Titolo originale: Die grosse stille
Regia: Philip Grönig
Sceneggiatura: Philip Grönig
Fotografia: Philip Grönig
Montaggio: Philip Grönig
Anno: 2005
Nazione: Germania
Distribuzione: Metacinema
Durata: 162′
“Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre” (Geremia 20,7)
È inverno alla Grande Charteuse. Neve e nuvole. Il richiamo delle campane a scandire i tempi della giornata.
Un anziano monaco si appresta a confezionare l’abito per un novizio: con gesti lenti ed esperti distende la stoffa, controlla gli appunti con le misure, impugna le forbici. Il rumore del grosso tessuto tagliato. Un dettaglio sulla grande scatola dei bottoni recuperati all’insegna dell’economia e dell’essenzialità.
È una delle tante scene di lavoro alternato ad ampi tempi di preghiera che scandiscono il ritmo sempre uguale delle giornate presso questo monastero dei Certosini, uno dei più austeri del mondo, sulle Alpi francesi presso Grenoble.
Sedici anni fa il regista chiese ai monaci il permesso di filmare la loro vita, gli fu risposto “Non siamo pronti”. La sua lunga attesa è stata premiata ora e ne è scaturito un film assolutamente unico e di straordinaria forza, intessuto di silenzio esteriore e interiore, di calma e di pace: nessun lavoro è affrettato, molti gesti sono simboli che si ripetono da secoli sempre uguali a richiamare una continuità e un senso di comunione che va ben oltre il linguaggio parlato.
I monaci certosini trascorrono la maggior parte del loro tempo in silenzio, pranzano insieme soltanto la domenica e i giorni festivi, possono uscire in passeggiata e chiacchierare una volta a settimana. Sono isolati dal mondo, i giornali e le notizie giungono solo al priore, che vediamo usare anche il pc, per il resto la vita nel monastero è estremamente rigorosa, il cibo frugale, gli ambienti e l’arredamento spartani, poche le ore dedicate al sonno praticandosi la preghiera anche nel cuore della notte.
Il regista si sofferma spesso sull’immagine del monaco orante all’interno della sua cella: inginocchiato o seduto in lettura. Preghiera personale e preghiera comunitaria col suggestivo canto dei Salmi su ritmi antichissimi.
I monaci vivono immersi in una dimensione spirituale accentuatissima e, indugiando sui loro volti con i primi piani, il regista sembra ricercare il motivo della loro scelta, chiedersi se siano uomini come tutti gli altri e quale desiderio, quale forza li abbia portati fin lassù, silenziosi e isolati eppure sereni, capaci di godere delle bellezze naturali attorno a loro, lieti come ragazzini quando, durante una libera uscita, fanno le scivolate sul pendio innevato.
Una scelta folle agli occhi del mondo contemporaneo e delle sue logiche.
“Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre” (Geremia 20,7)
Una scelta spiegabile alla luce del versetto di Geremia: sedotti così tanto dal loro Signore da lasciare tutto nel senso letterale del termine, per dialogare quasi esclusivamente con Lui, che riempie le loro giornate e le loro notti.
I monaci respirano e vivono Dio continuamente in una dimensione pacificata e pacificante. Solo così la vita che conducono non si riduce ad alienazione, ma diventa appagante.
Il grande silenzio non è sinonimo d’isolamento o incomunicabilità, è comunione più alta attraverso la fede nel Dio comune, cui ciascuno si rivolge e che tutto conosce.
Niente altro conta. Solo Dio basta. Il mistero è tutto nella loro fede, in quel lumino rosso, segno della presenza di Dio, sul quale, durante i Salmi, tanto spesso la telecamera indugia. L’inizio e la fine, l’alfa e l’omega, volere e compimento di ogni azione umana sulla terra.
Quali colloqui, quale ascolto (il dettaglio sull’orecchio simboleggia bene questa dimensione) ogni monaco instauri col suo Signore è e rimarrà sempre un mistero, così come questo tipo di vocazione resterà sempre difficile da comprendere fino in fondo pur nello straordinario fascino che può esercitare.
“Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento.
Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto.
Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco.
Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero” (1 Re 19, 11-13)
Nel silenzio della Charteuse – e ben lo dimostrano alcune bellissime inquadrature della natura – si può cogliere quel “mormorio di un vento leggero” altrimenti travolto dal frastuono esteriore e soprattutto interiore, dalla fretta, dalla continua necessità di far fronte alle più svariate richieste.
La Chartreuse non è l’unico luogo o modo per realizzare la propria fede, è una delle infinite vocazioni che colpisce per la sua radicalità.
Le stagioni scorrono tranquille: dopo i rigori invernali ecco il gocciolio del disgelo, i primi fiori, ben presto tutto verdeggia, il monaco ortolano sceglie le sementi da piantare, innaffia le pianticelle. Persino un aereo che più volte si vede transitare nel cielo sopra il monastero è silenzioso, appartiene ad altra dimensione. Sapremo poi che un monaco partirà per Seoul, non ne conosceremo il motivo.
L’eloquente silenzio avvolge tutto, nessuno è solo o abbandonato, semplicemente la parola umana è ridotta all’essenziale. I gesti si susseguono: la rasatura dei capelli, i novizi che, una volta accolti fraternamente, s’abituano alla vita conventuale, i lavori, il respiro della vita tutt’attorno.
“Più si è vicini a Dio e più si è felici”. Sono le parole di un anziano monaco cieco. In poche, semplicissime frasi egli sintetizza il senso di un’intera esistenza. Solo Dio basta, solo Dio dà senso a qualsiasi evento.
Egli ringrazia il suo Signore per la cecità perché certamente sarà volta al bene della sua anima.
Frasi semplici e del tutto spiazzanti. Non ha paura della morte, perché avvicina a Dio e alla sua bontà. Non vi sono tristezza o disperazione in quest’uomo provato dalla malattia, così come non ve ne sono nell’anzianissimo monaco inquadrato nel suo letto, affaticato eppure sereno.
Uomini sedotti da Dio. Uomini che hanno trovato una pace interiore rara e ricercatissima. Non possiedono nulla, ma hanno già trovato tutto, hanno colto l’essenza dell’esistere.