Questo è uno di quei racconti che potrebbero iniziare con: "tanto tempo fa in una galassia lontana lontana…".
E' solo che, anche se si tratta di qualche tempo fa, è accaduto proprio qui sulla Terra, a Modena, nei pressi di casa mia.
Io e Marco avevamo finito il servizio militare da un mese scarso: era l'estate del 1994. Marco (per qualcuno il Dengo), ha sempre avuto una marcia in più con l'informatica, ma quel tempo ero forse un esperto anche io, essendo tra i pochi che aveva provato il Basic su un Commodore 64. Era il tempo in cui c'era DOS 3.3 sui 386 per chi poteva permettersi una "bella macchina", tempi in cui Internet esisteva già, ma da noi era inaccessibile, ed erano in pochi anche quelli che utilizzavano le BBS!
Il codice di Marco era servito per creare un eseguibile, pensato per essere una rivista multimediale. Che, se non era la prima, sicuramente era tra le prime in assoluto. E di certo comunque era la prima multimediale underground italiana!
Grazie a questo programma tutti insieme potevamo pubblicare parole, colori e suoni, cercando però di fare stare tutto in soli 1,44 Megabyte. Il vincolo era dettato dal fatto che i floppy erano praticamente l’unico supporto diffuso ed era proprio su questo supporto che dovevamo farla girare. Ma così la "rivista" poteva essere copiata e distribuita gratuitamente. Con me e Marco, nominato all'unanimità direttore responsabile, c’erano altri creativi articolisti cofondatori come Massimo, Gianluca, Fabrizio a cui si è aggiunto, poco tempo dopo, Thomas, per la parte musicale prima, e addirittura la sintesi vocale poi.
L'idea ci sembrava veramente brillante e innovativa, ma il problema era che il passaggio del floppy tra amici e conoscenti mi sembrava limitare troppo la diffusione di quanto stavamo realizzando. Perciò si pensò di proporre la rivista nelle biblioteche della nostra città, tenendo conto che il floppy, di fatto, poteva essere preso in prestito, copiato e restituito.
Andammo quindi, motivati dal nostro utopistico sogno, nella biblioteca di quartiere più vicino a casa mia – quella di Buon Pastore, perchè le circoscrizioni nel '94 forse non erano ancora come ora. Lì trovammo il lungimirante Walter, che ascoltò solo metà del nostro discorso, prima di interromperci per fare una telefonata.
Compose un numero e, cambiando espressione, disse: “Lei è in ritardo sulla consegna del libro di un paio di settimane: fosse per me questo tipo di mancanza dovrebbe essere un reato punibile con la fustigazione. Sappia che io chiudo la biblioteca tra 20 minuti, se restituisce il libro entro quel momento non conoscerà la Mia collera.” (Ok, ammetto che ho un po' romanzato, ma vi assicuro che l’ho fatto meno di quello che potete pensare).
Il tono era minaccioso, ma tornò pacato appena si rivolse nuovamente a noi, e in quel momento capii che era la persona giusta!
Ah, inutile dire che il libro della famosa telefonata fu restituito prima della scadenza dei 20 minuti!
Finimmo di illustrargli il nostro progetto e un paio di mesi dopo KULT Underground era disponibile in biblioteca come mensile in prestito. Contattammo anche la biblioteca civica Delfini dove, ogni mese, portavamo un paio di copie del nostro "dischetto libero", in modo che potess essere preso in prestito e copiato. E in altre città qualche volenteroso simpatizzante faceva lo stesso.
Io, al tempo, scrivevo di scacchi e, ancora oggi capita che Marco mi giri mail di chi chiede ancora specifiche su una qualche scacchiera elettronica che ho recensito oramai quasi 20 anni fa, quando tra l’altro l'indirizzo e-mail non sapevo neppure cosa fosse.
I tempi sono cambiati, ma tra virus, tablet, ADSL e un panorama che offre di tutto di più, tra luci e colori, lo spirito di KULT mi pare ancora immutato. Vedere tante persone unite dal piacere di condividere qualcosa, all’interno di uno spazio comune, mi fa quasi pensare che l’idea di questa rivista libera e gratuita sia forse "ancora innovativa".
Io, in questo racconto, ho ricordato Walter perché fu uno dei primi a darci una mano. Ma il mio grazie va a tutti i Walter che ci hanno fatto raggiungere il numero 200 dopo quasi 20 anni.
Non c'era una divisione netta dei compiti, in quel lontano 1994, ma ammetto che il ruolo di Federico Malavasi (più avanti definito appunto PR, oltre che articolista) è stato fondamentale – perché è grazie al suo carattere estroverso che la rivista non è mai rimasta chiusa, ma ha da subito cercato uno spazio reale, oltre che virtuale.