KULT Underground

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Intervista con Davide Riccio

13 min read
 
Cantus volat signa manent
a cura di Davide Riccio
Genesi Editrice
 
Conosco Davide Riccio come amante della musica, musicista e sopraffino intervistatore. Come pochi riesce con le sue domande ad essere specchio dell'altro, dove il domandare è l'indicazione di un nuovo orizzonte.
Non mi stupisce quindi che il volume Neumi. La musica che lascia il segno, sia frutto proprio di questa pluralità di orizzonti per la realizzazione e l'interpretazione di brani che vengono scovati nel letto del tempo. Davide Riccio mette insieme un'opera generosa e densa di stimoli, corale eppure con una precisa direzione, mostrando la sua capacità di lasciare il segno senza apparire in primo piano.
Un libro – in italiano e in inglese – con cd allegato, 18 brani per 18 stimoli sonori e visivi.
Francesca Grispello
 
 
 
Francesca
Chi è Davide Riccio?
 
Davide

Eh, a sapermelo! Ma io non lo so, non lo so e mi aggrappo a questo come alla salvezza di un corrimano… per dirla con le struggenti parole di Wislawa Szymborska. Le sia eterna gloria.

 
Francesca
Un libro che raccoglie i segni della musica. Come nasce Neumi?
 
Davide
In generale sono affascinato dalla storia perduta dell’umanità. Mi piace leggere  libri tipo “Le antiche civiltà antidiluviane” di Ian Lawton, e poi Graham Hancock, Zecharia Sitchin, Peter Kolosimo, Erich von Däniken… Sono convinto che l’umanità abbia vissuto altre civiltà anche tecnologicamente progredite, poi perdute. Ma, stringendo il campo, forse farà sorridere, a Neumi ci sono arrivato un po’ per caso mentre mi occupavo di un articolo sul cantante finlandese Jukka Ammondt, che anni fa (lo dico con affetto) ha terribilmente tradotto e cantato Elvis Presley o Jerry Lee Lewis in latino (Quate, Crepa, Rota… Shake, rattle and roll…!) e cose come Blue suede shoes di Carl Perkins e altri classici del rock’n’roll in sumero.
Ho così scoperto l’esistenza di tavolette babilonesi su cui, con caratteri cuneiformi, erano trascritti anche dei canti, inclusa la musica. È la prima musica che sia mai stata scritta, la più lontana mai pervenutaci anche per intero, come  l’Inno di Hurrian (1.200-1.400 a.C.), riproposto in “Neumi” grazie alla ricostruzione fatta dallo studioso americano Joe Monzo e all’ottima  interpretazione di Mirco “Ashtool” Rizzi e Oscar Mucci. Un altro frammento da tavoletta babilonese del 2000-1700 a.C., in realtà solo una scala sulla quale ho basato una composizione d’atmosfera jazzy dall’effetto un po’ cupo e straniante eppure  intimista  alla Lynch/Badalamenti (grazie soprattutto ai cori di Marco Barluzzi e Selene Bortot), ho utilizzato io per “Baby Lone”. Ho poi scoperto di tutto, da http://www.schoyencollection.com a dischi favolosi come Musique de la Grèce Antique dell’Atrium Musicae di Eduardo Paniagua… Più del neuma medievale, di cui sappiamo quasi tutto, ero inizialmente attratto da tutto ciò che è praticamente scomparso, per immergermi in quei modi “altri”, arcaici e perduti, di intendere e concepire la musica insieme al problema di tramandarla, di consegnarla agli altri, al futuro.
In “Neumi” ho comunque usato diversi reperti collezionati dallo storico norvegese Martin Schøyen, a cui ho chiesto l’utilizzo per il progetto.
Come scrivo nell’introduzione del libro – se vuoi un po’ da romanzo di fantascienza post-apocalittico -,  ho quindi riunito molti musicisti di varia provenienza e di vario genere musicale, tutti accomunati dal gusto e dal desiderio di sperimentare nuovi territori di ricerca, intorno a tempi e modi altri e lontani, rari o perduti per sempre, di fare e tramandare musica. Come uomini del futuro (il che già siamo) che abbiano perso il proprio passato e, ritrovandone tracce misteriose e dimenticate, cerchino di riportarlo in vita in chiave moderna, contemporanea. Ma poi, come dice l’installazione blu al neon di Maurizio Mannucci alla GAM di Torino: All art has been contemporary
 
Francesca
Come hai messo insieme il materiale?
 
Davide
Soprattutto basandomi sulla collezione di Martin Schøyen ma non solo, avendo iniziato subito altre ricerche che mi hanno portato ovunque, dalle partiture-calligramma della ars subtilior all’esagramma di Johann Presbyter del ‘700 e centinaia di proposte di riforma della notazione fino alle partiture  alternative del futurismo (Luigi Russòlo per i suoi intonarumori a esempio, riletto nel progetto da Maurizio Pustianaz, in arte Gerstein, e dai suoi sequencer) e della musica elettronica di Bussotti, Xenakis e altri ancora. In Neumi è tra gli altri presente Luca Attanasio, che per altro ha elaborato insieme a Pierpaolo Beretta un sistema microtonale detto esadecafonico (Armodue), basato su una scala equalizzata di sedici note invece che le dodici del temperamento equabile, il che ha richiesto anche a loro un'altra più appropriata semiografia musicale. Quanto al flautista Gregorio Bardini, aveva già inciso Kele Kele di Komitas Vardapet (Cd Komitas) con il pianista Paolo Longo Vaschetto. Un brano così bello che non potevo non chiederglielo in prestito per Neumi. Lui ha studiato i neumi armeni. Krell (con Paola Bianchi e Andrea Marutti) aveva già inciso la sua “Anubi” nel cd “Electronic Music of Dendera”, ispirato alle melodie di strumenti musicali e sonorità (chissà, forse, elettriche) degli antichi egizi di Dendera. Anche Marino Josè Malagnino e il Pss… Pss… Psss… Ensemble (qui composto da Teo Pace, Bruna Samele, Edi Leo, Pino Montecalvo e Stefano “Philippo” Sperandii) avevano già registrato il brano che poi ho rielaborato e ribattezzato Chironomia e Oralità. In effetti lui aveva girato l’Italia e l’Europa per un anno cercando di luogo in luogo musicisti da radunare intorno all’idea di improvvisare sulla base di quel che suggeriva loro nell’orecchio e attraverso la gestualità: quasi come i chironomi greci o egizi.
 
Il resto è stato da me richiesto o commissionato. Ci sono voluti quattro anni. Non mi piace dare scadenze. A parte le immagini e qualche notizia storica ho inoltre dato, come si suol dire, carta bianca.  
 
Francesca
Come hai scovato gli artisti?
 
Davide
Da collaborazioni precedenti o in corso come musicista, oppure man mano che acquisivo dischi di artisti per i miei articoli e le mie interviste (www.kultunderground.org) Ho coinvolto, anzi, si sono coinvolti gli artisti che sentivo più consoni per questo progetto.
 
Francesca
Il neuma "ossia segno, cenno, è un antico segno della notazione musicale. Fu utilizzato nel corso di tutto il Medio Evo, in particolare nel canto gregoriano." In Neumi però il viaggio si allarga più indietro nel tempo e in aree geografiche diverse. Come hai iniziato e quali difficoltà hai avuto nella tua ricerca?
 
Davide
Va detto infatti che in Neumi non ci sono solo partiture musicali antiche, neumatiche in senso stretto, come nell’Inno di Giovanni di Girolamo De Simone, nel Salmo 60 (notazione mensurale francese) di Claudio Milano, Carola Caruso e Stefano Delle Monache; o nel Kyrie eleison di una partitura neumatica scandinava a neumi cosiddetti a testa di martello dei Deadburger; o ancora nel Dies Irae di Joe Raggi (Roulette Cinese) con Luca Urbani e nel Pastor Animarum di Hildegard Von Bingen meravigliosamente rifatto da Leonora (Eleonora Cardellini)…  Preziosissima anche la rilettura al violoncello fatta da Zeno Gabaglio della notazione neumatica di “Mi-al har horev” da parte di Oppido Lucano: è la più antica melodia ebraica finora nota che sia mai stata trascritta.
A queste interpretazioni si aggiungono invece quelle in cui si è anche giocato un po’. Alessandro De Caro, per esempio, ha basato la sua cantata “Kirielle” creando una notazione vettoriale mutuata dalla fisica e dalla matematica, cioè dalla teoria degli insiemi o modello di Ising. A IOIOI (Cristiana Fraticelli) ho proposto di reinterpretare il WOW! Signal, un presunto segnale radio extraterrestre rilevato dal dottor Jerry R. Ehman del SETI nel 1977. Ashtool ha liberamente e intuitivamente interpretato gli ideogrammi di un canto di genere saibara/gagaku, una musica/danza della corte giapponese. Anche Maoro Sanna ha riletto la notazione tibetana Yang-Yig di un manoscritto del diciannovesimo secolo con un glissato che ricorda la notazione usata dal biologo marino Roger Paine per trascrivere e studiare i canti delle megattere. Jacopo Andreini con il suo ensemble (Andrea Caprara e Francesco Di Mauro) ha riletto le poche note rimaste di un frammento di papiro egizio del 300 a.C., scritte con lettere dell’alfabeto greco, improvvisando il resto tra free jazz e jazzcore. Giocare con la musica (che non a caso è anche il titolo di un libro scritto da un gigante come Leonard Bernstein) è importante sempre, a qualunque età.
Anche grazie a internet non ho avuto particolari difficoltà nel reperire notizie, documenti e contatti. Bisognerebbe dare il Nobel a Bob Khan e a Vint Cerf.
 
Francesca
Scovare sistemi grafici di notazione musicale alternativi a quella che noi conosciamo (5 righe e 4 spazi) è un modo per reagire alla contemporaneità della musica liquida?
 
Davide
Il sottotitolo di Neumi è “Cantus volat signa manent”; ed è sicuramente una provocazione anche in questo senso. È importante recuperare il segno in anni di perdita delle competenze di lettura e scrittura musicale, contro le agevolazioni e la labilità dell’elettronica, della registrazione sempre più affidata soltanto alle capacità e alla memoria informatica e alla elettricità (non è detto che ne avremo per sempre). Dischi, nastri, cd… per quanto le discoteche di stato si possano sforzare di conservare in condizioni ottimali, non è detto che dureranno più di una incisione su pietra o su argilla, o perfino della memoria “orale” da maestro ad allievo (come nella musica per launeddas). Non è infatti detto che la nostra cultura possa continuare in eterno. I nostri supporti potrebbero diventare  ancora più illeggibili di un carattere cuneiforme se, per qualche motivo, venisse meno la nostra attuale civiltà… Prova a immaginare uno Champollion davanti a un geroglifico della stele di Rosetta e poi un futuro studioso equivalente davanti ai pits e lands di un frammento di disco di policarbonato… Sempre che il policarbonato si conservi tanto a lungo quanto una pietra…
Ti confesso però che sono nondimeno molto grato alla “musica liquida”. Fare un disco era già difficile una volta; oggi – a meno che non venga autoprodotto – anche peggio. Divulgare, anche gratuitamente, la propria musica per un musicista può essere  un aspetto molto importante.
 
Francesca
C'è qualcosa in comune tra un frammento di papiro egizio del 300 a.C e la composizione del futurista Luigi Russòlo?
 
Davide
Il bisogno di immortalità, di ampiezza, di condivisione e socialità contro la transitorietà, la finitezza e la solitudine della condizione umana.
 
Francesca
Qual è stata, se c'è stata, una interpretazione che più di altre ti ha emozionato?
 
Davide
Mi hanno tutte ugualmente emozionato. Ogni restituzione mi emoziona. Mi ha emozionato soprattutto la condivisione fin da subito seria ed entusiasta da parte di tutti per un progetto che è stato da subito percepito originale, affascinante. Ho poi un debole per ciascuna composizione… Sono tutte così diverse! Il maestro Girolamo De Simone mi ha però anche commosso. Nel giorno del mio compleanno mi ha donato un anteprima in videoclip su YouTube dell’Inno di Giovanni (da Guido d’Arezzo) improvvisato alla spinetta. La sua interpretazione, direi quasi impressionista, dell’Inno a San Giovanni di Paolo Diacono, le cui sillabe Guido Monaco usò per denotare e nominare gli intervalli dell'esacordo musicale, ponendo le basi della solmisazione, è splendida. Avere una sua esecuzione (al piano, quella definitiva) in chiusura è… come si dice jewel-bright…? Ecco, sì, una gemma splendente.
 
Francesca
Com'è nata la collaborazione con Genesi Editrice?
 
Davide
Conosco la Genesi editrice e Sandro Gros-Pietro dal 1982. È stato il primo editore (ma è anche un bravo poeta e un fine critico) a pubblicare le mie poesie nel 1985 e con lui ho anche pubblicato la raccolta “Povertissement” nel 2006. Ho collaborato per anni anche alla sua rivista di letteratura “Vernice”. Nasce insomma da trent’anni di amicizia e di stima da parte mia per la sua casa editrice, che da sempre stampa libri di qualità; da parte sua per il mio lavoro. Occorre però fare qualche precisazione. Il disco è stato prodotto da Ashtool con la sua Into my bed records. Il libro si è reso necessario per la grande quantità di immagini e di testo esplicativo, sia in italiano, sia in inglese (grazie alla traduzione di Paul Beauchamp, musicalmente noto come “Gullinkambi”). Un booklet non sarebbe stato sufficiente. E poi credo, in epoca di crisi del disco, nell’opportunità di creare dei begli “oggetti” appetibili, durevoli, insostituibili rispetto alla facile reperibilità smaterializzante e intasante della musica liquida, e pace alle teorie pur vere di Zigmunt Bauman. Il libro l’ho autoprodotto io rivolgendomi quindi alla Genesi editrice e ad Alessandro Casini dei Deadburger, che di professione fa il grafico (kane.it, creative graphic lab), per l’impaginazione.
 
Francesca
Quando nasce la tua passione per la musica? è stata una lunga frequentazione oppure una folgorazione?
 
Davide
Vediamo… A undici anni ho scoperto David Bowie e ho pensato: ecco, io sono così, voglio fare come lui… Mi ha fatto prendere la chitarra in mano e cantare le mie prime canzoni. O forse nasce a nove anni con Radio Activity dei Kraftwerk: quello era il futuro! Quello ero io! E tutto lo space rock di quel periodo… O forse a sei sette anni con un disco delle più belle pagine di musica russa (Borodin, Mussorgskij, Kachaturian, Cui, Rachmaninov, Rimskij-Korsakov…) e coi dischi di mia sorella, Suzi Quatro e gli chansonniers (Brel, Brassens, Moustaki, Polnareff…) O forse a due tre anni con Roby Crispiano e i FolksA piedi scalzi. Mia madre dice che facevo il verso per chiederle di mettere il disco e in qualche modo poi lo “ballavo” con gioia. E allora… eh eh eh eh… Io facevo solo gli “eh”… O forse è stato nel grembo… Mia madre cantava, ascoltava molto la musica e comprava un mucchio di dischi. Mio padre suonava diversi strumenti. O nelle vite precedenti? Mmm… mi perdo. Non so… Sicuramente una lunghissima frequentazione. Non ho mai avuto il coraggio di contare quante siano le migliaia di dischi che ho in casa. Mi mette ansia solo pensarci.
 
Francesca
Qual è stato l'artista che ha trasformato il tuo modo di ascoltare/sentire?
 
Davide
David Bowie e Kate Bush su tutti, ma anche Brian Eno e i Beatles. Anche i primi Pink Floyd (il lato A di Atom Heart Mother in particolare) e i Roxy Music. E poi Stravinsky, Ravel, Debussy, Bartok (gli archi dell’adagio del Piano Concerto n. 2 mi rapiscono ancora oggi) e lo Šostakovič dei Preludi e fughe o del Cello concerto n.1, un disco che ho letteralmente consumato, come anche il “Concerto degli Angeli” di Hindemith dal Mathis der Mahler… Poi i Japan e David Sylvian. Gli italiani sono venuti dopo, soprattutto Battiato, Faber, Alice, Paolo Conte, il Battisti periodo Panella… Notevoli anche i Matia Bazar degli anni d’oro. L’ultimo disco che mi ha scosso e sconvolto di pancia, di cuore e di testa è stato “Outside” di Bowie… Da allora nient’altro ha più avuto lo stesso effetto.
 
Francesca
Quando Platone morì, gli trovarono sotto il cuscino una commedia di Aristofane, quasi a dimostrare che la filosofia e la vita hanno bisogno del sorriso. Anche la musica si serve del sorriso?
 
Davide
In un universo senza scopo, tutto è uguale e nulla vale la pena di un serio pensiero. Non ci resta che cogliere ciò che preferiamo e sorridere… scrisse H.P. Lovecraft. La musica si serve, deve servirsi anche del sorriso, fosse anche un sorriso triste o amaro. Una musica che sorrida è però più difficile da individuare a prescindere dalla persona e dal momento molto soggettivo in cui vive e ascolta. Il primo a farmi sorridere, in vari modi, fu senz’altro De Andrè. Amaramente o compassionevolmente anche Leonard Cohen.   
 
Francesca
Scrive Dumal: "Lo stile è l'impronta di ciò che si è in ciò che si fa." Definisci il tuo.
 
Davide
Ho un bisogno inappagabile di conoscere. Quanto allo stile, non so poi bene di quali qualità e significati io sia il portatore fino a quando non siano gli altri a dirmelo. E anche allora non ne sono sicuro…
 
Francesca
Un libro, un disco, un piatto e una città e perchè?
 
Davide
Torino è la mia città. Torino è una città straordinaria, regale, misteriosa, ricca di inizi e di “iniziati”, di storie e personaggi più di ogni altra per me; è ricca di segreti e sinapsi che secondo me la innervano a qualunque altra parte del mondo e a qualunque punto della storia umana. Ma non te lo fa vedere subito, né mai lo scopri se non con amore e con fatica. C’è un gioco che faccio spesso mentalmente quando passeggio: penso a una cosa e cerco tutte le associazioni che mi riportino alla mia città. Non so, ti faccio qualche esempio… Indiani d’America, colonizzazione francese del Canada, Irochesi, reggimento dei Carignano in Canada nel 1667, fregio raffigurante una testa di indiano sulle finestre del piano nobile di Palazzo Carignano… Oppure: Nilo… il fiume Eridano, le origini egizie di Torino secondo Emanuele Tesauro e altre fonti antiche, il mito di Fetonte e la storia di un presunto faraone Phaeton col suo carro in corsa finito nel Po (una storia, che se vuoi, può portare perfino al Diluvio Universale per alcuni), la fontana dei Dodici Mesi al Valentino… O viceversa, partendo da una cosa che vedo per Torino…
Un disco? Uno qualunque di Kate Bush, oppure Heroes… Ma se cito Bowie poi non smetto. Almeno la trilogia berlinese.
Un libro? Oggi leggo quasi esclusivamente saggi, soprattutto storici, geografici, scientifici e artistici. Adoro allo stesso modo collezionare e guardare documentari. I romanzi non riescono più a darmi le sensazioni profonde che provavo da giovanissimo alle prime scoperte. I primi romanzi avevano un fascino che oggi non ritrovo più; penso sia un problema di esperienza di lettore e di età. Tra gli scrittori che più amavo c’erano Hesse, Bioy Casares, Buzzati, Calvino, Pavese, Bernhard, E.T.A. Hoffman, Lovecraft, Edgar Allan Poe, Maupassant, Dostoevskij, Kafka, Kerouac, Burroughs, Bradbury, Phil Dick, Shakespeare e poeti come Rilke, Rimbaud, Baudelaire, Montale… Ancora oggi preferisco comunque i classici. Oppure preferisco il cinema… “Departures” di Yojiro Takita e “The Turin Horse” di Bela Tarr sono gli ultimi capolavori che ho visto in questi giorni. “Una pura formalità” di Tornatore, un qualunque film di Kubrick, Herzog o quelli che ti ho citato prima valgono ciascuno quanto un romanzo, se non di più. Comunque, se devo scegliere un libro in particolare a rappresentarmi allora penso al tema faustiano, conosciuto da ragazzo in un trattato di Spies. Da ragazzo mi fece molta impressione. Direi quindi di sentirmi vicino al Doctor Faustus di Thomas Mann e al personaggio del compositore Adrian Leverkühn.
Infine un piatto… Amo tutti i vegetali. Adoro scegliere, lavare, tagliare, cucinare il mondo colorato delle verdure. Con la carne e gli animali ho una crescente difficoltà; forse sto diventando vegetariano.
 
Per avere una copia di Neumi:
 

 

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