La Collina di Petrìn
Il vento di una nuova cultura, quella nazionalsocialista, spira dalla Germania. Gli spiriti più accorti ne avvertono la minaccia. Le nubi del totalitarismo nazi-fascista si addensano e dilagano nel cielo dell’Europa. Ed è la conquista tedesca dell’Austria, della Cecoslovacchia. Per il momento. Ed è: Auschiwitz… La tempesta.
Ma sotto il cielo della Cecoslovacchia risplende il mondo sereno dell’adolescenza di Giulia, turbata per la prima volta, siamo nel 1928, dallo sguardo preoccupato del padre; germoglia l’amore puro e disincantato per il suo precettore, tedesco, Scot Lorenz. Il sentimento si fa sempre più forte, prende linfa dalla crescente condivisione di profonde idealità e dalla consapevolezza che Dio è amore; si fortifica nell’idea che l’amore è dono di sé agli altri; si completa nello scenario di distruzione e di morte della guerra civile spagnola.
Leggendo La Collina di Petrìn viene in mente un capolavoro del Giorgione, La tempesta: il cielo che s’addensa di nuvole premonitrici di catastrofe, lo sguardo preoccupato di una madre che allatta. Il brutto contro il bello, il bene contro il male, in eterna lotta. Nicola Platania ha saputo descrivere il clima di sospensione, prima, e lo svolgersi del dramma, poi, di una famiglia ebrea, che rappresenta un intero popolo; lo ha fatto con tratti essenziali, con brevi cenni, quasi di cronaca, sugli avvenimenti cruciali che segnarono il destino dell’Europa, riservando più spazio al discorso sulla cultura come confronto e necessità di conoscere l’altro, che trasversalmente passa attraverso la predicazione di Cristo, il pensiero di Kierkegard, di Ghandi, sul dovere morale di “ricercare la verità tra il Bene e il Male“, più spazio alla dolcezza dei ricordi dell’amore, delle risate, dei sogni, dei giochi, delle avventure. Niente grida strazianti di chi soffre, niente rancore verso chi tradisce suo fratello ebreo denunciandolo ai nazisti, ma tutto narrato con una tale compostezza che impone al lettore silenzio dello spirito, religioso rispetto, doverosa e profonda riflessione.
Il libro vuole essere ricordo degli orrori nazisti, ma soprattutto esaltazione dell’amore universale, dell’esistere per essere con gli altri, celebrazione della Bellezza, del sogno, della giovinezza, dell’amore, della liberazione dall’angoscia della morte, rappresentata dalla collina di Petrìn, con cui si apre e si chiude, apparendo tra la nebbia, il libro, la collina dove “ad una certa ora del giorno” è facile morire, dove il rituale di morte si svolge tra sorrisi e preghiere di carnefici, raccomandazioni perché tutto sia fatto bene e velocemente, senza odio, senza rancore, poiché capire lo stretto legame che c’è tra la vita e la morte equivale a non esserne angosciati.
Un libro che si legge con piacere, che lascia dentro di noi qualcosa. Tanto.
Simonetta De Bartolo