ISBN-10: 8811670349
ISBN-13: 9788811670346
Editore: Garzanti (collana Narratori moderni)
2011, 323 p.
Cosa spinge una donna a diventare la prima serial killer della storia?
Questo libro è un diario immaginario della Contessa ungherese Erzsébet Bathory, la prima donna serial killer, i cui delitti siano stati documentati storicamente. Il personaggio storico della Contessa transilvana è indubbiamente affascinante tanto che, assieme a quello di Vlad Tepesh, sanguinario voivoda della Valacchia, ha ispirato Bram Stoker nella stesura di Dracula e nella creazione del mito del Vampiro. Tuttavia chiunque si aspetti un romanzo horror/splatter con minuziose descrizioni degli omicidi della Contessa e dei suoi leggendari bagni nel sangue delle vergini assassinate resterà deluso, perché troverà solo vaghi accenni a questi temi. Quello che troverà invece è una discesa vertiginosa all’interno della mente di un’assassina.
L’autrice immagina che la contessa scriva il diario mentre è murata viva nella torre del castello di Csejthe. Tuttavia l’originalità di questo libro sta nel fatto che gli avvenimenti della vita di Erzsébet ci vengono presentati dal suo punto di vista, che inevitabilmente assolve e giustifica anche le più crudeli atrocità che ha commesso. Il lettore si ritrova quindi ad osservare dall’interno della mente della protagonista il cammino che l’ha portata a diventare un’assassina, dall’infanzia segnata dalla vista di una crudele punizione inflitta ad uno zingaro fino agli atroci delitti da lei stessa perpetrati. Significativa è la descrizione di uno dei suoi ultimi delitti:
“Guardai giù, verso la ragazza, da una distanza che sembrava aumentare sempre di più. Più la guardavo, più mi sembrava brutta, la sua pelle rosa come quella di una scrofa, i suoi occhi muti, umidi e astuti. Pigrizia, avidità e disonestà, tutto in uno. Se fosse stata fedele, le avrei dato quella ciotola ben volentieri, l’avrei favorita tra tutte. Le avrei regalato una fortuna in vestiti e in dote e le avrei trovato un marito. Ma era grassa, stupida e inutile, più inutile di una vecchia mucca, che almeno poteva essere macellata per la cena. […] La stanza era poco illuminata e piena di facce, facce che sembravano prendermi in giro, ridere delle mie disgrazie, scovando sempre nuovi modo per rubare, mentire, fornicare. Disonestà ed inganno erano le uniche virtù per quelle sciagurate, che io avevo sempre cercato di aiutare”. Risulta evidente che la Contessa ha perso ogni contatto con la realtà e non attribuisce più alcun valore alla vita umana. Tutte le persone che la circondano le sembrano nemici che ridono di lei e vogliono approfittarsi del suo affetto e dei suoi beni. Tutti tranne i suoi figli, che ama appassionatamente, anche se non è capace di prendersene cura, delegando ad altri la loro educazione e la loro crescita. Questo delirio paranoico è stato alimentato nel corso della sua vita dagli innumerevoli tradimenti ricevuti, a partire dal marito, il Conte Ferencz Nasdasdy, che le è infedele, fino alle serve e agli amanti di cui si circonda dopo essere rimasta vedova. L’unico affetto sincero della sua vita è la sua serva e amica Darvulia, da lei amata come la madre affettuosa che non ha mai avuto. Ed è proprio Darvulia che le insegna, quando è ancora una giovane inesperta, a farsi rispettare dai suoi sottoposti con le punizioni e il terrore, abitudine di cui la Contessa diventerà presto una maestra.
Un’altra caratteristica della Contessa, volutamente amplificata dall’autrice, è il suo particolare “femminismo”. In un mondo e in un’epoca completamente dominati dagli uomini, che utilizzano il potere per raggiungere i propri scopi, Erzsébet, rimasta vedova in giovane età, si ritrova ad amministrare da sola un considerevole patrimonio e a poter decidere autonomamente il proprio destino. Alla fine sarà proprio questa, secondo l’autrice, la “colpa” più grave che la porterà alla condanna definitiva all’isolamento nel suo castello.
Sicuramente lontano dalla figura storica di Erzsébet Bathory, che si dice abbia torturato, massacrato e ucciso più di seicento donne, il libro riesce comunque ad appassionare e il lettore, arrivato all’ultima pagina, si accorgerà con un certo sgomento di aver parteggiato per il personaggio della Contessa, nonostante tutto.
Rebecca Johns, insegna al dipartimento di inglese della DePaul University, a Chicago e scrive su giornali e riviste. Il suo primo romanzo, Iceberg, è stato finalista all’Hemingway Foundation/PEN Award per romanzi d’esordio e ha ricevuto il Michener-Copernicus Award.