Armando Editore – 2007 – 12,00 Euro
Una visione apparentemente utopistica, che prende spunto e prestesto da letteratura e filosofia. Riferimenti mai gratutiti e comunque volti a rendere immagine e forza alla cultura, nella fattispecie aziendale, quale base di valori radicati, condivisibili, ma anche cardine di rivoluzione, innovamento, inteso come momento di confronto e adeguamento al nuovo, a partire dall’interazione positiva di più identità, libere di essere tali nella loro specificità e nondimeno consapevoli dell’intero processo produttivo. “A differenza del culto, la cultura è sempre frutto dell’interazione collettiva”. Parrebbe interessante ripercorrere come certi dogmi determinanti, nei risvolti, un pensiero unico, totalitario, vedono nell’Ottocento l’argine imposto ai ruoli protagonisti della religione sulla ricerca filosofica. Nel Novecento il perno della situazione si sposta sul travagliato tentativo di superare l’ideologia maturata nell’interpretazione della filosofia tra i nuovi equilibri pervenuti. Il tutto per arrivare, infine, a quel mercato globale parte di un feudalesimo decentrato nelle “reti oloniche” ma nondimeno convergente nell’impero di una comunicazione totale, capace di oltrepassare qualsivoglia dogmatica aziendale nonostante l’eredità di un Novecento tuttavia in grado di traslare ceneri ideologiche nelle strutturazioni aziendali. Quest’opera risente di forti retaggi dell’impresa sociale ma con un abbrivo in più, ricco di agganci con quel mercato più tangibile, come lo stesso Gentili non stenta a riconoscere in un’economia del caos gestibile solo attraverso una dinamicità plasmabile. Il leader, a tutti gli effetti, ne è il protagonista, o piuttosto il traghettatore, sensibile, intelligente e colto, in grado di farci approdare sempre altrove. E’ preveggente e anche un po’ stregone, capace persino di certe magie e suggestivi responsi formulati a mo’ di oracoli. La crisi e la dicotomia simbolica dell’ideogramma cinese wei-ji, indicano pericolo ma anche opportunità, un nuovo fronte dove concentrare energie piuttosto che depauperarle nella sola angoscia del pericolo incombente. Una leadership è innovativa, “vera forza del cambiamento”, soltanto viaggiando in sintonia coi tempi, in palese opposizione alla consunta immagine del “capo” maturato nella rete di conoscenze e scambi di favore, non di rado culturalmente impreparato al di là dei titoli conseguiti ma, nondimeno, considerato affidabile e determinante nell’organigramma. Questa è la “burocrazia asfittica” che, nella parafrasi dell’autore su Baudelaire, determina “la bruttezza delle imprese”. L’Italia ibrida, quella parallela ma fuori tematica, dei posti fissi e di quelli “fessi”, della Biagi ma per pochi anziché per tutti, dei comunque riciclabili e di chi viene liquidato dopo una vita di lavoro nel silenzio mediatico, andrebbe comunque sempre esternata perché troppo spesso censurata. L’alternativa è il mobbing e l’ipocrita, silente fierezza con il quale viene da sempre praticato nel nostro bel paese, affrontato nel testo attraverso congetture con le pratiche più tribali e, soprattuto, nelle nevrosi e nelle implicazioni stressanti. Il leader, sì autorevole come carismatico, è anche il protagonista di “una nuova agorà”, “fucina di nuove idee” dove la creatività riprende un ruolo attivo, congruo e pulsante. Determinante per Sadler, esperto in scienze direzionali, la “sponsorizzazione di artisti” per “incrementare il clima creativo nelle organizzazioni”. “Organizzazioni strutturalmente deboli ma culturalmente forti” sembrerebbero le sole, a detta del sociologo, capaci di “saper navigare il caos” delle “economie postmoderne”. L’obiettivo umanistico verso il quale tendere è nella valorizzazione e responsabilizzazione dell’individuo in seno all’organico. Protendere verso modelli evoluti da coinvolgere nel ciclo produttivo anche quelle fasce più emarginate significa aprire ad una società in grado di contenere costi sociali, d’ingenerare nuova offerta e mercato; una società capace di un serio ed efficace welfare, che garantisca potere d’acquisto, flusso economico attivo e reintegrazione a breve termine per tutti. Rilevante, infine, il porre come obsoleti quegli obiettivi di lotta di classe a favore di uno scontro di conoscenza più consapevole, tendente ad aprire una stagnante condizione piramidale. Nel segno della “dinamicità del conflitto”, del resto, si conclude il libro; le sorti restano nel dialogo e nella fiducia accordata attorno a valori culturali cui ruota la stessa azienda, spazi dove un vero leader, senz’altro, deve da sempre aver ben navigato.