CONVERSAZIONE CON PAOLO VENEZIANI Il piacentino Paolo Veneziani, 1977, è un valido compositore, ricercatore, sperimentatore di musica elettronica. Di informazioni più dettagliate sulla sua produzione musicale se ne possono leggere (e ascoltare free download) su
Quello che segue spero sia un nostro interessante scambio di e-mail intorno alla musica elettronica e dintorni.
Davide
Ascolto la tua musica e mi viene spontaneo definirla “musica elettronica” nell’accezione più pura. Questo termine fu utilizzato per la prima volta nel 1950 in un ciclo di conferenze a Darmstadt da Werner Meyer-Eppler per definire una musica creata mediante strumenti musicali elettronici o elaborando elettroacusticamente suoni di altra natura. Fin dal principio la musica elettronica assunse anche sue peculiari caratteristiche stilistiche, pur spaziando in sottogeneri che infine però accomunavano Oscar Sala e il suo Trautonium ai Kraftwerk, i suoni di Stockhausen alle suite cosmiche dei Tangerine Dream… Ricerca del suono, bensì, ma anche un certo modo di proporlo.
Oggi però non riesco a usare più questo termine con serenità, dal momento che ormai l’elettronica è tale e talmente disponibile (specialmente nel settore dell’informatica) da consentire a chiunque di fare un intero disco di qualunque genere musicale, foss’anche una polka, utilizzando solo strumenti elettronici o il solo computer. Anche sulla sperimentazione e la creazione di quelle peculiari atmosfere dell’elettronica, si deve sopportare che oggi venga definita elettronica un mucchio di immondizia musicale, come il peggior stunz-stunz della tecno più coatta, giusto perché è fatta soltanto con apparecchiature elettroniche.
Paolo
In effetti il genere “elettronica” racchiude moltissime cose attualmente. Però era così anche negli anni 70: Tangerine Dream erano ben distanti da Kraftwerk, l’utilizzo delle apparecchiature, l’approccio e quindi i risultati differivano notevolmente. Le macchine analogiche del tempo, seppur molto rivalutate nell’ultimo decennio, non permettevano però di venir utilizzate facilmente in altri contesti, erano molto costose e di certo per un gruppo rock “standard” era impensabile l’utilizzo di questi mostri per sostituire le loro chitarre o batterie. Il sintetizzatore (e quindi l’elettronica) era confinata in ambienti di ricerca. Ora invece è il contrario, la cosa più semplice da fare, probabilmente per qualsiasi genere, è munirsi di qualche tastiera tuttofare o addirittura, come dicevi, di un solo computer per essere in grado, a casa propria, di creare qualsiasi cosa. Anche nel pop, rap, “MTV music” insomma il monopolio è ormai del suono elettronico, solo che non ci si pensa perchè l’utilizzo di queste apparecchiature è totalmente diverso da quello che i cultori di elettronica si aspettano. Lo strumento elettronico è diventato la nuova chitarra acustica, lo strumento meno costoso per creare. E’ naturale quindi che il sintetizzatore venga utilizzato anche da cantautori, rapper, dj. Se una persona ti dice che suona la chitarra, non ti ha detto niente di quello che fa, la stessa cosa ora vale per il sintetizzatore. Il termine elettronica attualmente non significa molto, ma la stessa cosa è successa anche alla parola Rock. Questo però non impedisce di utillizare i nuovi strumenti per continuare il percorso di ricerca iniziato dai pionieri del genere.
Davide
Quei pionieri avevano terre assolutamente vergini davanti… Da ogni punto di vista. Gran parte di quei compositori disponevano di strumentazione ingombrante (il Thelarmonium del 1906 era un mostro che occupava l’intero piano della “Telharmonic Hall” nella 39esima Strada di Broadway), costosissima, fatta a volte di rarissimi o addirittura unici esemplari sperimentali e, comunque, non commerciabili… Penso a tutti quegli ingegneri elettronici e appassionati di musica, o musicisti loro stessi, che creavano strumenti musicali nuovi come Melvin Severy e il suo choralcello (heavenly voice) del 1888/1908, l’Emiriton (che vide anche il contributo di Rimsky-Korsakov), l’Ondium Péchandre o le Onde Martenot, il Kaleidophon, il Trautonium (Trautwein si avvalse in modo fondamentale del contributo di un compositore del calibro di Paul Hindemith) o il Theremin e avanti… Voglio dire che un tempo, prima dei computer, la Musica Elettronica (mettiamo una maiuscola per distinguere da tutto quanto il resto oggi) era strettamente dipendente dalla creazione di nuove macchine per generare nuovi suoni inauditi. Un po’ quello che cercano di fare ancora all’IRCAM o compositori come Pierre Boulez… Oggi è sufficiente acquistare un pacchetto software e mettersi al computer… Non pensi che ciascun Musicista Elettronico debba ancora esplorare il suono attraverso la ricerca di nuove macchine, nuovi software, nuovi studi o nuove teorie… Anche i Kraftwerk si costruivano macchine (Wolfgang Flur, per es. e le sue percussioni elettroncihe a gesti)…
Paolo
Territori sonori inesplorati, grande inventiva ma anche grandi risorse immagino, cose per pochi. Se analizziamo invece la massa dei nuovi musicisti-compostori, vediamo che hanno ben poco da investire, quindi la progettazione hardware di strumenti “personalizati” è una attività da escludere. Cosa invece fattibile via software. Creare nuovi strumenti virtuali, grazie alla sintesi modulare è ora possibile senza grossi sforzi…. finanziari. Gli sforzi comunque ci sono perchè lo studio della sintesi e la progettazione, seppur virtuale, richiede tempo e fatica, questi due aspetti spesso non vanno molto daccordo con la creatività di un artista che (come nel mio caso) ha la necessità di un setup semplice ed intuitivo che consenta di mettere a fuoco le idee il più velocemente possibile. Penso sia questa la vera sfida di un compositore di elettronica odierno: crearsi un sistema (anche con strumenti hardware o software commerciali) il più personale possibile, senza sottovalutare che oltre alle macchine, c’e’ pur sempre una persona e che lo scopo di tutto, seppur banale, è dare emozioni all’ascoltatore, se manca questo, non c’e’ sperimentazione che tenga.
Davide
Anche sul piano dell’ascolto, dalla quadrifonia all’olofonia (fruibile anche attraverso le vibrazioni sonore di poltrone olofoniche) eccetera, l’Elettronica senz’altro si presta più d’ogni altra musica a fare ricerca… Per esempio, ricordo di un centro d’avanguardia nella ricerca acustica è quello della Wright Patterson Air Force a Dayton, Ohio (USA), dove si trova una sfera geodesica del raggio di 5 metri, composta da 277 altoparlanti e situata in una camera anecoica. Lo scopo degli esperimenti che vi si svolgevano era quello di far percepire un’immagine sonora virtuale, sincronizzando in maniera appropriata gli altoparlanti, a chi si trovi al centro della sfera. Qui l’ascoltatore localizza le immagini sonore al punto da percepirne perfino una precisa estensione e forma spaziale, come un punto, un uovo o un pallone sonoro. Una forma di suono che può spostarsi ovunque fino all’interno della sua testa pur senza l’uso di cuffie.
Paolo
Esperimenti interessanti ma ben distanti dal concetto base di musica (almeno a mio modo di vedere, si intende): emozioni-per tutti. Il mio pensiero attuale è molto più POP che sperimentale se vuoi, ma è onesto, musica per il popolo e non per una ristretta cerchia di eletti. Se poi la musica elettronica, definiamola “ricercata” sarà apprezzata da pochi è irrilevante, l’importante penso sia dare la possibilità a tutti di conoscerne l’esistenza e di decidere poi se questa può essere interessante o meno. Spazio quindi all’Mp3 e alla diffusione dell’elettronica in ogni angolo del mondo nel modo più semplice e diretto possibile.
Davide
Però, per chi opera nel campo della purezza del suono elettronico, l’MP3 o MPEG-1 layer 3 (e così anche altri wave file di codifica), non conta il fatto che la qualità del suono sia inferiore rispetto all’estensione .wav di circa il 95%? Certo, anche l’ascolto della musica è cambiato. Io vengo da una generazione anni ’70 di impianti hi-fi a componenti separati, dove la scelta dei vari elementi (integrato, piastra, diffusori, deck cassette, lettore cd, piatto giradischi e avanti) veniva fatto anche sulla base di diversi prodotti di marche diverse, più adatti ora all’ascolto di un genere oppure di un altro. Oggi ci si accontenta sempre più dell’ascolto in auricolare di un i-Pod, della musica scaricata in mp3, dei diffusori di un computer e possedere un impianto stereo vero, che non sia il solito micro-impianto compatto, è cosa sempre più rara. Senza contare che si è perso totalmente il ricordo del suono caldo e pastoso dei microsolchi (messi via in cantina o buttati scelleratamente via dalla maggior parte delle persone) e del nastro (per me la qualità analogica di un registratore a bobine da ½ o 1 pollice Ampex o Studer resta meglio di qualunque studio virtuale digitale). Meglio, anche se non so dire esattamente perché. L’analogico suona come se fosse più naturale, quanto meno con la registrazione/riproduzione degli strumenti acustici. Insomma, non credi che la qualità del suono e della finezza dell’ascolto del suono sia oggi molto cambiata, in qualche modo scaduta, e neanche più si è avvezzi a coglierne l’importanza…? A volte inorridisco alla quantità di giovani che anzi amano e proclamano il lo-fi.
Paolo
Ci sono vari tipi di compressione utilizzabili quando si crea un .mp3 da un file .wav. Comunemente, quando si parla di .mp3 si pensa alla codifica a 128 kbps. Questa porta ad una compressione del file notevole, se il file di partenza è ad esempio un .wav da 40 megabyte (4 minuti) riusciamo ad ottenere un file di soli 4 megabyte. Il suono in effetti a questi livelli non è perfetto, anzi… c’era da accontentarsi, qualche anno fa, quando le connessioni a 56K erano lo standard, se si voleva mettere a disposizione la musica era necessario usare una forte compressione. Ora però con il notevole aumento di banda consentito dalle linee DSL è possibile caricare materiale qualitativamente superiore. Personalmente cerco di usare sempre la compressione a 320 kbps, che permette di ottenere un file praticamente indistinguibile dal quello di partenza, anche utilizzando come ascolto un discreto HI-FI. Certo non si deve confrontare, come spesso succede, un lettore portatile con auricolari economici che riproduce mp3 con un HI-FI che riproduce un CD. In questo modo non si testa il file, ma tutta la catena audio. Andrebbe provato lo stesso impianto, riproducendo il .wav e l’.mp3 ben codificato, ci sarebbero sicuramente delle sorprese… Ma anche dando per scontato che l’mp3 suoni “peggio” i vantaggi superano comunque i difetti. Per un artista indipendente come me, l’utilizzo dell’.mp3 consente di rendere disponibili a tutti e in modo istantaneo le proprie creazioni, senza spese aggiuntive. Per quanto riguarda l’ HI-FI direi che è passato di moda, basta andare in qualsiasi centro commerciale per capirlo, ci saranno decine di sistemi surround ma nessun amplificatore stereo o coppia di diffusori di qualità. E’ un quesito che mi sono posto diverse volte: come verrà ascoltata la mia musica? Ma forse non vale la pena pensarci, ognuno ha quello che ritiene adatto in base alle proprie risorse economiche e all’ importantanza che la musica ha nella sua vita. Da appassionato di musica direi che dovrebbero essere obbligatori un amplificatore e due buoni diffusori in ogni casa, niente di esasperato ovviamente ma un minimo di qualità ci vorrebbe. Quando i multitraccia digitali erano ancora inavvicinabili, ho registrato per diverso tempo con un Tascam a bobine da 1/2 pollice, apprezzandone le qualità ma sopportando anche le varie mancanze come la degradazione del nastro e l’alto costo dei supporti. Il “suono analogico” penso sia comunque ottenibile anche con le apparecchiature digitali, lo vedo più come una “filosofia del suono”, un modo di utilizzarlo più che un risultato dovuto ai mezzi. Se confrontiamo ad esempio i miei Alphabet (1998) e Quadramusic (2003) non notiamo grosse differenze a livello di qualità di suono, anche se il primo è registrato completamente in analogico il secondo totalmente in digitale. Certo, per ottenere con uno studio virtuale il suono caldo e al contempo pulito caratteristico del mondo analogico, è necessario un po’ di lavoro ma è comunque possibile. Il digitale è stato la salvezza dei budget ristretti.
Davide
Hai detto qualcosa sul tuo concorso nel rendere l’elettronica tua un qualcosa di popolare. Ho di recente riascoltato i tuoi cd e, lasciami dire, non è tutto così “popolare”. “Alphabet” del 1998 mi pare comunque un qualcosa per l’élite amante dell’elettronica per pochi. Qualche giorno fa sono stato all’Auditorium del Lingotto di Torino per assistere a un evento notevole, ovvero la Warp incontra la London Sinfonietta (ospiti i Plaid e Squarepusher). Ed ho anche assistito a qualcosa di abbastanza indecente: giovanissimi distratti e fastidiosi nei momenti di debito più grande rispetto per cose come il “Ballet Mécanique” di Georges Antheil su film di Fernand Léger o musiche di Steve Reich, John Cage o il Varese di Ionisation… Più desiderosi di vedersi Squarepusher infine (pure deludente, per altro, con quegli 8 pezzi per basso a sei corde suonato per solo continuo virtuosismo stracolmo di inutili arpeggiate note come fosse una chitarra classica… sbagliando, friggendo, slappando così così oltretutto) che di godersi e conoscere ogni altra parte più lontana da quel che, appunto, si può definire “popolare”. Non trovi che il concetto popolare sia in tal senso negativamente limitante l’ampiezza di vedute e predisposizione? Senza comunque finire in opposti termini di “sotterraneità” elitaria ad ogni costo… Prima che il concerto iniziasse mi ha infatti colpito non meno male un noto musicista elettronico, che venutoci a salutare, preannunciava la sua prossima noia e delusione e diffidenza di fronte a un evento così “ufficializzato” alla massa…
Paolo
Non volevo di certo dire che era adatta a tutti ma disponibile a tutti! La cosa importante è che la musica possa essere ascoltata da chiunque, anche da chi non fruisce quotidianamente di questo genere di cose. Ovviamente la maggior parte non troverà interessante quello che propongo, ma avrà avuto comunque modo di sentire e quindi di farsi un’ opinione. Mi dispiace vedere musicisti che, oltre a presentare musica sempre più ostica, decidono di rendere praticamente impossibile ascoltare il loro materiale, creando mini label che producono magari 50 copie su CD-R… che senso ha? Personalmente, quando realizzo un progetto ne vado fiero, spero possa sentirlo più gente possibile e mi auguro che qualcuno, da qualche parte, sia anche in grado di apprezzarlo. Certo che spesso l’industria musicale propone al popolo materiale “levigato”, banale se vuoi, pronto per gente con poche competenze e palati poco raffinati. Musica confezionata sempre allo stesso modo per non stranire l’ascoltatore medio. Questo è un concetto di popolare che ovviamente va evitato.
Davide Riccio