangl, Mattias Gustafsson, Werner Durand, Erica Scherl, Michael Thieke, Viviane Houle, Jonathan Mayer, Stephen Flinn, Angelo Manzotti, Roberto Laneri, Vincenzo Zitello, Elio Martusciello, Thomas Grillo, Pekkanini, Víctor Estrada Mañas, Eric Ross, Takeuchi Masami, Gordon Charlton, i NichelOdeon e i Liir Bu Fer al completo, Francesco Zago, Michele Bertoni, Alex Stangoni, Michele Nicoli, Stefano Ferrian, Alfonso Santimone, Luca Boldrin, Andrea Quattrini, Beppe Cacciola, Simone Zanchini, Berlikete, Paola Tagliaferro, Max Marchini, il giovanissimo e grande talento di Annie Barbazza. Il progetto uscirà in due dischi separati, uno “L'Enfant et le Ménure”, a tema l'infanzia violata sarà fuori entro la fine di quest'anno, l'altro a tema il viaggio sarà pubblicato dopo. Entrambi coinvolgeranno più etichette discografiche e anche qualche regista che curerà dei videoclip. Entro la fine del 2012 la Lizard records pubblicherà inoltre un album live con performance di diverse band che hanno partecipato al Festival per i suoi 15 anni di attività. Io sono presente nell'album con performance registrate con NichelOdeon; InSonar; Tofani, Tavolazzi e Calloni; Vincenzo Zitello. Sto lavorando poi con molti musicisti per diverse collaborazioni future ma non voglio anticipare nulla.
 
Davide
Grazie e à suivre…
 
 
Intervista con Stefano Ferrian
 
Davide
Ciao Stefano. Quando nasce la dEN records e cosa si prefigge?
 
Stefano
dEN Records nasce in modo inconsapevole con il primo disco (Amphetamine) del mio progetto in solo dE-NOIZE. Essendo il mio primo cd autoprodotto decisi di inventare una “falsa” etichetta sotto quale presentare questo mio nuovo progetto.
Successivamente in maniera molto spontanea mi sono fatto prendere la mano fino a farla diventare una vera e propria etichetta di autoproduzione ma anche con l’idea di produrre di tanto in tanto dischi di artisti che amo particolarmente.
Un altro aspetto che non va trascurato è quello di documentare ciò che solitamente viene semplicemente trascurato o ignorato dai più. Per quanto difficile, a volte, sono sicuro che ci sia della gran musica nelle pubblicazioni fatte finora da dEN Records.
 
Davide
Veniamo a dE-NOIZE “CH#02 Lophophora” (dEN002). Ho letto che il tuo lavoro si ispira al massacro di Wounded Knee. Perché ti ha colpito la vicenda dell’eccidio di Miniconjou, e come la tratti in dE-NOIZE?
 
Stefano
Con dE-NOIZE mi sono creato un meccanismo compositivo che mi costringe a studiare e a documentarmi costantemente sul concept di ogni disco. In questo senso il gioco della metafora sulla droga che unisce tutta la collana è un bel pretesto per venire in contatto con informazioni che diversamente non avrei mai conosciuto in alcun modo.
Per dE-NOIZE #02 avevo in mente di fare un disco molto riflessivo con un forte background spirituale. Partendo da questo presupposto ho pensato che il concept migliore sarebbe stato quello sulla “lophophora” che inevitabilmente mi avrebbe condotto ai nativi americani e al Ghost Dance Movement.
Leggendo la storia di Wovoka e di questo movimento sono venuto a conoscenza del massacro di Wounded Knee Creek a cui è stato dedicato veramente poca attenzione secondo il mio modesto parere.
Di questo movimento mi ha colpito la loro consapevolezza di essere una cosa sola con la natura e con l’universo. Questo approccio è tra l’altro l’unico che riesco a comprendere quando si parla di spiritualità.
Purtroppo non abbiamo potuto godere più di tanto dei loro insegnamenti.
 
Davide
Lophophora… Nome scientifico del peyote. Mangiarne la polpa provoca amplificazione e distorsione delle percezioni sensoriali, visioni e perdita della nozione del tempo. Insomma una droga… Perché Lophophora?
 
Stefano
La Lophophora mi ha dato anche la possibilità di approcciarmi al discorso “droga” da un altro punto di vista ben diverso da quello legato dallo sballo del “sabato sera” o dall’assunzione di droga a scopi per così dire “ricreativi”.
In un modo o nell’altro dall’antichità all’età moderna l’uomo ha sempre fatto uso di sostanze per i più svariati motivi ma quello che mi intriga maggiormente è l’assunzione di droghe per un fine religioso e spirituale. Proprio come avveniva durante la Ghost Dance dove il peyote veniva assunto per raggiungere un livello superiore di coscienza. Uno stato di Trance che solo pochi eletti potevano raggiungere. è stato molto piacevole vedere che a volte la spiritualità può essere totalmente scollegata dal potere, il denaro e la sopraffazione.
È stato davvero bellissimo comporre musica su questo materiale di partenza.
 
Davide
Quali sono i tratti salienti e programmatici del tuo progetto solista, dE-NOIZE?
 
Stefano
È l’unico progetto dove controllo al 100% ogni aspetto e soprattutto dove sono totalmente libero di esprimermi a livello compositivo.
Ora come ora ho suonato o registrato materiale nei più svariati generi musicali.
Basterebbe mettere a confronto i miei attuali progetti principali, psychofagist e Ferrian’s NUTIMBRE per capire quanto sia grande la differenza a livello compositivo di due progetti del genere.
In dE-NOIZE posso dire di essere io al 100% con tutti i pro e i contro del caso ovviamente. Per un prossimo dE-NOIZE al momento ho qualche idea ma non ho ancora messo giù niente. Non intendo avere scadenze per questo progetto, semplicemente mi piace prendere le cose al momento giusto.
 
Davide
Quando hai cominciato ad appassionarti alle avanguardie e perché?
 
Stefano
Non sono appassionato di avanguardie ma di musica. In fin dei conti troppo spesso si definisce come avanguardia qualcosa di difficilmente fruibile o accessibile dai più ma nella storia della musica ci sono stati artisti che hanno letteralmente abbattuto questo concetto.
Personalmente mi appassiona De Andrè quanto i Ground Zero, Braxton quanto Sonny Rollins.
 
Davide
Rifiuto il concetto di esperimento, di ricerca nella sfera dell'arte. Qualsiasi ricerca in questo ambito, tutto ciò che chiamano pomposamente "avanguardia" è semplicemente menzogna (Andrej Tarkovskij). Qual è il senso dell'avventura che contraddistingue le tue ricerche?
 
Stefano
Credo sia semplicemente un attitudine. Ci sono persone che trovano soddisfazione nel seguire sempre le stesse strade e ce ne sono altre che dopo un po’ si stufano e cercano qualcosa di nuovo. l’importante è essere onesti in quello che si propone soprattutto se si parla di arte.
La cosa difficile nelle “avanguardie” è cercare di togliere il pregiudizio dalle orecchie di un ascoltatore inesperto.
Per fare un esempio basterebbe proporre “Summertime” in una delle innumerevoli versioni cantate e poi farla ascoltare nella versione di Alber Ayler. In questo caso sicuramente Ayler sarebbe percepito come appartenente al mondo dell’ “avanguardia” se ascoltato da un orecchio inesperto.
Quindi in sostanza . . . ci sarà avanguardia finchè ci sarà ignoranza nel mondo della musica. È un po’ come dire che il peccato è nell’occhio di chi guarda e in un certo senso è proprio così. Solo questione di abitudine all’ascolto e di apertura mentale.
 
Davide
Veniamo ad Aurelia aurita, The Radiata 5tet (dEN003). Ci presenti la formazione e come nasce questo lavoro, intorno a quale idea?
 
Stefano
Il nucleo fondamentale del Radiata 5tet nasce dal trio con me, Cecilia Quinteros e Luca Pissavini. Cecilia è una violoncellista molto brava di Buenos Aires mentre con Luca (al contrabbasso, ma anche autore delle liriche di Aurelia Aurita) ho collaborato in diversi progetti sia in studio che dal vivo e al momento siamo impegnati col NUTIMBRE. Per Radiata avevamo pensato di creare una formazione “inusuale” con tromba e voce, quindi è stato inevitabile chiamare Vito Galante alla tromba e Claudio Milano per la voce e devo dire che il risultato è stato molto interessante. Tutti i musicisti coinvolti in questo progetto hanno una forte personalità e un ottima padronanza del loro strumento caratteristiche fondamentali per creare un album di così difficile realizzazione.
 
Davide
C’è stato un approccio libero all’improvvisazione (free jazz e free improvisation o “non idiomatica”)? Qual è il vostro approccio di rottura totale da ogni struttura, melodica, armonica e ritmica, a completo arbitrio dei solisti? Qual è insomma il vostro approccio in questo senso al’improvvisazione?
 
Stefano
Un aspetto fondamentale per l’improvvisazione è la capacità di saper ascoltare dato che tecnicamente è paragonabile in tutto e per tutto a una conversazione. In secondo luogo è fondamentale avere un rapporto profondo con il proprio strumento e la consapevolezza che spesso “meno corrisponde a tanto”. Il rischio è che ognuno suoni troppo in un progetto del genere ma in Radiata secondo me c’è un buon equilibrio tra tutti i musicisti coinvolti.
Alcuni brani avevano un canovaccio da seguire che delimitava gli spazi di intervento di ognuno. Altri sono stati creati con tecniche di conduction mentre la minoranza sono il frutto di una vera e propria improvvisazione. Per la maggioranza dei brani parlerei di instant composing.
 
Davide
Cos’altro c’è o ci sarà in catalogo?
 
Stefano
Prima dell’estate ci sarà una delle prime pubblicazioni importanti per dEN Records. Si tratta di una registrazione con Mats Gustafsson, Raymond Strid e John Russell.
Sono veramente felicissimo di poter dare alle stampe un cd con artisti di così elevata importanza e talento. Successivamente uscirà un mio progetto chiamato FMS trio con due musicisti Norvegesi, Adrian Myhr (Contrabbasso) e Tore Sandbakken (Batteria). Dopo l’estate ci sarà probabilmente un’altra uscita molto importante ma per il momento preferisco non annunciarla…
Per quanto riguarda i progetti già disponibili vi rimando al sito dell’etichetta www.denrecords.eu dove nella sezione “release” trovate tutte le informazioni necessarie su ogni progetto più diverso materiale audio.
 
Davide
Colpisce anche l’eleganza e l’invenzione di insolite confezioni ai cd della dEN. Perché la scelta di un packaging sicuramente dispendioso per una piccola etichetta indipendente?
 
Stefano
Questo aspetto è stato curato in collaborazione con un mio caro amico e gran designer, Davide Soldarini. Sinceramente siamo arrivati a questa soluzione perché da un po’ di tempo sono veramente stufo dei classici packaging basati su immagine di copertina, retro e serigrafia CD. Siamo veramente alla saturazione dell’immagine.
Da qui l’idea molto semplice ma allo stesso tempo innovativa di riuscire ad ottenere copertine differenti con due semplici elementi, la custodia in cartoncino e il libretto interno che uscendo sul fronte può creare un gran numero di forme diverse.
Ti dirò pure che non è per niente dispendioso come packaging, forse sarai sorpreso di sapere che l’elemento più costoso è proprio il CD-Audio serigrafato.
 
Davide
Cosa farai a seguire?
 
Stefano
Al momento vorrei concentrarmi sui miei progetti principali, .psychofagist., Ferrian’s NUTIMBRE, FMS Trio, dE-NOIZE e la seconda parte dell’Impro Connection Tour II che vorrei organizzare per Novembre. Ovviamente tra un impegno e l’altro devo anche cercare di occuparmi di dEN Records . . . quindi come ben puoi capire sono sempre sommerso di lavoro. La speranza e che si cominci a raccogliere anche qualche frutto prima o poi!!!
 
Davide
Ci date qualche link utile ad approfondire il vostro lavoro? Grazie e à suivre…
 
Stefano
Per quanto mi riguarda tutte le info sono disponibili su www.denrecords.eu mentre le mie pagine personali sono stefanoferrian.wordpress.com o www.myspace.com/denoizeproject
 
Claudio
www.claudiomilano.it  (il mio sito)
 
Grazie a te Davide.
 
Erna Franssens aka Kasjanoova 

 

1 thought on “Intervista con Claudio Milano e Stefano Ferrian

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