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Séraphine

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La lentezza siriempie di rado d’intensità drammaturgica e i vuoti, più che contribuire allascansione dei tempi, dilatano la scena e la sgranano con fastidiosi eccessi. Ilracconto, tuttavia, supportato dalla straordinaria bravura interpretativa diYolande Moreau, vincitrice del premio Sandouz, è talmente intenso, che sisoprassiede volentieri su alcune defaillance di Provost, arguto registapremiato con sette César, che in Francia ha messo insieme un milione dispettatori.
Séraphine è un filmsul disagio femminile, sulla follia, sull’arte e sulla mistica ispirata allafigura di Teresa D’Avila, fondatrice dell’ordine delle carmelitane scalzegrazie al quale, cinque secoli fa, venne concessa alle donne una delle pocheprerogative possibili ossia quella di inebriarsi di estatici sguardi versol’alto, considerando che la loro diffusa estromissione dalla vita pubblica e daquella religiosa, non offriva la possibilità di incrociare sguardi piùimmanenti e paritari.
Il film èambientato nei primi anni del secolo scorso, in una Francia pre-bellica  chepuniva ogni minima manifestazione di stravaganza, seppure incanalata inatteggiamenti profondamente cristiani, e acuiva in tal modo quella sindromebipolare che genera insanabili conflitti tra società e personalità.
 
Un artistasemplicemente bizzarro, all’epoca, poteva trovarsi facilmente nel pericolo”folle” di essere rinchiuso in manicomio e così accadde a Séraphine,che ebbe la triste sorte di apparire nelle gallerie parigine soltanto tre annidopo la sua morte da reclusa.
Ma questo èsoprattutto un film sulla pittura primitiva intesa come passione senzadottrina, purezza senza sovrastruttura, nella difesa e nell’affermazione delproprio “daimon” interiore, ben oltre ogni condizione di marginalità,di livello d’istruzione, dannazione esistenziale o difficoltà economica.Séraphine non è una strega bensì una sguattera che quasi clandestinamente, almenoall’inizio, si isola creativamente in un suo intenso mondo autodidattico. Perdipingere i suoi quadri, che esprimono una natura vivida e semplice quantodolente e onirica, utilizza terriccio, bacche e il sangue degli animalimacellati .
Se è vero che ildaimon può essere letto come talento o genio ma anche come coscienza, in ognicaso come entità bisognosa di nutrimento per trasformarsi in conoscenza edunque in “anima”, ciò a cui si dovrebbe puntare per affrancarsidall’incubo demoniaco-dionisiaco, potrebbe rivelarsi nell’attitudine allaragionevolezza, a quel socratico “conosci te stesso”, orientatosuccessivamente alla sana temperanza platonica che tuttavia nell’arte coglievasolo l’aspetto inautentico della mimesi.
Purtroppo la dotataSéraphine Senlis fallì perché non riuscì a trasformare il suo impeto inciceroniana “mediocritas”, in osmotica armonia tra vivacità epacatezza. L’impaziente ansia di riscatto e il potere dell’immaginazione, latravolsero.

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