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Morte dell’inquisitore – Leonardo Sciascia

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Prefazionedell’autore
Adelphi Edizioni
Collana PiccolaBiblioteca Adelphi
Pagg. 117
ISBN 9788845908774
Prezzo € 9,00 
 
L’annullamentodelle fonti
 
“Pazienza
Pane, e tempo.
 
Queste parole, graffite sul muro di unacella del palazzo Chiaramonte, sede del Sant’Uffizio dal 1605 al 1782, GiuseppePitré riesce a decifrare nel 1906: insieme ad altre di disperazione, di paura,di avvertimento, di preghiera; tra immagini di santi, di allegorie, di cosericordate o sognate.” 
 
Il destino, spesso, riserva delle sorpresedel tutto particolari e al riguardo Leonardo Sciascia mai avrebbe immaginatoche quel personaggio di Fra Diego La Matina, incontrato casualmenteraccogliendo i documenti d’epoca per il suo romanzo Il Consiglio d’Egitto,sarebbe diventato il protagonista di un altro libro, un’opera ultimata anche seincompiuta, suscettibile di nuove aggiunte, di altre ipotesi.
Certamente, più che il personaggio, è lagenesi del reperimento della documentazione, incompleta, che portò lo scrittoresiciliano a compiere un lavoro il cui grado di soddisfazione era per lui, perquanto possa sembrar strano, nella possibilità e nell’esigenza di rimettervimano.
La vicenda in sé non è di eclatanteinteresse, con questo frate, recidivo, più volte condannato a pene sempre piùsevere e che infine, dopo aver ammazzato per esasperazione a manettate il suoinquisitore, viene giudicato, ritenuto colpevole e sanzionato con la penacapitale, secondo la più classica delle forme preferite dal Sant’Uffizio: ilrogo.
I diari dell’epoca sono scarni, con pocheinformazioni, anche perché i documenti ufficiali sono stati bruciatinell’incendio ordinato dal viceré Caracciolo ed è quindi lecito formulare piùdi un’ipotesi in ordine al movente, e fra queste Sciascia respinge decisamentequella del delitto passionale a suo tempo formulata da William Galt nel romanzostorico Fra Diego La Matina. O forsequesto frate era reo di aver interpretato il messaggio di Gesù Cristo in mododel tutto personale, con uno stravolgimento della dottrina corrente, al punto cheera meglio non scrivere nulla delle sue idee teologiche, assumendo l’ipotesiche lamentasse l’esistenza di un Dio non giusto se tollerava le ingiustizie.Insomma, la mancanza degli atti del Tribunale lascia aperte tante porte,nessuna delle quali tuttavia pare condurre a qualche cosa di certo. Tuttosparito, anche se rimane il racconto dell’ultima notte del condannato,assolutamente da leggere con la massima attenzione, e la sua esecuzione, cheavviene come se si svolgesse una festa paesana, con nobili in gran sfoggio egente bramosa di annusare il profumo della morte.
Meticoloso nella ricerca com’era proprioSciascia non c’è dubbio che anche in questa circostanza abbia proceduto con ilmassimo rigore, ma resta il fatto che, in assenza degli atti del Tribunale, lecertezze sono poche e che quindi non è difficile comprendere il perché nellasua prefazione scriva, fra l’altro: ” La ragione è che effettivamente è unlibro non finito, che non finirò mai, che sono sempre tentato di riscrivere eche non riscrivo aspettando di scoprire ancora qualcosa…” 
Pagina dopo pagina si giunge allaconvinzione che l’ispirazione per l’opera non sia tanto la vicenda di questofrate, ma la mancanza di fonti certe, la presenza solo di indizi che possonofornire al più l’atmosfera di tragedia per l’operato del Sant’Uffizio, tuttielementi che avrebbero fatto desistere qualsiasi autore, ma che per Sciasciacostituiscono l’idea di una riscrittura, che si avvale propriodell’annullamento delle fonti, per artatamente ricrearle, dotandole di unasottile vena ironica che giunge a vette eccelse nella pignolesca descrizionedella parata che porta al supplizio.
L’autore realizza in tal modo un saggioesemplare, probabilmente una delle più acute e lucide condanne dellarepressione delle libertà di pensiero che siano mai state scritte.
E definirlo un’opera incompiuta èriduttivo, perché in effetti è un lavoro che nel momento in cui si completalascia aperte nuove possibilità, nuove ipotesi, non tanto forse per un’altrariscrittura, ma per una ulteriore integrazione.  In pratica non c’è un’ultimapagina, ma solo una pagina che chiude una porta nella consapevolezza che se nepotrebbero aprire altre.
Morte dell’inquisitore non è un librofacile, come è possibile comprendere, ma è di grande valore, senz’altro uno deimigliori fra quelli scritti da Sciascia.
 
Leonardo Sciascia (Racalmuto,8 gennaio 1921 – Palermo, 20 novembre 1989). E’ stato autore di saggi eromanzi, fra cui: Le parrocchie di Regalpietra (Laterza, 1956),  Ilgiorno della civetta (Einaudi, 1961), Il consiglio d’Egitto(Einaudi, 1963), A ciascuno il suo (Einaudi, 1966), Il contesto(Einaudi, 1971), Atti relativi alla morte di Raymond Roussel (EsseEditrice, 1971), Todomodo (Einaudi, 1974), La scomparsa di Majorana (Einaudi,1975), I pugnalatori (Einaudi, 1976), Candido, ovvero Un sogno fattoin Sicilia (Einaudi, 1977), L’affaire Moro (Sellerio, 1978), Ilteatro della memoria (Einaudi, 1981), La sentenza memorabile(Sellerio, 1982),  Il cavaliere e la morte (Adelphi, 1988), Una storiasemplice (Adelphi, 1989).

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