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Super 8

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Prodotto da Steven Spielberg e diretto da J.J.Abrams (noto, tra le tante cose, per Lost, e il reboot del 2009 di Star Trek) è, a mio parere, il più “anni 80” tra i film NON prodotti negli anni 80. E questo un po’, chiaro, per l’ambientazione temporale (1979) ma molto di più perché, al di là di tutto, è un film che ha come protagonisti ragazzini, in una piccola città di provincia americana, d’estate, amici per la pelle, in giro in bicicletta, alle prese con una grande avventura, con adulti sospettosi o ostili, e con quel pizzico di sentimento che sa di dolce, di pre-amore, senza che sappia di altro o che sia mai stucchevole o sopra le righe. Super 8 ricorda E.T., ricorda i Goonies, ricorda Stand By Me. E decine di altri film che hanno “lasciato un segno” (cinematograficamente parlando) in una parte importante della nostra vita.
E li ricorda con una spolverata appena di nostalgia, ma rendendoli di nuovo attuali, moderni, perché attuale e moderno (nonostante il 1979) questo film è davvero. Perché riesce ad inserire alle tematiche dei film di allora, quel gusto più nuovo per le sfumature tra buono e cattivo, tra giusto e ingiusto. Perché la recitazione, gli effetti, le scelte di sceneggiatura e regia non sono anni 80, ma moderni. Quando Alice (Elle Fanning – la bambina di The lost room) recita nel cortometraggio dei suoi amici da, secondo me, il tono al tutto. Siamo “allora”, sì, ma c’è qualcosa in più.
Un qualcosa non di così netto, ma che alla fine ritocca senza guastare. Ed è quindi piacevole vedere Joe Lamb scappare da casa nella notte con i suoi amici per la pelle, come fa più che sorridere cercare di intravedere Spielberg o Abrams in Charles Kaznyk (un Riley Griffiths alle prime prove su schermo), vedere  le scene di famiglia o seguire i dialoghi non più attuali dei tanti personaggi secondari.
Buona prova per Kyle Chandler (papà di Joe, ancora incapace di accettare l’accidentale morte della moglie – Gary Hobson in Ultime dal cielo) e per molti degli altri adulti con un bel curriculum alle spalle, ma alla fine (come è giusto che capiti in film come questi) sono i ragazzini a prendersi tutti gli onori. I ragazzini e, senza dubbio, la sceneggiatura/la regia di uno dei nomi di punta del momento, che solo in poche occasioni realizza meno di piccoli capolavori.
Un bel film, per tutti (o quasi), forse un po’ sotto le altissime aspettative che la campagnia pubblicitaria (e i nomi in gioco) avevano sollevato, ma direi davvero un titolo da vedere e ricordare, per molti motivi. Anche, ad esempio, per il cortometraggio (alle fine montato) che si può ammirare durante i titoli di coda.

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