Come cambia l’Editoria
il caso Pantheon v/s Random House
Fino a non molto tempo fa l’editoria era assimilabile a un’attività artigianale, su piccola scala, a carattere familiare, dove i profitti erano quasi in secondo piano rispetto alla passione e al fermento intellettuale di cui si arricchiva la vita culturale del paese.
Oggi i tempi sono cambiati, l’editoria, giustamente, comincia a somigliare sempre di più a un’impresa economica, quale in effetti è, sottostando giocoforza alle leggi economiche del mercato. Non ci si può più permettere il lusso di pubblicare quel che si vuole, ma bisogna oculatamente scegliere e selezionare le pubblicazioni in base all’effettivo ritorno economico.
In effetti è un cambiamento concentrato tutto nel corso dell’ultimo decennio, ulteriormente accentuato nei paesi anglosassoni, dove le case editrici, alla pari di tutte le altre imprese degli imperi economici, vengono fuse, assimilate e comperate da grossi gruppi internazionali.
A questo punto sembrerebbe che il ruolo dei critici letterari, degli intellettuali, degli opinionisti della letteratura in genere venga ad essere ridimensionato. In osservanza alle crudeli leggi del mercato, potrebbero dunque essere oggi le tirature delle vendite a decretare o meno quale sia la vera letteratura.
C’è da dire, però, che anche in un passato nemmeno tanto recente, il successo di pubblico ha spesso acclamato come grandi scrittori, proprio coloro che erano invece stati stroncati dalla critica, istituzionalizzando un fenomeno in contro corrente.
In anni più recenti sono state ancora le leggi del mercato a riconoscere e ad identificare i futuri premi Nobel della letteratura del calibro di Hemingway, Faulkner, Steinbeck, o scrittori difficili da coniugare, come Kafka, Joyce, Eliot.
Tuttavia non si può e non si vorrebbe mai veder popolati gli scaffali delle librerie sempre e soltanto dai soliti acclamati best sellers, per poi magari portarli come argomento di studio nelle antologie scolastiche.
Infine ci si domanda, giustamente, quanto sia smaliziato questo pubblico, quanto edulcorato, quanto evoluto possa mai essere, abbandonato e inerme com’è, completamente in balia delle parossistiche leggi del Merchandasing.
Si rischia, e fortemente, in un mercato ibrido, impuro, ineducato, di non offrire sbocchi concreti né agli autori esordienti né agli scrittori letterati acclamati dalla critica. Come sempre in tutti i corsi e i ricorsi storici, è nei periodi di incertezza che il vero talento rischia di venire schiacciato e confuso nella massa.
Oggi il grande pubblico è, più che in passato, totalmente tagliato fuori dai cenacoli intellettuali, e dai dibattiti letterari al vertice, e si assiste a una dolorosa lacerazione tra quelle che sono le esigenze del mercato e le contrapposte tendenze della critica.
Cosa ne sarà dunque in un prossimo futuro della letteratura italiana e mondiale?
Nel tentativo di rispondere a questa domanda rimandiamo alla disamina, uno per tutti, di un celebre caso di crisi dell’editoria contemporanea, che volendo potrebbe essere analizzato come un giallo, e che come tale potrebbe portarci un passo più vicini alla soluzione, nelle migliori tradizioni di un buon Mistery.
Il Caso Pantheon v/s Randhom House
Osservando gli scaffali delle librerie si nota che il settore editoriale è in crisi, eccezion fatta per opere tradizionalmente considerate di minimo valore artistico e letterario, come certi best sellers di oltreoceano, raccolte di barzellette, biografie di personaggi dello spettacolo, manuali di galateo e svariate altre produzioni ai margini della letteratura.
La causa principale di tutto ciò va senz’altro ricercata nell’attuale tendenza ad indentificare il libro non più come mezzo di evoluzione, o di studio, o di arricchimento culturale, ma piuttosto come una banalissima merce di intrattenimento e di svago, alla ricerca della politica del profitto.
Le case editrici internazionali sono diventate vere e proprie imprese economiche, dove non è certo la diffusione della cultura il primo imperativo, sostituito dalle molto più pressanti leggi del budget.
Ed ecco allora che il mercato viene invaso da volumi di scarsissima qualità ma dal forte impatto emotivo, libri in grado di vendere oltre e al di là dei contenuti letterari, che spesso infatti non hanno.
Vi raccontiamo a questo proposito una storia, davvero illuminante, tratta dal libro di André Schiffrin, Editoria senza editori pubblicato dalla Bollati e Boringhieri nel 2000.
“In Inghilterra e in America la maggior parte di questi grandi gruppi sono immense holdings che regnano nel campo dei mass media, dell’industria del divertimento oppure di quelle che vengono chiamate ora le industrie dell’informazione (…). I nuovi proprietari delle case assorbite dai grandi gruppi esigono che il rendimento dell’editoria libraria sia identico a quello degli altri settori della loro attività: giornali, televisione, cinema, ecc.., tutti settori notoriamente molto remunerativi. (…).La decisione di pubblicare questo o quel libro non è più presa dagli editori ma da quello che si chiama il “comitato editoriale” dove il ruolo essenziale è tenuto dai finanziari e dai commercianti”
Accadde dunque che la Pantheon Books, casa editrice vivacissima e culturalmente impegnata, nel 1962 avesse allestita un catalogo di assoluta eccellenza arrivando a pubblicare titoli di pregio e di enorme rilievo internazionale quali Il dottor Zivago di Pasternak, Il gattopardo di Tomasi di Lampedusa, Il tamburo di latta di Grass.
In seguito la Pantheon lanciò in America le opere dei grandi autori francesi come Jean Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Marguerite Duras con notevoli riscontri di pubblico. Acquisita dalla Random House riuscì a mantenere ancora per un certo tempo in catalogo opere prestigiose e di grande risonanza internazionale, senza intaccare il fronte del ritorno economico.
Successivamente l’intera Random House, completa delle aziende collaterali, fu ceduta a un magnate dei media, il miliardario Newhouse, che pensò bene di dare una spinta massiccia verso il basso al livello intellettuale del gruppo editoriale, con la convinzione che si potesse aumentare notevolmente i profitti con la pubblicazione di autori come Donald Trump o Nancy Reagan. Sperando di assecondare il gusto morboso delle masse per le celebrità e lo star system, si diede il via a un esperimento commerciale su vasta scala, destinato però a un clamoroso insuccesso.
Fu questo il caso anche della contemporanea Harper Collins, altro importantissimo editore americano, spinto sull’orlo della bancarotta da un errato investimento commerciale, effettuato su Jeffrey Archer, leader del partito conservatore inglese e mediocrissimo autore di romanzi polizieschi, cui furono corrisposti addirittura trentacinque milioni di dollari come anticipo sui diritti di autore per tre libri che non riscossero alcun successo né di pubblico nè di vendita.
Allo stesso modo, ghettizzando verso il basso, Newhouse che nel 1980 aveva acquisito la Random per sessanta milioni di dollari si ritrovò dieci anni dopo con una società che ne valeva ottocento, ma non contento, continuò a pretendere un aumento del rendimento, dimenticando che la produzione e la vendita di libri non poteva in alcun modo essere equiparata con l’andamento economico delle altre imprese del gruppo, appartenenti a ben diversi settori.
Nel frattempo, nonostante le alterne vicende, la Pantheon Books continuava ad andare piuttosto bene, con una collana dedicata a un pubblico non necessariamente colto, e un’altra parallela, che continuava a pubblicare opere intellettuali che andavano da Marx a Freud.
Fino a quando l’attuale direttore della Random fu sostituito da Alberto Vitale, tristemente noto per l’infelice battuta “Sono troppo impegnato per leggere un libro”, come se la questione fosse ininfluente per quello che era in fondo il direttore editoriale di una delle più grosse case editrici americane.
“A lungo cercammo di spiegare che era assurdo” scrive Shiffrin, ” entrare in concorrenza con le case editrici commerciali dell’impero Random, che conoscevano meglio di noi quel settore, e che la nostra forza si basava sulla composizione lenta di un catalogo destinato a durare anni. Ci spingemmo fino a far preparare dai finanziari del gruppo un bilancio che dimostrava che Pantheon sarebbe diventata nettamente meno redditizia se tagliava il suo programma in modo così radicale. In occasione della riunione decisiva, ci fu dato di vedere quale abisso ci separasse”.
Nel tentativo assurdo di trattare una casa editrice alla pari di un’attività imprenditoriale come tutte le altre, la nuova gestione portò dunque alle dimissioni di massa di tutto l’organico della Pantheon, e al totale ridimensionamento del catalogo. La casa editrice che aveva pubblicato nomi come Sartre e Duras, si ritrovò nel giro di pochi anni ad avere come titolo di punta un libro di fotografie della bambola Barbie.
Quando dalle analisi di bilancio emerse il fatto che nel 1997 la Random House aveva perduto oltre ottanta milioni di dollari solo per gli anticipi sui diritti, e che gravitava attorno all’uno per cento di utile, a fronte del quindici per cento preteso dalla proprietà, fu chiaro che “Newhouse”, come conclude amaramente Schiffrin, “era riuscito nel triplice intento di rovinare il capitale intellettuale della casa editrice (e di tutte le altre aziende editoriali ad essa collegate), di offuscarne la reputazione e di perdere soldi nello stesso tempo”.
Cosa che dovrebbe, forse, insegnare qualcosa ai grandi del mercato editoriale contemporaneo di casa nostra.
Sabina Marchesi