Le Frontiere dell’Afghanistan “L’Afghanistan non è soltanto un paese splendido, un crocevia straordinario di culture e civiltà, esso è soprattutto una cerniera, è una frontiera fatta di frontiere”. E’ così che nell’introduzione del libro Franco La Tecla parla dello stato che – attraverso un’antologia di vari interventi – si andrà ad analizzare prima di tutto sotto il profilo geografico, passando da lì alla storia, alla società, alla politica interna e a quella dell’intera Asia.
(Franco La Cecla e Maurizio Tosi (a cura di) – Bononia University Press)
Ma, prima di tutto: cosa significa che l’Afghanista è una cerniera? Nel primo capitolo del libro Maurizio Tosi ci motiva questa affermazione parlandoci delle inaccessibili catene montuose che la rendono quasi impenetrabile dall’esterno e della convivenza interna di molti e diversi modi di esistenza sociale, a loro volta individuati dalla frammentazione in tribù e dalla storica ostilità che nutrono l’una verso l’altra.
Si tratta di un’ostilità che sfocia spesso e volentieri nella violenza, tra tribù indigene e di cui hanno fatto esperienza anche gli inglesi la cui spinta colonizzatrice trovò molte resistenze.
Scriveva Churchill nel 1897: “Sono tra le più orribili e brutali creature sulla terra. La loro intelligenza gli permette solo di essere più crudeli, più pericolosi, più distruttivi delle bestie selvatiche”.
Ma dall’altro lato, non possiamo dimenticare che parlare dell’Afghanistan vuol dire parlare di una delle grandi culle della civiltà, popolata da molto prima dell’Europa con presenze umane documentate fino a centomila anni fa e che hanno elaborato le prime civiltà agricole. In aggiunta, il territorio afghano fa da spartiacque alla valle dell’Indo – dove nasce la società indiana del terzo millennio – e all’Iran sud-orientale, sede di un’altra grande cultura. Da quanto detto finora emergono chiaramente le cotraddizioni di cui questo stato è protagonista, la confusione e il caos, i cambiamenti e gli sballottamenti, avvenuti per lo più per questioni politiche. Queste si vanno configurando “dai tempi di Alessandro Magno fino al periodo del Great Game e della dominazione inglese, attraversando gli anni bui dell’invasione russa, fino all’intervento americano”.
Il colonialismo, però, non aveva mai saputo interpretare e rispettare queste cotraddizioni caratteristiche dell’Afghanistan. E’ intervenuto nei conflitti tribali, nelle dispute religiose cercando di raggiungere in modo rapido e poco curato e intelligente una modernità esportata.
Il risultato raggiunto è stato soltanto il fallimento dell’intelligence americana, inglese e russa.
Si arriva così ad avere ancora oggi una situazione di faida interna tragica e difficilissima, e una instabilità che ritroviamo ancora nelle parole di Franco La Cecla “i talebani contro cui si è fatta una guerra sembrano essere ancora presenti in molte aree, il presidente Karzai somiglia al sindaco di una Kabul isolata dal resto del paese, il mosaico rimane frammentato[…] Se l’Afghanistan è modello di qualcosa oggi lo è della trasformazione delle organizzazioni umanitarie in organismi affiliati all’intervento politico armato”.
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