Non puoi attraversare il mare
semplicemente stando fermo e fissando le onde.
Non indulgere in vani desideri.
Rabindranath Tagore
Il termine indica quel sinistro che provoca la perdita totale di una nave (o di un aeromobile) in navigazione, o che rende il natante stesso non più utilizzabile, in tutto o in parte, per la sua funzione principale. A tale evento sia il Diritto Penale sia il Diritto della Navigazione (branca del diritto relativa all'insieme di regole che disciplinano la navigazione marittima ed aerea, di tipo commerciale e non commerciale
[2]), dedicano numerose fattispecie normative.
Il Codice Penale italiano prevede la figura criminosa del
naufragio (art. 428 C.P.
[3]), secondo cui “
Chiunque cagiona il naufragio o la sommersione di una nave[4] o di un altro edificio natante, …, di altrui proprietà, è punito con la reclusione da cinque a dodici anni…”, e del
danneggiamento seguito da naufragio (art.429 C.P.), per cui “
Chiunque, al solo scopo di danneggiare una nave, un edificio natante[5]…, ovvero un apparecchio prescritto per la sicurezza della navigazione[6], lo deteriora, ovvero lo rende in tutto o in parte inservibile, è punito, se dal fatto deriva pericolo di naufragio, di sommersione …, con la reclusione da uno a cinque anni. Se dal fatto deriva il naufragio, la sommersione o il disastro, la pena è della reclusione da tre a dieci anni”.
Dunque, prima di tutto, per aversi “tecnicamente” naufragio non è necessario che la nave sia completamente affondata, come si desume chiaramente dalla previsione autonoma che il legislatore ha fatto della “sommersione”, la quale si verifica quando il natante viene totalmente ricoperto dall'acqua. L'evento si realizza anche quando riguardi una sola parte del natante (es.: la prua), purché sia venuta meno la galleggiabilità della nave (Corte Suprema di Cassazione, Sez. IV, sent. n. 10391 del 06-10-1987). Il dolo (l’intenzione del responsabile), in questo delitto, consiste nella coscienza e volontà del causare il naufragio (o la sommersione), mentre per la configurazione effettiva del reato dell'art. 429 C.P. è necessario che la condotta dell'agente abbia prodotto perlomeno una “situazione di pericolo” concreto per la pubblica incolumità, tanto che l’effettivo verificarsi del naufragio, della sommersione o del disastro, devono ritenersi come circostanze aggravanti rispetto all'ipotesi di reato-base prevista dal primo comma, con conseguente aumento delle pene.
L’ipotesi di reato appartiene alla categoria dei “delitti contro l’incolumità pubblica”, essendo scopo della norma quello di tutelare la sicurezza generale dei cittadini a fronte dei danni fisici e materiali derivanti dal malfunzionamento, imputabile all’uomo, dei mezzi di trasporto navali. Una recente Sentenza della Corte di Cassazione arriva ad affermare che risponde del reato di
naufragio e del reato di
omicidio plurimo dei naufraghi, il soggetto (c.d. scafista), che abbia partecipato all'organizzazione del
trasporto illegale di immigrati clandestini procurando l'imbarcazione fatiscente sulla quale sia stato caricato un numero eccessivo di persone, qualora, nel realizzare la condotta ad altro scopo (cioè per il lucro derivante dall’attività criminosa), si sia rappresentato la concreta possibilità del verificarsi di queste ulteriori conseguenze, per effetto dell'affondamento del battello o dello scontro tra imbarcazioni, e
abbia agito accettando il rischio di cagionarle[7]. Quanto ai rapporti tra il delitto di naufragio e quello di strage (art. 422 C.P.
[8]), la Giurisprudenza sottolinea che se il fatto è commesso al fine di uccidere, si applica l'art. 422, anche se non ne è derivata la morte di alcuno. Se si verifica la morte di una o più persone, ma manca il fine di uccidere, si applica l'art. 428 in concorso con l'art. 586 C.P. (morte o lesioni come conseguenza di altro delitto
[9]).
Il citato art.428 C.P. specifica anche che “La pena è della reclusione da cinque a quindici anni se il fatto è commesso distruggendo, rimuovendo o facendo mancare le lanterne o altri segnali, ovvero adoperando falsi segnali o altri mezzi fraudolenti.”, espressione con la quale il legislatore si riferisce a tutte le condotte che abbiano l'effetto di indurre in errore il personale di bordo preposto alla determinazione della rotta e, più in generale, alla sicurezza della navigazione.
Appare evidente che nel caso “storico” del naufragio del piroscafo “Titanic”, di cui si è ricordato il centenario in questo aprile 2012
[10], e del più vicino a noi, e recente, incidente della nave “Costa Concordia” ci troviamo di fronte a casi di “naufragio colposo”, ipotesi per le quali il Codice Penale prevede un’apposita fattispecie”generale” all’art.449, rubricata “Delitti colposi di danno”
[11].
“
Chiunque, … cagiona per colpa un incendio, o un altro disastro preveduto dal capo primo di questo titolo, è punito con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è raddoppiata se si tratta di disastro ferroviario o di naufragio o di sommersione di una nave adibita a trasporto di persone o di caduta di un aeromobile adibito a trasporto di persone”; ricordiamo che “
il delitto è colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche se preveduto, non è voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline”: la condotta deve essere attribuibile alla volontà del soggetto anche se il conseguente evento delittuoso non deve essere voluto, neanche in modo indiretto, ma l’evento si è verificato per violazione di regole di condotta, sia giuridiche che prudenziali (art. 43 C.P.)
[12]. Nel caso in cui dal disastro derivi la morte o le lesioni personali di persone, si configura il concorso fra il delitto di naufragio colposo e quelli di omicidio colposo e lesioni personali colpose
[13].
Il Diritto della Navigazione considera il naufragio quando la nave (o l’aeromobile) sia ridotta allo stato irreparabile di relitto non più idoneo alla navigazione, caso in cui, oltre alle conseguenze che si riflettono principalmente nel campo assicurativo, si procede alla cancellazione del natante dal registro di iscrizione, oltre che alla redazione di un verbale di “scomparizione” (art. 209 C. N.). Gli art. 1122 e 1123 del Codice della Navigazione stabiliscono aumenti di pena, rispetto ai limiti già richiamati dalle due corrispondenti fattispecie “dolose” del Codice Penale, se i fatti, sia nell’ipotesi del causato naufragio che del danneggiamento “colposo” con pericolo di naufragio, sono commessi da
membri dell’equipaggio e ancor più se ne è autore il
Comandante[14].
La figura del Comandante assume un ruolo centrale nell’evento naufragio. Egli è il rappresentante dell’armatore (al quale spetta la facoltà di nominarlo e dispensarlo, in qualsiasi momento, dal comando-art.273 C. N.), ma costituisce anche un centro di imputazioni di impronta pubblicistica, che superano il semplice ruolo di rappresentanza
[15]. E’ il capo dell’equipaggio, deve essere munito della prescritta abilitazione e gli spettano compiti direttivi e organizzativi. Egli è investito, poi, di altri poteri-doveri come “capo della spedizione” e nell’interesse pubblico di questa (es. verifiche alla nave e al carico, rifornimenti e provviste, tenuta dei documenti di bordo, direzione della manovra, provvedimenti in caso di pericolo). Il Codice della Navigazione punisce espressamente
l’abbandono abusivo del comando (art. 1116 C. N.), come lo stato di
ubbriachezza del Comandante “…
che si trova in tale stato di ubriachezza, non derivata da caso fortuito o da forza maggiore, da escludere o menomare la sua capacità al comando o al pilotaggio, è punito con la reclusione da sei mesi ad un anno…
(III comma) Le precedenti disposizioni si applicano anche quando la capacità al comando o al servizio è esclusa o menomata dall'azione di sostanze stupefacenti” (Art.1120 C. N.)
Ma l’art. 302 C. N., I comma, ancora prima, recita: “Provvedimenti per la salvezza della spedizione. Se nel corso del viaggio si verificano eventi che mettono in pericolo la spedizione, il comandante deve cercare di assicurarne la salvezza con tutti i mezzi che sono a sua immediata disposizione o che egli può procurarsi riparando in un porto ovvero richiedendo l'assistenza di altre navi”. Ancora, al culmine della situazione critica del natante, l’art. 303 C. N., stabilisce: “Abbandono della nave in pericolo. Il comandante non può ordinare l'abbandono della nave in pericolo se non dopo esperimento senza risultato dei mezzi suggeriti dall'arte nautica per salvarla, sentito il parere degli ufficiali di coperta o, in mancanza, di due almeno fra i più provetti componenti dell'equipaggio.
Il comandante deve abbandonare la nave per ultimo, provvedendo in quanto possibile a salvare le carte e i libri di bordo, e gli oggetti di valore affidati alla sua custodia”.
Un principio, quest’ultimo, talmente radicato nelle antiche regole consuetudinarie della marineria da essere, non solo codificato nella norma, ma anche dotato di significativa sanzione penale in caso di violazione, tanto che l’art. 1097 C. N. “Abbandono di nave o di aeromobile in pericolo da parte del comandante. Il comandante, che, in caso di abbandono della nave, del galleggiante o dell'aeromobile in pericolo, non scende per ultimo da bordo, è punito con la reclusione fino a due anni.
Se dal fatto deriva l'incendio, il naufragio o la sommersione della nave o del galleggiante, ovvero l'incendio, la caduta o la perdita dell'aeromobile, la pena è da due ad otto anni. Se la nave o l'aeromobile è adibito a trasporto di persone, la pena è da tre a dodici anni.” (è anche prevista una pena accessoria, in caso di condanna superiore a cinque anni, cioè l’interdizione perpetua “dai titoli ovvero dalla professione”).
Per concludere, non è difficile comprendere come questi eventi drammatici, quando non catastrofici, nelle loro proporzioni e nei loro coinvolgimenti umani, presentino all’Autorità Giudiziaria competente a giudicare, un compito molto gravoso nell’attribuire la responsabilità penale e nel valutarne la gravità. Come sempre ci auguriamo che questo obiettivo sia raggiunto in tempi ragionevoli, realizzando appieno la Giustizia.
Non si lagni del mare chi vi naufraga due volte.
Proverbio tedesco