In epoca giovanile il genere giallo mi ha appassionato molto e mi ha portato a conoscere autori famosi come Agatha Christie, Georges Simenon, Arthur Conan Doyle e Ed McBain, tanto per citarne alcuni che mi vengono in mente. Poi, nell’età intermedia, ho privilegiato altre letture e più recentemente, ma in misura sporadica, mi sono deliziato con i commissari Montalbano, di Andrea Camilleri, e Ricciardi, di Maurizio de Giovanni. Quello che mi piace in questo genere è la struttura, con l’immancabile omicidio, le indagini e infine la scoperta del colpevole per merito o di un investigatore privato o di un poliziotto.
La poltrona del re, pur nel paradigma classico del giallo, ha la caratteristica di non presentare un professionista dell’indagine e in questo senso, come apre, chiude anche la storia, perché è pressochè impossibile ipotizzare un seguito, ovviamente con una vicenda diversa, appunto perché il protagonista non è un detective, bensì un normale cittadino come noi che, tuttavia, seguendo un filo logico e alla portata di individui privi di esperienza perviene ugualmente alla soluzione.
L’autore è toscano e pure l’ambientazione è propria di questa bella regione italiana, in una piccola realtà dove tutti, più o meno, si conoscono tanto da sapere pregi e difetti, non solo del presente, ma anche del passato.
E’ gente normalissima, eppure lì si celano un usuraio, uno stupratore e anche gli assassini.
E’ inutile raccontare la trama, perché si toglierebbe il piacere della lettura, ma mi preme dire che Rinaldini ha creato una serie di personaggi, del tutto credibili, che girano nella vicenda con una precisione rimarchevole, in una sorta di indissolubile catena che scorre bene oliata.
Così troviamo un impiegato dai trascorsi giovanili nei movimenti eversivi di destra, amico di un ex partigiano comunista, la nipote di quest’ultimo, un parroco che cerca solo di badare ai fatti suoi, un brigadiere dei carabinieri un po’ prevenuto e tracotante, una vicina di casa spiona e maldicente, un politico che aspira a diventare parlamentare, un giornalista che fantastica, ma nemmeno troppo, insomma un campionario di varie umanità che interagiscono e le cui vite scorrono spesso parallele, ma poi finiscono inevitabilmente con l’incrociarsi.
E poi ci sono due strane morti, cioè due suicidi che lasciano perplessi nella loro modalità di esecuzione, la scomparsa di un ragazzo avvenuta negli anni ’50, l’assassinio di una donna a colpi di arma da fuoco, le voci di un tesoro sottratto ai tedeschi dai partigiani.
I personaggi sono ben definiti, così come l’ambientazione, e ciò nonostante una scrittura scarna, essenziale, che non indulge a descrizioni particolareggiate, preferendo lasciare spazio all’evolversi della vicenda che poco a poco avvince il lettore, obbligandolo di fatto a proseguire, pagina dopo pagina, per poter infine essere edotto di ciò che è accaduto, dei moventi dei delitti e soprattutto dei nomi dei loro autori, circostanza questa che, come in ogni giallo che si rispetti, avviene alla fine, sulla base di una logica stringente che porta a dire che effettivamenti i colpevoli non potevano essere che quelli.
La poltrona del re è un buon romanzo, di facile e gradevole lettura, e pertanto lo consiglio caldamente.
Fabrizio Rinaldini è nato 55 anni or sono nel comune di Scandicci e lì attualmente risiede dopo vari trasferimenti. Una militanza politica decennale e una lunga disavventura giudiziaria gli hanno permesso di assaporare l’equanimità dell’italica legge. Dopo un matrimonio durato poco e finito male, qualche anno trascorso in Africa e in America del Sud per lavoro, molte amicizie sbagliate e poche “fratellanze” vere e proprie, più di un legame sentimentale finito peggio del matrimonio, ha deciso che la cosa più divertente di tutte è scrivere. Così scrive per gioco e legge per passione. Ama la letteratura e la storia.
Frequenta archivi e biblioteche per ricerche improbabili, traduce articoli dall’inglese, fra lunghe camminate a passo veloce (quelle che i salutisti maniaci chiamano fitwalking), molti libri letti e tantissimi da leggere, qualche concerto, un po’ di teatro e il lavoro di sistemista informatico. Non cambierebbe il luogo in cui vive neppure con un attico a Manhattan con vista sull’Hudson, mantiene vivi i legami con la propria comunità ideale, ama i gatti, la birra Weisse, i Pink Floyd, Shakespeare, l’irraggiungibile Céline e ‘Non, je ne regrette rien’ di Edith Piaf che (potenza dei numeri) è stata scritta nello stesso anno in cui è nato. Ha pubblicato il suo primo giallo di successo: “In morte di un collega” con Sassoscritto Editore.
Nasce a Mantova l’8 maggio 1947. Laureato in economia e commercio, dopo aver lavorato per lungo tempo presso un’azienda di credito ora è in pensione e vive con la moglie Svitlana a Borgo Virgilio (MN). Ha vinto con la poesia Senza tempo il premio Alois Braga edizione 2006 e con il racconto I silenzi sospesi il Concorso Les Nouvelles edizione 2006. Sue poesie e racconti sono pubblicati sulle riviste Carmina, Isola Nera, Prospektiva e Writers Magazine Italia, oltre a essere presenti in antologie collettive e in e-book. Ha pubblicato le sillogi poetiche Canti celtici (Il Foglio, 2007) e Il cerchio infinito (Il Foglio, 2008).
E’ il dominus del sito culturale Arteinsieme (www.arteinsieme.net)
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