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Il cameriere di Borges – Fabio Bussotti

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Perdisa Pop (Bologna, 2012)
pag. 291, euro 16.00.
 
Questo è un film in carne e ossa. La desueta espressione, il periodo un po' naif è utile esclusivamente per sintetizzare in forma descrittiva l'impressione che ha voluto riservarci la lettura del romanzo dell'attore e drammaturgo Fabio Bussotti, "Il cameriere di Borges". Annunciamo, innanzitutto, che sono stato spronato nel prendere prima possibile il libro in mano, grazie a Marino Magliani che ha intervistato l'autore per La poesia e lo spirito. Detto ciò, elemento relativamente anzi scarsamente significativo, vediamo la trama (perché si può davvero seguire alla stregua d'una pellicola) dell'opera – dentro la quale lo scrittore si prende la briga di auto-citarsi, per giunta. Né thriller, né spionaggio. Niente atmosfere da 007 di provincia nonostante e tranne per la presenza d'un poliziotto: della polizia. Evaristo Torriani e/o Vincenzo Bellini costringe infatti il commissario Flavio Bertone, già marito di Giuliana e amante appassionato di Mafalda, a spuntare come un un funghetto – lì con la spagnola Mafalda – nell'Argentina dei desaparecidos degli anni di Videla, di J. L. Borges, di Soriano e, soprattutto,  d'Alfonsina Storni. Dall'Esquilino di Roma. Amico di Che Guevara e Salvator Allende in giovinezza, poi agente dei servizi segreti e, infine, anche cameriere personale di Jorge Luis Borges, Bellini/Torriani metterà tutti i misteri possibili e immaginabili, ancorché inimmaginati, nella mente e nelle giornate di Bertone. Alcune vicende non possono che ricordare i segmenti di certi romanzi statunitensi, vedi addirittura alcune scene di Gischler, o gli europeissimi di Pagan. E nelle pagine fanno persino capolino i servizi segreti. Ma il salto di qualità del libro, al di là della scrittura composta e veloce che lo regge, è nelle interruzioni del presente. Ché queste ridanno la magnetica pericolosità di fattori della Storia che nemmanco la fiction più pura possono farci scordare.

 

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